RACCONTI DI UN'ALTRA STAGIONE

10. L'esploratore

Breve storia di un incontro al balcone per passare il tempo

di Giulia Bartolini

10. L'esploratore

In un’altra stagione, in un mondo simile al nostro, anche se, di questi tempi, speriamo non troppo,

c’è ancora il nostro ometto dalle gambe corte e dalla testa grossa, il nostro Sognatore che scrive racconti per sé stesso e pulisce le giostre per qualcun altro.

È un periodaccio.

Il suo mondo, che è molto simile al nostro, s’è fermato per una serie di cause di forza maggiore che il nostro ometto non sta qui a spiegarvi, e, come l’uomo che non aveva tempo (vedi racconto n.9), anche il nostro uomo si è fermato. Aspetta anche lui che il mondo riprenda a girare.

Mentre, regolarmente, trascinandosi dalla camera alla cucina, dalla cucina alla camera e dallo stanzino al porta d’ingresso fissandola con sguardo bramoso e sognando il momento in cui andrà a buttare la spazzatura, prende a testate i muri cercando di lasciare segni simmetrici su una parete e sull’altra; mentre fa jogging tra lo stendino e la scarpiera cercando di non farsi vedere dal gatto dei vicini…da bravo paranoico qual è (con ormai poca fiducia nel mondo e nell’essere umano in sé, compreso se stesso), contempla tutti i possibili scenari catastrofici che seguiranno a questa “pausa” del mondo.

Come prima cosa pensa alla sua stessa vita: la situazione non migliorerà e lui diventerà un eremita depresso che crede nel complottismo e che come unica compagnia ha quella del suo lievito madre cresciuto appositamente come un figlio per fare il pane fatto in casa perché non se ne trova più in giro un panetto confezionato manco a pagarlo oro (di lievito)….poi si sente un vigliacco pusillanime ingrato che non ha neanche il coraggio di non aver paura della sua stessa ansia mentre c’è gente che sta affrontando tutto veramente e con coraggio; allora si immagina come il nuovo eroe del domani, ottimista e speranzoso, portatore di parole incoraggianti e di una nuova filosofia di vita sana, poi ci riflette e pensa che, con tutto quello che sta accadendo al mondo, di lui non gliene può fregare una ceppa a nessuno; allora pensa ad una ribellione di massa guidata da un pazzo integralista terrapiattista; poi alla fine del mondo ad opera di un asteroide; ad un futuro alla 1984 di Orwell, per poi arrivare a credere che, sicuramente, dopo questa “pausa” non si potrà mai tornare indietro, anzi, gli esseri umani faranno un salto evolutivo al contrario che li porterà prima a non avere contatti con nessun’altro essere umano e poi, per mancanza di compagnia e di sole, a digi-evolversi nuovamente in anfibi per tornare all’acqua.

La paranoia è imperante. Il mondo ha smesso di girare. O almeno, quello degli uomini ha smesso di girare e non potendo mettere da parte gli scenari apocalittici che gli affollano la mente, non riuscendo a stare fermo o ad avere pazienza, butta giù sensazioni e stati d’animo tentando di narrare ciò che accade in casa:

“Oggi la scarpiera s’è rivolta allo stendino: «Ti racconto una barzelletta?»

«Vai» ha risposto lo stendino: «Stendimi».”

Ecco. Dopo una serie di tentativi di creazione casalinga, tra cui un breve poemetto sulla signora del terrazzo di fronte che riportiamo di seguito a testimonianza del mediocre delirio:

Alle 10 del mattino la signora sul terrazzo di fronte stende i panni tutta elegante.

All’ora di pranzo la signora toglie i panni, tutta elegante. Stende altri panni.

Alle cinque la signora toglie i panni. In tuta. Stende altri panni.

Alle otto la signora toglie i panni. I panni sono finiti. La signora è in pigiama”

il nostro uomo s’è messo alla finestra di casa con aria sconsolata ad aspettare la fine del mondo e a pensare a ciò che avrebbe fatto dopo se il mondo non fosse finito.

