RACCONTI DI UN'ALTRA STAGIONE

12. Storia di una porta murata

Breve storia di un uomo che si ritrovò murato dentro casa sua

di Giulia Bartolini

12. Storia di una porta murata

In un'altra stagione, in un mondo simile al nostro ma un po' più tollerante,


C’era una volta un uomo che, una mattina come le altre, si svegliò a casa sua, nel suo letto. 

Si alzò dal letto, uscì dalla porta della sua camera, indossò la vestaglia, le pantofole, andò in cucina, mise la macchinetta del caffè sul fuoco poi si mosse verso l’ingresso, aprì il portone, con l’idea di prendere il giornale sul pianerottolo, e batté il naso su quello che sembrava un muro.

Si massaggiò il naso, si guardò un po’ intorno, poi richiuse la porta, e, come se non fosse successo nulla, mise su un bel sorriso, e la riaprì, per prendere il giornale. Bum. Il naso. Di nuovo.

C’era un muro di cemento dietro il portone.

Il nostro uomo tacque per un po’, sgomento. Al che, di nuovo, provò a chiudere la porta e a riaprirla: il muro c’era ancora; allora prese una sedia dalla cucina e si sedette di fronte alla porta aperta su quel muro di cemento.

Forse stava ancora sognando. Si diede uno schiaffo. Ma il muro era ancora lì.

Era murato dentro casa.

S’era forse sbagliato? La porta di casa non era quella e se l’era dimenticato? Forse c’era un’altra porta sul retro? Aveva fatto murare la porta per qualche motivo, poi gli era venuta quella brutta malattia della memoria e, niente, se l’era scordato?...

Ma perché un muro? Chi è che si fa murare dentro casa?

No, no. Si ricordava tutto della sera prima: era andato a cena da un amico; era tornato a casa (un po’ ciucco, a dirla tutta) verso l’una di notte; era entrato da quella porta, aveva chiuso a chiave e poi era andato a dormire. Ma il muro non c’era, no, no. Quel muro la sera prima non c’era. Dovevano averlo costruito nella notte. O la mattina presto.

Guardo l’orologio e s’accorse d’essersi, effettivamente, svegliato tardi. Si rimproverò. Ecco cosa succede quando ti svegli troppo tardi! Ti murano vivo in casa!

Ma perché? Per fargli uno scherzo? I suoi vicini? Non erano certo così svegli.

E non era certo uno scherzo da poco.

Cominciò a riflettere. Un muro esiste per tenere qualcosa o qualcuno fuori o per chiudere qualcuno o qualcosa dentro. Non l’aveva costruito lui, in un delirio notturno...Allora quel muro doveva essere stato costruito da qualcuno fuori per tenere qualcuno dentro. E visto che lì dentro c’era solo lui…ecco che nacque il pensiero più spaventoso: “Io sono pericoloso, per questo mi hanno rinchiuso qui”. In quale senso, secondo quale logica, il nostro uomo non seppe dirselo.

Cominciò ad analizzare la questione.

Sapeva d’essere, tendenzialmente, una brava persona.

Faceva la raccolta differenziata.

Salutava sempre i vicini quando li incontrava per le scale.

Raccoglieva la cacca del cane e la buttava nel cassonetto.

Non fumava, non beveva (non troppo almeno);

andava a comprare sia al grande supermercato che al piccolo;

andava a fare una nuotatina almeno una volta a settimana;

cercava di mangiare sano (non era vegetariano ma non potevano certo murarlo vivo per questa ragione);

andava sempre a votare e non lasciava mai la scheda in bianco, prendeva sempre una decisione…sì, lui era uno di quelli che prendono decisioni, che si schierano; sceglieva, non si tirava indietro, no, no, non poteva definirsi un uomo vigliacco, dopotutto.

C’era sempre per i suoi amici…certo, non rispondeva sempre al telefono, ma dopotutto, chi risponde sempre al telefono?... ma richiamava! Sì, richiamava sempre…

chiamava la mamma, e il padre e chiamava le nonne;

non rubava…no! non avevo mai rubato nulla (solo una volta al cinema, a tredici anni, con gli amichetti, aveva provato a non pagare certe caramelle…ma poi era tornato subito indietro piangendo e porgendo i soldi dovuti alla cassiera che lo aveva guardato senza capire) …insomma, era un brav’uomo. Lo era. Sì. Ne era piuttosto sicuro.

Quindi perché? Perché era pericoloso?

Non sapendo darsi una riposta, dopo aver pensato alle sue colpe, cominciò a pensare a quelle del mondo…Fuori da casa sua doveva essere scoppiato un pandemonio! Sì. Sicuramente. C'era una guerra in atto e per proteggere le persone le avevano murate vive dentro casa. Folle, forse, ma possibile. Durante la guerra dopotutto (e purtroppo) tutto è possibile.

Poi pensò ad un attentato. Terroristi! Avevano attaccato il suo palazzo, murati vivi i condomini per prendere il potere…ma su cosa? Sul suo povero e insignificante condominio di periferia?

Quelli del piano di sotto! Sì, dovevano essere stati loro, sicuramente… all’ultima riunione di condominio, il signor Tal Dei Tali del piano di sotto aveva dichiarato l’intento di candidarsi come nuovo amministratore e lui, trovandolo un uomo assolutamente incapace e anche piuttosto scortese, aveva espresso un certo disappunto, dicendo che, l’attitudine al comando non la si trova certo per caso, sotto il letto… sì, doveva essere stato lui: lo aveva murato vivo per fare un colpo di stato e diventare amministratore.

