Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
È sicuramente una grossa scommessa e un titolo molto impegnativo. Doktor Faust di Ferruccio Busoni, in scena in questi giorni, insieme a Traviata, al Maggio Musicale Fiorentino fa sicuramente onore a un teatro che ha fatto - soprattutto con il suo festival primaverile – della riscoperta di titoli meno noti o addirittura dimenticati uno degli assi portanti della sua offerta culturale.
In questo ciclo dedicato al mito di Faust l’opera di Busoni è dunque la colonna portante. Se dispiace un po’ a chi scrive il fatto che sia rimasto in panchina il Mefistofele di Arrigo Boito, non c’è dubbio che questa operazione sia stata di grande importanza e anche almeno in una certa misura premiata dal pubblico, sia come presenze che come applausi.
“Questo però non significa che il problema della conoscenza, centrale nel mito di Faust, sia del tutto escluso: piuttosto Busoni lo fa proprio, lo assume in senso autobiografico, lo reinterpreta come personale dramma creativo. Con tipico meccanismo di ascendenza romantica, l’autore si identifica nel suo personaggio; così che entrambi finiscono per porsi una stessa domanda sul senso delle cose, sull’estrinsecazione della loro potenzialità, sul compito che gli è dato svolgere. Attraverso il doktor Faust opera intesa come definitivo compimento, Busoni intendeva (…) replicare in modo creativo al problema della conoscenza di sé e del mondo”. [1]
Il Faust di Busoni non è, come quello di Boito, basato sul monumentale capolavoro di Goethe, ma piuttosto dalla versione del dramma di Faust offerta negli antichi spettacoli di marionette tedeschi (i cosiddetti Faustpuppenspiele), tenendo presente anche il The Tragical History of Doctor Faustus di Christopher Marlowe; fonti dunque meno “filosofiche”, e ricche, soprattutto i primi, di elementi fantastici, magici e sovrannaturali. Ma questo non significa, per l’appunto che l’elemento filosofico sia assente, soprattutto visto in chiave di ricerca autobiografica. Ed è proprio questo che viene sottolineato con forza nella attuale edizione fiorentina: la direzione d’orchestra è stata affidata al maestro Cornelius Meister, al suo debutto assoluto al Maggio, un interprete affermato con un ampio repertorio tra cui spiccano le interpretazioni di Wagner, il cui Ring ha diretto l’estate scorso a Bayreuth. Ma è soprattutto la splendida regia di Davide Livermore a sottolineare questo aspetto autobiografico: “Tutti i personaggi in scena, da Faust stesso sino agli studenti, sono manifestazioni diverse di una singola persona, lo stesso Ferruccio Busoni: sono aspetti del suo carattere, intuizione suggeritami dalla stessa sostanza del Faust; un viaggio psico-analitico dell’autore dentro sé stesso. Tutti coloro che calcheranno la scena saranno come controfigure per il vero protagonista, ossia l’autore stesso. E nel rappresentare quelli che sono i propri stati d’animo, essi saranno costretti a veder riflettere le proprie immagini in delle pareti di specchi. Questo aggiunto al grande lavoro videografico, che darà a tutti la sensazione di essere in un enorme caleidoscopio emotivo, dove ogni emozione viene ‘passata al setaccio’: la cieca rabbia, l'inferno, il paradiso e l’umanità; tutto ciò che un uomo può sperimentare nella vita. Anche le figure femminili hanno un’enorme importanza: saranno vere e proprie proiezioni di come lui vede la donna; non c’è mai accettazione o parità. Faust è un personaggio profondamente egoista”. Così il regista in una intervista al Corriere fiorentino .
Ed è sicuramente la regia di Livermore uno dei punti di forza di questo spettacolo, che si avvale delle scene di Giò Forma, degli affascinanti costumi di Mariana Fracasso, delle luci di Fiammetta Baldiserri e del Video D-Wok, che dato un contributo determinante e di grande effetto all’apparato scenico. Il regista vede l’opera come una sorta di iter mentis all’interno di Busoni stesso, tanto che tutti i personaggi sono forniti di una maschera che rappresenta il compositore. Faust e Mefistofele poi sono sicuramente “complementari”, volti di un “trasumanar” che certo non si affida alla grazia divina. Scene fantasmagoriche tra l’onirico e il surreale, la biblioteca di Faust proiettata sullo sfondo che subisce metamorfosi continue trasformandosi in lingue di fuoco, spazi siderali, sfondi seducenti. Un caleidoscopio di immagini che però non sono mai fini a sé stesse ma si dipanano lungo il filo narrativo, complicato e poco “drammatico”, tessuto dal compositore, a cui Livermore dà un fascino e una coerenza davvero magistrali.
Di ottimo livello anche la direzione di Cornelius Meister, che si muove con grande sicurezza nei meandri di una partitura sicuramente complessa e non sempre di agevole ascolto, ma di grande fascino nel suo librarsi tra suggestioni tardoromantiche e sperimentazioni novecentesche, con gli echi di musiche rinascimentali e le ampie introduzioni e intermezzi sinfonici. Splendida la prova di un’orchestra che esegue una partitura insolita come se fosse di repertorio, e del coro diretto da Lorenzo Fratini.
Qualche fragilità nella parte vocale: il protagonista, il baritono Dietrich Henschel, malgrado la lunga frequentazione del ruolo, non emerge più di tanto nel lussureggiante tappeto sonoro fornito dall’orchestra: la voce non mostra una grande potenza e sembra talvolta un po’ in difficoltà nel registro acuto. Bisogna peraltro considerare che Faust è praticamente sempre presente in scena e la parte è decisamente ardua, per cui nel complesso si può parlare di una performance dignitosa e convincente sul piano attoriale. Il tenore Daniel Brenna è invece un Mefistofele non particolarmente… diabolico, salvo alcuni momenti; anche la sua parte poi è decisamente ardua e faticosa, e soprattutto nell’ultima parte il cantante sembra sentire un po’ la fatica e i suoi acuti perdono un po’ di smalto.
Buoni nel complesso gli altri interpreti; si segnalano in particolare la duchessa di Parma della soprano Olga Bezsmertna , dotata di un bel timbro, un buon volume e acuti decisi, oltre ad un’ottima presenza scenica; decisamente notevole anche la prova del tenore Joseph Dahdah, talento appena formatosi dall’Accademia del Maggio, che interpreta con bel timbro e notevole fraseggio il duplice di ruolo di soldato fratello di Greta e duca di Parma.
Da vedere; ultima replica martedì 21 febbraio, ore 20. La recensione si riferisce alla recita di martedì 14 febbraio.
[1] Maurizio BIONDI, “Doktor Faust in breve”, in Ferruccio Busoni Doktor Faust Firenze, 2023, pp. 47-48 (programma di sala)-
Inserito da Milani Cinzia il 20/03/2023 19:12:27
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