A quel punto, dalla finestra della casa vicina (non quella della signora dei panni) s’è affacciato un signore d’una certa età ma d’una minima altezza. Un omettino, così basso da sembrare quasi lungo, gli occhi chiari e la pelle abbronzata, segnata dal sole, il viso anziano e vissuto. Il nostro uomo non s’era mai accorto del signore della finestra vicina, il quale aveva una gran voglia di chiacchierare, visti i tempi.

In un altro momento, in un mondo simile al nostro, in un’altra stagione,

C’era una volta un Esploratore.

«Cresci, cresci, vedrai che ci riesci!» gli urlavano tutti i compagni di scuola da piccino, e questo perché, a dirla tutta, il nostro vecchietto (che ancora non era un viaggiatore né tanto meno un esploratore) era proprio un bambino basso. Molto basso, ma non un bambino basso in maniera normale.

Era così basso che si può quasi dire che era lungo…come i righelli, o i bastoni da passeggio, o gli ombrelli, o le tele per dipingere.

Ad un anno era alto/lungo un centimetro e ogni anno cresceva di un altro centimetro: potete ben immaginare, quindi, quale fosse la sua prospettiva di vita. A cento anni (se mai ci fosse arrivato) sarebbe stato alto un metro intero, ma quel metro sembrava ben lontano dal divenire realtà.

A sette anni misurava solo sette centimetri; a otto anni otto centimetri, a nove anni nove, a dieci anni…. Insomma! A undici giunse finalmente la fatidica domanda:

«Mamma, mamma, perché sono così basso?»

«Sei poco lungo! Non basso! Amore della mamma, non lo so! Chiedilo al babbo…è sua madre che c’ha i geni bassi!»

Correndo allora da suo padre, che lavorava tutto il giorno nello studiolo, il nostro piccolo, un po’ spaventato dalla possibile risposta, ripeté la fatidica domanda:

«Babbo, babbo, perché sono così basso?»

«Non sei basso, sei alto in maniera diversa… Comunque, ometto del papà, chiedilo alla mamma, la sua famiglia è piena di geni bassi!»

E così, senza capire se fosse colpa del nonno, della nonna, o di questi fantomatici parenti geni (che se poi erano così geniali non si sa perché erano rimasti bassi), alla domanda non fu data risposta e il nostro piccino continuò a crescere (si far per dire) un centimetro all’anno.

Arrivarono anche per lui i diciotto anni, poi i diciannove e ormai era alto quasi quanto la copertina di un comune romanzetto d’appendice ... Il terrore in lui cresceva. Aveva fatto un breve calcolo. Se era destinato a crescere solo un centimetro all’anno per tutta la vita non sarebbe riuscito a campare tanto da arrivare al metro, e se invece, come dicevano tutti, scienziati compresi, era vero che i maschietti smettono di crescere sui vent’anni, era davvero spacciato.

Doveva trovare una soluzione!

Ma com’è che si diventa alti se per natura si è poco lunghi?

Lo chiese prima alla mamma…poi al babbo… poi al nonno, alla nonna. Non servì a niente. La mamma gli disse di chiedere al babbo, il babbo alla mamma, entrambi ai nonni, i nonni a quei parenti geni di cui sopra…allora lui li cercò questi fantomatici parenti, ma non li trovò da nessuna parte e così finì per scoraggiarsi del tutto.

Una mattina uscì a fare una passeggiata per consolarsi.

A volte le passeggiate possono diventare qualcosa di diverso senza volerlo, a volte le passeggiate possono trasformarsi in viaggi.

A questo punto è giusto dire che i viaggi sono degli oggetti strani e curiosi. Un viaggio può avere mille ragioni d’esistere, ma, di solito, non sono quelle che il viaggiatore si racconta ad alta voce.

