Arthur Rimbaud

Una (poco) tranquilla estate di 140 anni fa

Il viaggio rimbaudiano all'inferno senza ritorno

di Laerte Failli

Una (poco) tranquilla estate di 140 anni fa

Verlaine e Rimbaud

Estate 1872: comincia per Arthur Rimbaud un viaggio che si rivelerà infernale. Eppure, il  poeta di Charleville, che da bambino pare ogni tanto si schiacciasse gli occhi “per avere le visioni”, sembrava avere  una certa confidenza con i demoni. Si raccontava che nel 1871 Victor Hugo gli avesse dato un buffetto chiamandolo “Shakespeare bambino” al che Rimbaud avrebbe replicato con un “vecchio stupido”; ma questo è  nulla rispetto a quel che combinò  il 2 marzo 1872, quando durante una riunione conviviale di poeti  interruppe il “collega” Auguste Creissels  che declamava una sua poesia esclamando “merde” alle fine di ogni verso.   Ne nacque una rissa che finì a coltellate e certo non giovò all’immagine sociale del giovane genio ribelle.

La mia superiorità sta nel fatto che io non ho cuore …. diceva di sé …. 

L’estate …  l’estate è opprimente: la calura non è molto costante, ma  a vedere che il bel tempo interessa a tutti, e che tutti sono dei porci,  odio l’estate che mi uccide non appena si manifesta …

Maggio – giugno 1872; è ancora una volta a Parigi, alloggia in una stanzetta d’albergo vicino alla Sorbona; si svegliava alle cinque del mattino, andava a ubriacarsi d’assenzio e alle cinque tornava barcollando sul letto. L’uomo dalle suole di vento, come lo definirà Verlaine, languiva in una sorta di infernale languore. Ma il 7 luglio (per caso?) i due si incontreranno mentre Rimbaud  stava partendo per il Belgio e Verlaine era uscito per compare medicine alla moglie.  Cominciò così l’avventura  “infernale” che, dopo varie peregrinazioni per l’Olanda e l’Inghilterra, riconciliazioni e litigi di un rapporto torbido e destinato a suscitare scandalo, giunse drammatico epilogo dell’agosto 1873, con il litigio, il ferimento di Rimbaud e la condanna di Verlaine

“Il battello ebbro” (Le bateau Ivre)  incarna bene la personalità e “stile” del poeta; composta nel 1871, si può leggerla come un presagio dell’avventura  “infernale” che verrà poi invece rievocata (o meglio evocata) in una stagione all’inferno.   Il titolo già denota un accostamento con la caratteristica peculiare dei poeti maledetti; l’ebbrezza come strumento, uno dei tanti, per conservare la quintessenza e farsi così veggente: lo “regolamento di tutti i sensi” di cui parla nella Lettera del Veggente.

L’autore riprende il tema del viaggio, frequente nella tradizione romantica esprimendolo con una nuova libertà di immagini e straordinaria capacità d’evocazione e d’incanto.

L’imbarcazione ha la caratteristica di essere sola ( privo del suo equipaggio ) come se i “bardotti” indicassero il legame o ancor meglio i legami dell’uomo ( nel caso specifico il poeta ) con la società

Non a caso Rimbaud sceglie un fiume incontaminato nella allora primitiva America simbolo di libertà e istinto naturale ad evadere dalla innaturale seppur rassicurante realtà sociale, ed è qui che il battello-uomo si lascia trasportare dalla nuova dimensione fatta di sensazioni intense ed estenuanti che vengono affrontate dallo scrittore come una barca che anela il mare eppur lo teme.

All’interno del testo inoltre il poeta riconosce e sottolinea il caos ( fratello e sinonimo dell’inciviltà intesa come stato naturale ) attraverso la visione di isole che vanno alla deriva evidenziando l’involontarietà di un processo che nel caso specifico è il percorso del poeta.

