Editoriale

Dantedì? Buona, anzi ottima cosa. Ma certa gente stia alla larga dal Sommo Poeta

Che cosa hanno a che fare Dante e la sua visione del mondo con i valori e le logiche oggi imperanti?

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

sì, abbiamo avuto anche il giorno di Dante, il Dantedì. “Dante rappresenta molte cose di cui oggi abbiamo bisogno. E' l'unità del Paese, e orgoglio e riscoperta delle identità”, pontifica il ministro Dario Franceschini, con la solita bolsa retorica di chi di cultura capisce poco o nulla, pur essendo nonostante questo (o forse proprio per questo?) ministro del Beni Culturali.

Non che, intendiamoci, l’iniziativa in sé sia sbagliata, anzi! Personalmente, chiamerei Dantedì un giorno della settimana, magari scippando il lunedì: proprio il primo. Così come è verissimo che oggi più che mai abbiamo bisogno del Poeta: Franceschini – e tanti altri con lui – non ha nemmeno la più vaga idea di quanta verità ci sia in queste parole. Ma non certo come il signor ministro lo intende.

Intanto per cominciare, in che senso Dante rappresenta “l’unità del paese e la riscoperta delle identità”? Non certo perché – come sa benissimo qualsiasi liceale di media preparazione – Dante abbia mai avuto in mente un qualcosa di anche lontanamente simile all’unità nazionale; né lui né nessun altro al suo tempo e anche un bel po’ dopo, del resto, essendo l’idea di nazione figlia del Romanticismo. Forse perché tutti ci indentifichiamo in lui? Ma mi faccia il piacere ministro, per tanti, troppi l’Altissimo Poeta è identificato se va bene con le insulsaggini di Benigni e con tutti i tagli fatti sistematicamente alla didattica diventa sempre più difficile dargli lo spazio che meriterebbe. E l’identità … ma lo sa lei, signor ministro, che i punti di riferimento politici del poeta erano il Papato e l’Impero, l ‘unica sola monarchia legittima, l’unum quod non est pars? Uno che tra l’altro papi e imperatori che non facessero il loro dovere li sbatteva senza esitare all’inferno; e non ho il minimo dubbio, mi creda, di dove caccerebbe la stragrande maggioranza dei politicanti che oggi affliggono questo sventurato paese.

Giù le mani da Dante, per favore: tutta la classe dominante di oggi, politica ed ecclesiastica, non è nemmeno degna di nominarlo. Lui che aveva una dote del tutto sconosciuta a ministri, cardinali e persino pontefici di oggi (chissà dove collocherebbe Bergoglio, l’altissimo poeta?): la coerenza. Cosa ha che fare un ministro di oggi (e dell’attuale maggioranza poi!) con la coerenza? Un uomo che preferì trascorrere buona parte della sua vita in esilio, lontano da una città che amava moltissimo anche se non le risparmiava certo le sferzate:     Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,/che per mare e per terra batti l’ali,/e per lo ’nferno tuo nome si spande! Ma del resto, si rimprovera e si soffre per chi davvero si ama. Ma tutto l’amore del mondo non gli avrebbe mai fatto accettare un’ingiustizia e un compromesso vergognoso. E un branco di “poltronolatri” dovrebbe farsi bello del nome di un uomo che in nome della giustizia e della coerenza rifiutò di pagare una multa simbolica che lo avrebbe fatto rientrare in patria se si fosse dichiarato colpevole di una colpa vergognosa, la “baratteria”?

 Non è questa, o Padre mio, la via di ritornare in patria. Ma se un’altra, da Voi prima o poi da altri, se ne troverà, la quale non deroghi alla fama e all’onore di Dante, io mi metterò per essa a passi non lenti. Che, se per nessun’altra di tali vie in Firenze si può entrare, io in Firenze non entrerò giammai. E che per questo? Le spere del sole e degli astri, non potrò forse contemplarle dovunque? Non potrò in ogni luogo sotto la volta del cielo meditare i dolcissimi veri, se io prima non mi renda spregevole, anzi abietto al popolo e alla città tutta di Firenze? E neppure un pane mi mancherà.

Così il poeta nella Lettera all’amico fiorentino. Giustizia mosse il mio alto Fattore, scrive il poeta nella porta dell’Inferno. Una giustizia che egli avverte sempre più lontana da un mondo che si allontana da Dio; e per questo egli scrive il suo immenso capolavoro, per ricordare all’uomo che la sua grandezza sta nell’essere immagine e somiglianza del suo Creatore, dotato di libero voler, di capacità di scegliere il male.

E Dante, il  massimo poeta della Res Publica Christiana, il Ghibellin fuggiasco, cosa ha a che spartire con una società che di cristiano non ha proprio nulla? Che ha sancito la supremazia assoluta dell'avere sull'essere, blasonando la gente nova e i subiti guadagni? ;Dove persino la Chiesa ormai rifiuta di difendere valori come la sacralità della vita dall’inizio alla fine, del matrimonio; insomma, di alcune tra le basi stesse del cattolicesimo? Per non parlare poi della teologia, di cui Dante era finissimo cultore…

Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, 
il luogo mio, il luogo mio, che vaca 
ne la presenza del Figliuol di Dio,                                  

fatt’ha del cimitero mio cloaca 
del sangue e de la puzza; onde ’l perverso 
che cadde di qua sù, là giù si placa

Così San Pietro, in una accesa invettiva del XXVII canto del Paradiso, definisce la Roma di papa Bonifacio VIII. Quali parole di fuoco troverebbe oggi il poeta nei confronti di un clero che fugge davanti a una epidemia e chiude le chiese, con l’eccezione di pochi, santi sacerdoti alcuni dei quali giungono sino al martirio pur di non venire meno al loro ufficio? A loro, certo, Dante destinerebbe il cielo di Marte, quello dei martiri della Fede.

Abbiamo bisogno di Dante, è vero; ma lo abbiamo per ricostruire un mondo del tutto antitetico a quello che oggi lo invoca e che oggi, se tornasse, non esiterebbe a rimandarlo in esilio, a schernirlo, a farlo tacere o peggio.  E del resto, chi tra i suoi improvvisati zelatori si è levato a difendere il poeta quando nel 2012 da parte di una certa  Valentina Sereni, presidentessa dell’associazione di consulenza speciale per l’Onu “Gherush92”, si levarono queste incredibili parole contro il poeta e la sua opera: “La Divina Commedia pilastro della letteratura italiana e pietra miliare della formazione degli studenti italiani presenta contenuti offensivi e discriminatori sia nel lessico che nella sostanza e viene proposta senza che via sia alcun filtro o che vengano fornite considerazioni critiche rispetto all'antisemitismo e al razzismo”

No signori miei, davanti a voi Dante se ne tornerebbe in esilio, cercherebbe più che mai rifugio là dove voi e i vostri simili non potrete mai arrivare nemmeno in effigie; presso L’amor che move il sole e l’altre stelle.

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