Intorno al caso Ellory

In Inghilterra un giallista si autorecensisce in Italia invece scrittori presuntuosi, critici infedeli, lettori

Da Noi Veltroni non farebbe mai quello che ha fatto lo scrittore inglese, perché non ne ha bisogno altri bluffano per lui

di Simonetta  Bartolini

In Inghilterra un giallista si autorecensisce in Italia invece scrittori presuntuosi, critici infedeli, lettori

Walter Veltroni e Roger Jon Ellory

La notizia è bellissima, rassicurante e confortante: il famoso giallista inglese Roger Jon Ellory dopo aver pubblicato un libro, per promuoverlo diffondeva recensioni entusiastiche sullo stesso, le scriveva lui medesimo firmandole con eteronimi.

Una volta scoperto ha confessato il piccolo inganno.

Naturalmente adesso tutti fanno ironia sull’autorecensione dello scrittore inglese che ovviamente scriveva dei propri libri con tale cognizione di causa (!) da convincere i lettori, e evidentemente sia le autorecensioni, sia i libri sono apparsi così convincenti da farne uno dei massimi scrittori di gialli anglosassoni.

Già, perché Ellory non è uno scalzacani qualunque in cerca di fama e di visibilità, non è uno scribacchino esordiente che, non trovando un cane che parlasse del suo libro, è ricorso all’autorecensione per disperazione. Ellory è un signor giallista ben venduto e molto apprezzato.

Comunque la si metta lui ha ragione e soprattutto obbliga ad una riflessione sul mondo editoriale e su quello della critica e dei lettori.

Mettiamola così, ci sono una serie di possibilità che vale la pena esaminare:

1°– Ellory fino dagli esordi ricorre all’autorecensione e diventa famoso

2°– Pur essendo famoso ricorre all’autorecensione per sostenere i suoi libri

3°– Usa l’autorecensione perché i critici, pur essendo famoso, non lo prendono sul serio in quanto letteratura di genere

Nel primo caso se l’autorecensione lo fa diventare famoso, significa che ha saputo introdurre i lettori ai suoi libri stimolandone la curiosità, suggerendo le giuste chiavi di lettura. Poichè la firma è di uno sconosciuto eteronimo non si può imputare il successo della recensione al nome del recensore, ma solo alla capacità di attrarre il lettore, il quale, a sua volta, acquistato e letto il libro non rimane deluso e innesca il circolo virtuoso del passaparola che la fa felicità dello scrittore il quale proprio a quello puntava.

Evidentemente il gioco funziona, e non casualmente per un libro, ma sempre, tanto che Ellory ora è un giallista famoso.

Nel secondo caso vale più o meno il ragionamento fatto per il primo, con l’aggiunta che lo scrittore si diverte a diffondere appassionate ed entusiastiche recensioni sui propri libri che però non aumentano le vendite perché comunque è già famoso, ma almeno contribuiscono a indirizzare i lettori verso la cifra interpretativa che egli desidera e che evidentemente altri recensori non hanno colto.

Il terzo caso è suggerito dal costume italiano di snobbare  pregiudizialmente la letteratura di genere, e dunque assai meno probabile in Inghilterra dove sanno distinguere fra i libri di consumo e i buoni prodotti letterari. Comunque, anche in questa poco probabile evenienza, Ellory con l’autorecensione avrebbe provveduto a colmare una lacuna nel panorama critico.

Si può dunque condannare o anche solo ironizzare su Ellory? Direi proprio di no, anzi, direi che il caso dello scrittore inglese ci induce piuttosto a ironizzare sugli scrittori di casa nostra e a stigmatizzare la loro presunzione intellettuale; sui critici infedeli che il più delle volte non leggono quello di cui poi scrivono; sui lettori “polli” che acquistano i libri perché firmati da uno scrittore diventato di successo a forza di recensioni fasulle pubblicate sui maggiori organi di stampa con ritmo martellante, e poi dopo aver visto che è una fregatura tornano a comprare i libri dello stesso autore perché non si può non comprarlo.

Il caso di Ellory poteva succedere solo fuori d’Italia, ovunque il sistema editoriale sia meno intossicato del nostro dal sistema della menzogna sostanziale, e magari più incline a quella formale.

Ce lo vedete, per esempio, Walter Veltroni ad autorecensirsi sotto falso nome? Assolutamente no, e non perché la sua onesta intellettuale sia specchiata e adamatina, ma perché non ne ha bisogno.

Infatti, appena esce un suo libro, prima ancora che sia in libreria, si leggono entusiastiche recensioni dei più autorevoli giornalisti pronti ad improvvisarsi critici generosi, anche se solitamente si occupano di tutt’altro e non hanno l’autorevolezza del critico letterario ma solo quella della firma di lustro (Pigi Battista sul «Corriere» e Andrea Scanzi sul «Fatto» solo per fare due esempi a caso), che naturalmente al sedicente scrittore basta e avanza.

Purtroppo basta e avanza anche al lettore che non legge la recensione, come il recensore non legge il libro, ma si fa convincere che quello è il romanzo di uno che piace alla gente che piace e, volendo far parte del club, acquista il libro

Ecco in Italia funziona così, quasi sempre. Tanto che le case editrici sanno perfettamente che le recensioni vere, quelle fatte con competenza e acribia da veri critici letterari non fanno vendere una copia in più, mentre le paginate un tanto al chilo del solito noto, ma incompetente, sui giornali giusti e con la giusta martellata ripetizione, fanno vendere, eccome se fanno vendere! soprattutto i brutti libri della bella gente.

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