Molto importante inoltre è il processo di purificazione che è ben enunciato nel testo; l’autore infatti ( come il battello privo di guida ) non si degna della realtà e delle sue leggi per andare avanti nel suo viaggio ( il viaggio del battello nel fiume ) ma si lascia abbracciare e trascinare dal viaggio stesso per non contrastarne l’evoluzione.

Probabilmente il testo poetico è riferito almeno in parte alle sue  notorie esperienze con la droga.

Per “purificazione” lo scrittore intende appunto quel procedimento di evasione dalla dimensione temporale e quindi dal ricordo, o meglio ancora dall’insieme di ricordi che creano in un ciclo infinito lo stato d’animo nel presente. Quindi l’uomo per purificarsi non deve pensare collocandosi nel tempo ma all’interno di una dimensione eterna, sospensiva, surreale.

Grazie a questi due processi ( rottura della realtà e purificazione dell’animo ) l’autore giunge all’ignoto, confuso ed affascinante ma allo stesso tempo imprevedibile, pieno di sensazioni aspre e forti più di ogni realtà: 

Io so i cieli scoppianti in lampi e le trombe
E le risacche e le correnti; so la sera,
l'alba esaltata come un popolo di colombe,
e ho visto talvolta ciò che l'uomo credette di vedere.

Parte cruciale del componimento probabilmente è la descrizione del seguitare di queste visioni-sensazioni che aumentano man mano la loro intensità emotiva , soprattutto rendendo sempre più importante ma succube il viaggiatore ( lui stesso ) che inconsciamente sente il peso di tale intensità e sente il bisogno di tranquillità , elemento possibile solo con un brusco ritorno alla tanto odiata realtà (“ Io rimpiango l’Europa dai balconi antichi”).

Ma l’evento del viaggio è troppo denso di emozioni fortissime a volte contrastanti tra loro e prima o poi stordiscono i sentimenti umani ( o nel caso specifico quelli dell’autore ) e creano nel navigatore una sensazione di panico che sfocia nel desiderio di realtà o in alcuni frangenti alla morte come soluzione di questo eterno disagio:

Ma, davvero, ho troppo pianto. Le albe sono strazianti,
ogni luna è atroce ed ogni sole amaro.
L'acre amore m'ha gonfiato di torpori inebrianti.
Oh, esploda la mia chiglia! Oh, ch'io m'inabissi nel mare!

In realtà comunque il poeta comprende che il bisogno che sente non  è quello di uscire dalla realtà              (ambizione troppo forte per l’uomo comune ) ma quello di eliminare il tempo o meglio ancora il ricordo, frutto del passato che rende invivibile il presente e angoscioso il pensiero rivolto al futuro.

Resta  tra le righe, qui e altrove, l’esaltazione della gioventù, simbolo di speranza che pur se in mezzo all’orrido della vita e della società  (specialmente quella capitalista ) e quindi consapevole della realtà che lo circonda riesce per qualche strana alchimia a mantenersi  in un fragile equilibrio. 

Messaggio ancora attuale che scaturisce da una stagione poetica che con il suo modus operandi e vivendi ha influenzato la letteratura successiva.





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    2 commenti per questo articolo

  • Inserito da Roberto Bellassai il 20/06/2012 17:31:55

    A.Rimbaud,il poeta maledetto,amava,frequentava e viveva l'eccesso dell'uomo,attraversando se stesso e i suoi infiniti doppi,con la poesia,con le azioni,fino a deragliare,ad andare fuori di sè,per scordarsi di sè.

  • Inserito da Loredana il 20/06/2012 16:26:26

    Qualcuno disse che Rimbaud poteva essere un diavolo uscito dall'inferno. Ecco perché ci rientrò anche così in fretta...un temperamento come il suo, troppo al di fuori degli schemi, troppo intenso e "senza pelle", al limite dell'arroganza pura, non poteva restare qui con gli altri esseri umani. E le sue poesie rendono ebbri (talvolta pure troppo) chi le legge, come il suo Battello.

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