28 giugno 1914

Tre spari a Sarajevo, il destino e una serie di coincidenze cambiano il corso della storia

Novantotto anni fa l'assassinio dell'Arciduca Francesco Ferdinando e della sua consorte (morganatica)

di Laerte Failli

Tre spari a Sarajevo, il destino e una serie di coincidenze cambiano il corso della storia

Tre spari, a breve distanza l’uno dall’altro, hanno cambiato per sempre il volto e la storia dell’Europa. Novantotto anni fa, il 28 giugno 1914, uno studente serbo, Gavrilo Princip, assassinava nella città bosniaca di Sarajevo, allora territorio dell’impero asburgico, l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria e la moglie “morganatica” Sofia; un matrimonio di serie B che aveva scandalizzato e deliziato l’Europa della Belle Epoque e che adesso si concludeva con una cupa e fosca tragedia.  

Per un curioso scherzo del destino, un altro 28 giugno era stato fatale nella vita di Francesco Ferdinando e della contessa boema Sofia Choteck: donna di famiglia senz’altro nobile, ma non di sangue reale e quindi non idonea a salire sul trono imperiale.  Il 28 giugno 1900 Francesco Ferdinando, alla presenza dell’imperatore Francesco Giuseppe e davanti a tutti gli arciduchi  e ai più alti dignitari dell’impero, aveva giurato che il suo matrimonio sarebbe stato morganatico (tipo di nozze tra persone di rango sociale diverso, che impedisce il passaggio alla moglie dei titoli e dei privilegi del marito; Sofia non fu mai arciduchessa, ma ricevette dall’imperatore il titolo di  Duchessa di Hohenberg ). La cosa peggiore era che i figli così nati, pur essendo legittimi sotto tutti gli altri aspetti, sarebbero stati esclusi dalla successione imperiale. I due bambini che vennero alla luce nei 14 anni di matrimonio erano stati esclusi dal diritto ereditario ancora prima di nascere.

“Ti debbo dire qualcosa ma presto, perché non voglio che tua zia senta quando rientrerà. So che tra poco mi uccideranno. In questa scrivania ci sono dei documenti che ti affido. Se succede qualcosa prendili. Sono per te.”

Questa sconvolgente testimonianza, raccolta dallo storico Inglese Gordon Brook Sheperd, viene da una fonte più che mai attendibile: Zita di Borbone –Parma, consorte di Carlo, ultima imperatrice d’Austria. Francesco Ferdinando disse queste parole proprio al nipote Carlo ai primi di maggio del 1914, dopo averlo invitato a cena con la moglie al palazzo del Belvedere. Una sorta di “passaggio di consegne” considerando che neppure due mesi dopo sarebbe stato lui il nuovo erede e dal novembre 1916, il nuovo imperatore.

Ma perché Francesco Ferdinando ebbe una tale premonizione? E se sapeva qualcosa, per quale motivo volle ugualmente compiere quel viaggio fatale? L’arciduca si era recato in Bosnia - Erzegovina con la sua Sofia per assistere a manovre militari, ma avrebbe potuto benissimo evitare la visita in città.  Una cosa è comunque certa: con Francesco Ferdinando fu ucciso proprio il miglior amico che gli slavi del sud avesse mai avuto nell’impero. Il suo progetto politico era quello di abolire la soluzione “dualistica” , che dal 1867 aveva trasformato l’impero austriaco nella “duplice monarchia” austroungarica, dando notevole peso alla  componente ungherese, per dar vita a una sorta di “trialismo”, rafforzando la componente slava, soprattutto i Croati: una sorta di “ Iugoslavia” sotto però l’egida dell’impero. Per quanto fosse un progetto molto difficile da attuare, spiega però facilmente perché la Serbia, desiderosa di diventare lo stato egemone dei Balcani,  nutrisse una profonda avversione nei confronti dell’arciduca e il coinvolgimento “ufficiale” del governo serbo nell’attentato è oggi ben più che un semplice e fondato sospetto.

L’attentato di Sarajevo fu dunque la scintilla che fece esplodere la “polveriera balcanica” che consentì alle tante, troppe tensioni imperialistiche ed economiche di trovare il loro sfogo mortale. 

L’attentato di Sarajevo è il frutto di una incredibile catena di eventi imprevedibili . Intanto, le misure di sicurezza prese dalle autorità locali erano inadeguate: solo un arresto preventivo di una cinquantina di sospetti. E sull’Appel Kai, il lungofiume che porta al municipio di Sarajevo, era schierato un gruppetto di sette attentatori, con tre pistole e sei bombe: l’agguato era stato organizzato dalla “Mano Nera”, una società segreta di ufficiali serbi che sognava un impero slavo, ma gli esecutori erano stati reclutati tra gruppi di studenti fanatici, per allontanare ogni sospetto.

Una automobile Graef e Stift  modello 1910, guidata dall’autista triestino Caro Cirillo Diviak, con capote abbassata, ha l’onore di trasportare la coppia principesca in quel viaggio verso la morte: non solo loro, ma di centinaia di migliaia di persone. Un viaggio verso l’inferno, la cui prima tappa è scandita dalle bombe. L’automobile, in un corteo di vetture, deve percorre l’Appel Kai fino al municipio;  durante il tragitto vengono lanciate due bombe; e Francesco Ferdinando, con il coraggio tipico degli Asburgo e una eccezionale prontezza, riesce a deviarne una con la mano e farla ruzzolare a terra, mentre la seconda esplode sotto un’altra vettura ferendo un’ufficiale. L’attentato sembra dunque fallito. L’arciduca, comprensibilmente alterato, rimprovera  l’imbarazzatissimo sindaco: “ Signor sindaco . Uno viene in visita di cortesia ed è accolto con le bombe. E’ vergognoso.” Ma subito ricupera il suo spirito: quando qualcuno del seguito gli comunica “Altezza, il vostro attentatore è stato arrestato”, ribatte “Vedrete che invece di metterlo sottochiave gli daranno una medaglia.”