Insomma, i pensieri folli che lo confusero furono molteplici.

Poi, ad un certo punto, decise di agire.  Da principio cominciò ad urlare contro la porta murata, sperando che qualcuno lo sentisse, poi, chiedendosi perché non ci avesse pensato prima, s’affacciò dalla finestra della cucina e chiese aiuto, a gran voce, come un pazzo.

Ad un certo punto, finalmente, la signora del piano di sotto (moglie del suddetto aspirante amministratore) s’affacciò e gli chiese cosa fosse successo.

«Sono murato vivo!»

La signora non capì.

«La mia porta di casa è murata! Anche la sua?»

«No…», rispose la signora come se fosse la cosa più naturale del mondo, «la mia no!»

Al che il nostro uomo capì. Si trattava proprio di lui e solo di lui.

Questo lo spaventò, ma prima rimettersi a riflettere sul quel suo stato di "individuo pericoloso per la società", spinto da un potentissimo istinto di sopravvivenza, dopo aver richiamato l’attenzione di tutto il palazzo, che, scioccato, si ritrovò effettivamente a constatare che la porta dell’appartamento all’ultimo piano era davvero murata, chiese che la questione fosse risolta.

Tutti si attivarono. Chi si propose di aiutarlo a calarsi dalla finestra, chi disse di chiamare i pompieri, chi gli chiese perchè non avesse ancora telefonato alla polizia....ma il nostro uomo rispose che il punto non era uscire di casa, il punto era uscire di casa dalla porta, che non avrebbe dovuto essere murata. Chiese quindi che chiamassero una ditta capace di risolvere il problema e visto che, come ben sappiamo, a volte, la burocrazia è un po’ lenta, il signore in questione passò ben quattro giorni murato dentro casa.

Il quarto giorno (era un periodo di festa quindi, si sa, le ditte ci mettono un po’ di più) finalmente il muro fu buttato giù.

Intanto, il nostro uomo aveva avuto il tempo d’aver paura di rimanere solo, di rimpiangere ciò che non aveva ancora fatto o che non aveva avuto il coraggio di fare nella sua vita, di disperarsi profondamente, di gioire della solitudine e di conoscersi un po’ di più. Aveva finito un libro che poi avrebbe rimpianto, chiamato un vecchio amico, e, in soli quattro giorni, era venuto a patti con la questione: sarebbe uscito, avrebbe fatto causa ai responsabili e la sua vita sarebbe tornata come quella di prima, senza sensi di colpa inutili e senza ansie eccessive.

La mattina del quarto giorno, il muro era sparito.

è importante raccontare come andò veramente la faccenda. Il signore in questione viveva all’ultimo piano del palazzo e, accanto alla sua porta, ce n’era un’altra che non portava da nessuna parte: una porta vecchia, che doveva essere “cancellata” da tempo (per così dire), che dava su un muro, una porta inutile perché “non portava” …era quella che avrebbe dovuto essere murata, ma la mattina del lavoro in questione, gli operai s’erano sbagliati, e, essendo le due porte perfettamente identiche, avevano murato la sua. Il signore in questione aveva dormito fino a tardi (questa fu la sua unica colpa) e, avendo il sonno pesante, non s’era accorto di nulla. Quando si era svegliato ormai gli operai se n’erano andati e la porta era murata.

Un errore, un semplice errore che era costato al nostro pover’uomo un sacco d’angoscia e sensi di colpa. Ebbene, lo “smurarono” appena compreso l’errore, con tutte le scuse del caso:

«La ditta la risarcirà», «ci perdoni, non ce ne eravamo accorti», «mi scusi, non volevamo», «meno male che è andato tutto bene» …

“Tutto bene un cavolo!”, pensava il nostro uomo.

Ma dopotutto era un tipo pacifico, e lasciò perdere: sarebbe diventata questa un'avventura da raccontare in futuro.

Erano stati quattro giorni da incubo, ma ora era finita. 

Il nostro uomo si vestì, prese il portafoglio, il cappello, il giacchetto e uscì di nuovo nel mondo per andare a comprare quel benedetto giornale che voleva leggere quella benedetta mattina di quattro giorni prima...E poi per fare tutte le altre cose che avrebbe dovuto, come per esempio, andare al lavoro (s’era dato malato, perché dire che l'avevano murato vivo in casa gli sembrava poco credibile).

Il punto è che quando uscì gli mancò il respiro. S’accorse improvvisamente di essere nel mondo di nuovo, e di doverci stare per forza, perché la sua porta non era più murata. 

Cominciò a camminare per la strada: le persone agivano e vivevano come quattro giorni prima.

Possibile che non fosse cambiato nulla? Lui era rimasto murato in casa per ben quattro giorni eppure anche lui camminava nello stesso modo, si guardava intorno con gli stessi occhi…

Il mondo non s’era rallentato o fermato...correva, di nuovo, velocemente, senza freni, e improvvisamente si sentì mancare il respiro. 

Tornò indietro. 

Si chiuse di nuovo dentro casa e si sedette sulla sedia di fronte alla porta.

Aveva voluto così tanto uscire che non s’era accorto d’essersi disabituato a farlo.

Aveva bisogno di altro tempo, ora. Tempo per ritrovare il coraggio di andare nel mondo.

Tempo per ritrovare l’abitudine di affrontare la vita.

Fuori il mondo era caotico, difficile, complesso, come prima. Non era abituato.

Semplicemente, non era più abituato. 

Rimase a fissare la porta per qualche ora sperando di trovare una soluzione.

Poi smise di pensarci, rimise in testa il capello, e uscì di nuovo nel mondo. 

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