Maggio Musicale Fiorentino

The rake's progress; il capolavoro di Stravinskij in scena a Firenze, in una edizione molto apprezzata.

Molto applauditi il maestro Daniele Gatti e la soprano Sara Blanch. Uno spettacolo gradevole e nel complesso ben calibrato.

di Domenico Del Nero

The rake's progress; il capolavoro di Stravinskij in scena a Firenze, in una edizione  molto apprezzata.

È un libertino molto “colorato” quello che sta andando in scena in questi giorni a Firenze al teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Il capolavoro neoclassico di Igor Stravinskij  The Rake’s Progress  (la carriera di un libertino) si inserisce perfettamente nel “festival di carnevale” del teatro fiorentino: “ Il mito del Faust, a cui è dedicato il Festival di Carnevale, torna in modo evidente anche nella trama del Rake’s Progress che possiamo definire una versione moderna del “Dottor Faust”: anche in questo caso troviamo la figura del diavolo tentatore, ‘incarnata’ dal personaggio Nick Shadow, che offre al protagonista uno straordinario e stravolgente cambio di vita ma a un prezzo carissimo: l’anima. Con l’opera di Stravinskij siamo dunque perfettamente in tema con il soggetto del Festival, che da poco ha visto l’esecuzione di un'altra opera di rara esecuzione come il Doktor Faust di Ferruccio Busoni”. Così il maestro Daniele Gatti, che dirige anche in questa produzione l’orchestra e il coro del Maggio; in effetti, il protagonista Tom Rakewell è una versione più … modesta di Faust; non gli interessano tanto la conoscenza e il significato ultimo dell’esistenza, ma semplicemente la ricchezza e una vita più comoda, con un tocco di altruismo nella improbabile “invenzione” di una macchina che trasformi le pietre in pane. E anche lui trova il suo Mefistofele nella figura di Nick Shadow; del resto, se il demone di Faust è colui che odia la luce, il cognome Shadow rimanda esplicitamente alla tenebra e tutta la sua azione è volta beffardamente alla rovina dell’ingenuo Tom, che avrebbe un “angelo custode” nella figura di Anne, fedele innamorata che però non riesce a redimerlo.

Stravinskij, giunto negli Stati Uniti nel 1939, decise di scrivere un’opera in Inglese ma fu solo nel 1947 che il progetto si concretizzò, quando il compositore rimase colpito dal ciclo di tele di William Hogarth esposte al Chicago Art Institute, che descrivevano l’ascesa e la caduta di Tom Rakewell, uno spendaccione che dilapida dissennatamente i propri averi e finisce i suoi giorni in manicomio. Stravinskij pensò subito di farne un’opera e si rivolse per la stesura del libretto al poeta britannico Wystan Hugh Auden a cui si affiancherà anche Chester Kallmann. Nel marzo del 1948 il libretto fu pronto, mentre per la musica Stravinskij si prese più tempo, concludendo la partitura solo tre anni dopo. The Rake’s Progress debuttò al Teatro La Fenice di Venezia l’11 settembre 1951 con lo stesso autore sul podio per la prima assoluta. Il pubblico apprezzò, la critica meno, ma oggi nessuno mette in discussione il capolavoro. Si tratta di un’opera in stile “settecentesco”, quindi struttura in pezzi chiusi con tanto di clavicembalo per i recitativi e una seria di rimandi e citazioni da  Monteverdi a Mozart (soprattutto) sino a occhieggiare il Falstaff verdiano.

L’edizione fiorentina vede la regia affidata a Frederic Wake-Walker, alla sua terza produzione al Maggio dopo le recite di Adriana Lecouvreur del maggio 2021 e del recente Roméo et Juliette, secondo titolo dello scorso 84º Festival del Maggio: “ La scenografia utilizza una grande quantità di schermi: inizia in un ambiente naturale e molto naive che rappresenta la campagna e il mondo di Anne e suo padre Trulove. Dal momento che ‘andiamo’ a Londra l’ambiente diventa più digitale e artificiale: essa non solo rappresenta una città immorale e corrotta, ma anche questo mondo digitale ‘disconnesso’ nel quale adesso viviamo. Abbiamo dunque cercato di farci ispirare da elementi visivi settecenteschi, del ventesimo secolo e anche dal mondo contemporaneo, unendoli insieme, proprio come fatto da Stravinskij con la musica”. Così il regista e l’idea in sé è senza dubbio valida; ma per quanto l’allestimento abbia una sua efficacia e sia stato apprezzato dal pubblico, ci sono senz’altro alcune “dissonanze”; in primis, avere un po’ troppo evidenziato uno spirito da “commedia” che non sembra molto presente nell’opera; inoltre il regista si affida quasi esclusivamente ai video di Ergo Phizmiz che danno al tutto un tocco “favolistico” un po’ troppo insistito. Tuttavia il contrasto tra l’idilliaca scena campestre del primo atto e l’ambiente cittadino del secondo e terzo, in cui viene evidenziata la corruzione di una civiltà sempre più “consumistica” è ben centrato, Baba la turca (senza barba!) ha le movenze e il fascino ambiguo di una rock star, mentre il pacco in cui viene consegnata fa pensare vagamente ad Amazon. Le scene finali del cimitero in cui il diavolo svela il suo vero volto  e del manicomio in cui Tom muore disperato hanno comunque un discreto impatto. In conclusione; pur con alcune perplessità il giudizio è nel complesso positivo, anche per i costumi, tra il settecentesco e il contemporaneo, di Anna Jones.

Nessuna riserva invece sulla direzione di Daniele Gatti e sulla prestazione dell’orchestra e coro del Maggio: il maestro evidenzia tutte le “luci ed ombre” della partitura, il gioco delle “citazioni”,  l tono ora brillante (a partire dal vigoroso incipit) ora cupo e malinconico, evidenziando perfettamente la sintesi di antico e di moderno che caratterizza quest’opera. L’orchestra lo asseconda perfettamente con un suono nitido e quasi “scolpito”, mentre il coro dà come consueto il meglio di sé sia sul piano vocale che su quello della recitazione.

Per quanto riguarda il cast, nel suo complesso senz’altro di buon livello, la migliore è senza dubbio la Anne Trulove di  Sara Blanch:  Anne si rivela una fanciulla pura e dolce ma anche ferma e decisa, con un timbro cristallino che si adatta perfettamente al personaggio,  un ottimo fraseggio e una completa padronanza dell’acuto. Bravissima anche  Baba la turca di Adriana di Paola, del tutto a suo agio in questa versione un po’ rock di un personaggio ambiguo ma tutto sommato positivo; un contralto dal timbro caldo e dalla voce piena, che dà il meglio di sé nella zona centrale.

Tra i personaggi maschili,  Matthew Swensen offre una buona caratterizzazione del superficiale e ingenuo protagonista; il volume della voce lascia a volte un po’ a desiderare, ma il fraseggio è elegante e ineccepibile. Il  Nick Shadow di Vito Priante è ironico e insinuante, un perfetto “tentatore” in stile Mefistofele, dotato di uno strumento vocale dal volume deciso e un timbro piacevolmente brunito.  Ottimo il successo di pubblico. Che ha applaudito in modo particolare il direttore e Sara Blanch.

Buone e ben scelte anche le parti minori. Da non perdere, repliche stasera e il 19 e 26 marzo alle ore 15.30.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Milani Cinzia il 20/03/2023 19:11:52

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