Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Più che alle brume del nord, l’atmosfera rimanda alla tragedia greca. È un bel “pugno nello stomaco” questo Spettri di Henrik Ibsen nell’adattamento e versione italiana di Fausto Paravidino, in scena al teatro fiorentino della Pergola da ieri (martedì 7 febbraio) fino a domenica. Un vero e propria climax di tensione angosciosa che culmina poi in un finale dolente, quasi da passione religiosa, con la grande protagonista Andrea Jonasson, mancante dalle scene fiorentine da oltre 15 anni, che rimane come una Madonna dolente davanti alla malattia senza scampo del figlio, vittima innocente di un padre che sembra essere stato l’incarnazione del male.
Se il dramma di Ibsen viene ridotto rispetto al testo originali, con alcuni tagli e modifiche (in tutto un atto unico della durata di circa un’ora e mezzo) lo spirito e il messaggio rimangono intatti: il discreto fascino della borghesia perde la sua maschera, per svelare il suo retroterra di ipocrisie, tensioni e sporcizia, facendo della famiglia una sorta di “trappola mortale” un po’ come sarà quella di Pirandello, anche se in un’ottica diversa. Merito di una sceneggiatura ben calibrata ed efficace, di una scenografia “al nero”, scabra e angosciosa e di una compagnia di attori bene affiatata; se la Jonasson è senza dubbio la colonna portante dello spettacolo, i suoi colleghi fanno comunque la loro parte con professionalità e abilità.
“La verità è la cosa più difficile da rivelare – dice il regista Rimas Tuminas – e in questa versione di Spettri è ben rappresentato non solo il disvelamento dei segreti familiari, ma anche l’esternazione dei fantasmi che si nascondono e vivono dentro ognuno di noi. Le illusioni collassano, crudeli realtà vengono rivelate e l’immagine della famiglia ideale si frantuma, mostrando ciascun membro per quello che realmente è”. In questo dramma infatti, proprio come nella saghe degli Atridi e dei Labdacidi, si mescolano incesto, follia, verità sconvolgenti che vengono alla luce dopo lunghi periodi di silenzi e ipocrite menzogne. La versione di Spettri presentata a Firenze si svolge in una sorta di dimensione “onirica”, nella testa della protagonista che anni dopo la vicenda di cui si parla è perseguitata dai “fantasmi” di quell’episodio che continuano a perseguitarla. Helene Alving è una ricca vedova, impegnata a perpetuare la memoria del marito, al cui nome si intitolerà un asilo. Dal suo dialogo con il Pastore Manders (Fabio Sartor) viene presto rivelato il vero volto di quel marito, corrotto e traditore. Helene in gioventù lo fuggì rifugiandosi fra le braccia del Pastore, che, però, la rifiutò in nome di un’ipocrita morale borghese.
Il figlio Osvald ( Gianluca Merolli) ha vissuto all’oscuro di tutto, ma rientra a casa da Parigi, dove ha capito di essere malato e destinato alla follia: la madre non può più nascondergli che la malattia, la sifilide, è un’eredità delle dissolutezze paterne. Anche l’ultima flebile luce nel plumbeo futuro di Osvald – un delicato sentimento per Regine Engstrand (Eleonora Panizzo), giovane cameriera di casa – si spegne davanti allo spettro del padre: la giovane è, infatti, frutto di una sua relazione e gli è dunque sorellastra.
La rivelazione farà sì che Regine si riduca in un bordello, quella “Casa del marinaio” voluta da suo padre, il falegname Jakob Engstrand (Giancarlo Previati), zoppo dalla parte del “male”, cioè la sinistra, e che incarna il maligno. Mentre Osvald, travolto dalla follia, fra le braccia della madre – in una delle più celebri battute della storia del teatro – invoca con mesto sussurro il sole.
Le scene di Adomas Jacovskis riproducono un interno di un salotto borghese, dai toni cupi e opprimenti e uno specchio sullo sfondo ancorato a dei tiranti, che si muove soprattutto durante la danza di Osvald e Regine. Aleggia poi sulla scena una sorta di fumo, forse ad evocare gli spettri del passato ma anche una sorta di cortina fumogena che occulta la verità. Perfettamente intonati sia il disegno delle luci di Fiammetta Baldiserri che la colonna sonora, in cui spicca il Valse Triste di Sibelius.
Andrea Jonasson è una Helene sobria ed elegante ma anche determinata, che dissolve il velo di menzogne in cui è stata immersa ma assiste poi impotente alla malattia e all’aggravamento del figlio Osvald: ottima l’interpretazione di Gianluca Merolli, che porta sulla scena il crudele e inesorabile progredire della follia causata dalla sifilide, la quale spegne la vitalità e la gioia di vivere del giovane. La Regine di Eleonora Panizzo è una giovane ingenua che passa bruscamente dall’amore alla disillusione; impeccabili anche Fabio Sartor nel suolo del pastore Manders e Giancarlo Previati in quello del mefistofelico falegname Jakob Engstrand.
Applausi convinti dal pubblico alla fine di uno spettacolo decisamente da vedere: prossime repliche mercoledì, venerdì, sabato, ore 21; giovedì, ore 19; domenica, ore 16.
Inserito da Milani Cinzia il 20/03/2023 19:12:58
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Inserito da JAN il 17/02/2023 19:10:10
Inserito da JAN il 17/02/2023 19:09:20
Inserito da JAN il 17/02/2023 19:08:44
Inserito da JAN il 17/02/2023 19:08:20
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