Cinquecento anni fa

Cacciato da Palazzo vecchio nel 1512 Machiavelli con il Principe si conquistò fama imperitura

Il manuale del politico scritto tra ozi e curiose visioni politiche.

di Laerte Failli

Cacciato da Palazzo vecchio nel 1512 Machiavelli con il Principe si conquistò fama imperitura

Niccolò Machiavelli

Il 1512 e il 1532 sono due anni fondamentali per il “segretario fiorentino” : il 7 Novembre 1512 per  Machiavelli si chiusero definitivamente le porte di Palazzo Vecchio, in cui era entrato come segretario della Seconda Cancelleria.   E così, dopo uno scomodissimo soggiorno in carcere con tanto di tratti di corda perché implicato una congiura antimedicea, forse più per imprudenza che per reale partecipazione, il povero Niccolò si vide restringere dalla Francia e dalla “Magna” (Germania)  ai cascinali di San Casciano e dalle conversazioni con Cesare Borgia, il “duca Valentino” a quelle con fattori e contadini.

Ma ci stava davvero così male, a Sant’Andrea in Percussina? Nella celebre lettera a Francesco Vettori  del 10 dicembre 1513, dove l’ex segretario della seconda cancelleria annuncia la composizione del Principe, sembrerebbe di sì, ma non bisogna dargli retta più di tanto.   Niccolò si presenta al più fortunato amico ambasciatore a Roma in salsa … rustica, per cercare di impietosire i Medici e tornare a quella politica che più che lavoro era per lui ragione di vita.  L’albergaccio, l’osteria dove Machiavelli andava a “ingaglioffirsi"giocando a tricche tracche, litigando e presumibilmente moccolando da buon toscano, era infatti sulla strada per Roma ed è più che probabile che oltre a giocare e litigare Niccolò potesse apprendere cose molto interessanti.

E dirimpetto alla locanda, c’è ancora  la casa dove è stato composto il Principe, con uno scrittoio originale.   Non è difficile immaginare la vita dell’ ex segretario fiorentino, che vi si consolava degli incarichi perduti  sperando di poter tornare alla ribalta, dialogando con gli antichi e dedicandosi ad amori più o meno rusticani.  Oltre a vispe contadinotte,  messer Niccolò, trova poi  un nuovo coinvolgente amore: “standomi in villa, io ho riscontro in una creatura tanto gentile, tanto delicata, tanto nobile, et per natura et per accidente, che io non potrei né tanto laudarla, né tanto amarla, che la non meritasse più” scrive il 3 agosto 1514 al solito Francesco Vettori .

Si trattava con ogni probabilità di una certa Tafani, un cognome non proprio da gentil creatura stilnovista …. E non solo il cognome, a quanto si apprende dall’epistolario di Niccolò.

Ma come è noto, a Sant’Andrea in Percussina Machiavelli fece anche ben altro. Lo stimolo occasionale alla composizione del  Principe  furono le voci che si sparsero all'inizio dell'estate, sui progetti di papa Leone X di creare uno Stato a vantaggio dei nipoti Giuliano e Lorenzo de'Medici:  e Machiavelli, che rifletteva sul  destino di Firenze e dell'Italia, desideroso di esprimere il suo pensiero maturato in tanti anni di esperienza politica, diretta,  si decise a elaborare il suo breve ma rivoluzionario trattato; certo, lo scopo era che i Medici si decidessero almeno a fargli “voltolare un sasso”; l’obiettivo non fu raggiunto (come è noto, Lorenzo de Medici duca d’Urbino preferì al Principe  una coppia di cani da caccia) e Machiavelli dovette aspettare il 1520 perché il cardinale Giulio de’ Medici, poi secondo papa mediceo col nome di Clemente VII, si decidesse a vincere la diffidenza nei suoi confronti; ma in compenso ci guadagnò l’immortalità.

 Il Principe è un'opera composta di getto e inutili  sono stati i tentativi di alcuni studiosi di distinguere fasi successive nella sua elaborazione. Il titolo non è ben definito dal Machiavelli: lo chiamò De Principatibus,  sui Principati (Discorsi, I. II, c. I), De Principe (ib., I. III, c. XLII); De'Principati lo nominarono ancora gli amici e i copisti dei primi codici. La tradizione, invece, ha preferito il Principe, sottolineando con ciò l'importanza-base, nell'opera, della figura personale del capo dello Stato.

L'opera uscì postuma: la prima edizione è del 1532, a Roma presso Antonio Blado e a Firenze presso Bernardo Giunta. Esattamente venti anni dopo, dunque, l’inizio di quell’esilio che aveva a lungo allontanato Machiavelli dalla politica attiva per farne, almeno secondo molti, il fondatore della scienza politica moderna.

Su Machiavelli i giudizi si sprecano e sono veramente di tutti i tipi: alla fine del ‘500 lo spagnolo Pedro de Ribadeneyra ribatteva con il principe cristiano alla visione laica e disincantata  (ma foriera di terribili fraintendimenti)  del segretario  fiorentino. Per lo spagnolo Machiavelli insegna  una “ dottrina falsa, empia e indegna non solo di un cristiano, ma di ogni uomo retto e prudente. Egli afferma (...) che per meglio ingannare e conservare i suoi stati, il principe deve fingersi timorato di Dio, pur non essendolo, (...) ed assumere di volta in volta la maschera della delle virtù che gli sembrano più opportune per conseguire il proprio tornaconto, dissimulare i suoi vizi ed essere stimato ciò che in realtà non è (...). Le parole di Machiavelli sono uscite dall’inferno, per distruggere la religione e strappare dal petto del principe cristiano con un sol colpo tutte le virtù.”

Quasi tre secoli dopo invece Nietzsche affermava che “Machiavelli nel suo Principe ci fa respirare l'aria asciutta e fine di Firenze e non può fare a meno di esporci le cose più gravi con un irrefrenabile "allegrissimo": forse non senza un sentimento malizioso d'artista che conosce tutto l'ardimento d'un simile contrasto, pensieri lunghi, difficili, rudi, pericolosi e un "tempo" da galoppo, insolentemente capriccioso” Ancora oggi, critici e studiosi non sono d’accordo su chi abbia davvero ragione ….

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da NewBalance547 il 15/11/2014 11:12:21

    Xs235New@163.com

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