Intanto si era fatto tardi. Francesco Ferdinando, non volendo tardare al banchetto ufficiale offerto dal governatore, rinuncia a visitare il museo nazionale. E qui il destino gioca le sue carte. La vettura di testa del corteo ignora la variazione del programma e si dirige verso il museo, svoltando in una strada in cui, in una birreria, si è rifugiato Princip, desolato per il fallimento dell’agguato. A questo punto, la prima automobile del corteo imperiale, il cui artista è stato avvertito dell’errore, rallenta per invertire la marcia e lo stesso fa la seconda vettura, che è quella dell’arciduca: il corteo è praticamente fermo. Princip, che si accorto della cosa, ne approfitta per saltare sul predellino dell’auto e aprire il fuoco: l’arciduca è colpito alla gola, sua moglie all’addome. Entrambi spireranno prima di giungere all’ospedale.

“Ho esitato un attimo solo quando vidi la duchessa seduta vicino all’arciduca, io non avrei voluto ucciderla” dichiara l’assassino senza un’ombra di pentimento. Questo è quanto riporta il quotidiano italiano  Il Secolo del 29 giugno, ricco di particolari nel racconto dell’attentato e dell’ultima, tragica visita dell’arciduca.  I servizi iniziano del resto con un incipit ad effetto: “Il tragico destino della famiglia imperiale di Asburgo ha mietuto altre vittime” e commenta “L’orrore per il sangue versato ci impedisce di indagare freddamente il significato della tragedia di Sarajevo e di considerarne le probabili conseguenze politiche”. La Gazzetta del popolo (quotidiano di Torino) dello stesso giorno parla apertamente di “complotto politico serbo” e non nasconde una punta polemica contro il defunto: “ Francesco Ferdinando è stato ucciso fra quella gente slava di cui pareva incoraggiare le idee di predominio e di invadenza.” Il Corriere della Sera, oltre alle cronache, riporta anche un interessante commento storico politico (La corona tragica):  “L’omicidio è repugnante sempre. Tra la folla che ieri si è scagliata addosso ai due assassini forse erano molti che come essi nutrivano delle speranza nazionali, forse erano molti che non amavano il principe caduto sotto i loro colpi. Ma anche questi si sono separati da loro, anche questi hanno esecrato la loro sanguinaria follia. Oggi delle aspirazioni dei popoli non sono arbitri solo i dominatori; sono testimoni, fautori tutti gli altri popoli. Ma davanti al delitto le simpatie cadono, non c’è gente che voglia apparire solidale con esso. La civiltà ha ribrezzo dei carnefici”

Belle parole, sicuramente, ma che fanno amaramente sorridere se si pensa a quella gigantesca, “inutile strage” (come la definì Benedetto XV) che i folli colpi di Princip avevano preannunciato. E oltre alla strage,  il tramonto e l’agonia della civiltà europea, che oggi, forse, continua a farsi sentire nelle Borse e nelle Cancellerie dei nostri giorni.

Ma tutto questo è ancora lontano dai giornali dell’ epoca, che preferiscono concentrarsi sui particolari macabri o patetici. Tutti o quasi riportano le desolate parole del vecchio imperatore Francesco Giuseppe: “Proprio nulla mi è risparmiato su questa terra”.  Non aveva certo torto, dopo il tragico suicidio del figlio e l’assassinio della moglie adorata. E’ vero che i suoi rapporti con Francesco Ferdinando non erano mai stati buoni e senza dubbio egli preferiva di gran lunga il nuovo erede, l’arciduca Carlo. Ma questo non significava certo gioire per l’ennesima tragedia dinastica e inoltre il sovrano ebbe probabilmente da subito la chiara percezione di quello che quel gesto avrebbe comportato.  E non poté fermare la terribile catena delle conseguenze, anche se sicuramente lo avrebbe voluto.

“Forse i non riusciti sforzi degli Asburgo trovano la spiegazione più evidente attraverso il fallimento dei loro successori” commenta Gordon Brook-Shepeherd a proposito degli esiti del primo conflitto mondiale e delle successive vicende dell’Europa centrale e sudorientale.  Attraverso l’Europa, da allora, è passato di tutto, dal Nazismo al Comunismo agli ultimi, sanguinosi sussulti e scosse d’assestamento seguite al crollo del muro di Berlino e allo sgretolamento di quella Jugoslavia che era stata il sogno e l’obiettivo della Serbia, iniziato nel 1990 e protrattosi per diversi anni.

Gli arciduchi di Sarajevo sono stati dunque le prime vittime di una spaventosa catena di sangue che arriva sin quasi ai nostri giorni e non è affatto detto che sia finita. Un motivo di più per rimpiangere l’Austria Felix?

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Loredana il 04/07/2012 16:46:58

    Domanda difficile, questa. Cosa sarebbe capitato se Princip avesse fallito anche la seconda volta, quando salì sul predellino della macchina?

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