Il nostro minuscolo protagonista si raccontava che lui si piaceva così e voleva solo scoprire perché era nato piccolo, ma non per cambiare, non per essere diverso. In realtà il nostro piccolo ometto, come ogni ragazzo della sua età, alto o meno alto, lungo o meno lungo, aveva bisogno di trovare il suo grande (o piccolo) posto nel mondo, proporzionato alla sua statura (o anche no) e capire quale fosse la vera ragione della sua esistenza. Il nostro ometto, così, senza neanche accorgersene, senza salutare e senza pensarci, trasformò quella passeggiata in un viaggio. Partì e vide il mondo.

Le sue avventure furono sempre più avventurose. Il primo giorno diede solo da mangiare alle oche nel laghetto sotto casa, il secondo giorno incontrò un riccio selvatico nel bosco davanti al laghetto, il giorno dopo ancora attraversò la strada asfaltata dietro il bosco senza guardare poi un torrente piuttosto tranquillo che stava oltre la strada e poi andò avanti… E le strade asfaltate divennero sterrate, divennero sentieri e poi strade impervie e piene di pericoli, i torrenti calmi divennero fiumi agitati e cascate e mari in tempesta…

Come faceva se era così piccolo?  Faceva proprio perché era piccolo. Certo, ci mise un mese solo per arrivare dall’altra parte del paesello in cui viveva, ma che importanza ha? Appena arrivò al mare prese una barca…e il tempo che ci mette una barca per attraversare il mare è lo stesso per tutti i passeggeri, che tu sia grande o piccolo.

Lo stesso vale per l’aereo, lo stesso per i carri, e i cavalli e le mucche, e qualunque cosa si muova con te sopra. Nessuno lo vedeva e non essere visti è un’ottima cosa se non hai i soldi per il biglietto…non si sentiva neanche tanto in colpa visto che misurava intorno ai venti centimetri e non occupava certo lo spazio d’un altro passeggero pagante.

I suoi viaggi furono molto lunghi e molto belli ma non servirono a nulla. Il nostro ometto stava certo crescendo (come persona intendo, perché fisicamente la situazione era sempre la stessa), ma continuava a non capire il perché; continuava a non capire quale fosse il suo posto in quel mondo.

Viaggiò per molti anni: vide cavalli enormi, coccodrilli, pesci e serpenti giganti (anche se a lui tutto appariva gigante); incontrò e divenne il Dio di un paio di tribù, perché era così piccolo che certo non poteva essere umano quindi doveva essere divino; in un altro paio di tribù, pensando che fosse un abominio, lo additarono e maledissero come se fosse il figlio del demonio.

Le teorie sull’origine della sua statura furono le più svariate.

Alcuni cercarono di aiutarlo: un ometto in Perù gli regalò due trampoli, un altro un piccolo nido in cui vivere; una bambina ci giocò per un mesetto convinta che si trattasse d’un giocattolo e una donna che non aveva mai avuto figli se ne prese cura per alcuni anni facendogli mangiare così tante carote, sperando che crescesse, da farlo diventare tutto arancione.

Molti provarono a cambiarlo, in meglio o in peggio; molti furono incuriositi da lui; molti non si accorsero neanche che stava passando nelle loro vite. Ma il punto fu che lui vide tutto e sentì tutto e, quando ormai era disperato per non aver trovato il perché della sua esistenza, scoprì che erano passati settant’anni e che era alto come un bambino e tutti lo vedevano.

In preda ad emozioni contrastanti e confuse, decise di tornare a casa. Erano anni che scriveva solo lettere alla sua famiglia e quando tornò al paese, molto più vecchio e solo un po’ più alto, scoprì che la sua mamma e il suo babbo non c’erano più da tempo. Seppe che se ne erano andati sereni sapendolo in giro per il mondo e che s’erano fatti seppellire vicino ai quei loro certi parenti geni che lui non era mai riuscito a conoscere. Una tristezza profonda lo invase.

Era stato lontano da coloro che lo amavano e che amava, non gli era stato accanto nella morte come nella vita, non aveva trovato un luogo per sé, aveva solo vagato per poi tornare a casa sconfitto.

Ogni mattina, con quella tristezza nel cuore, si sedeva su una sedia a dondolo sulla veranda di casa e pensava: alla mamma, al babbo e a tutti quelli che lo avevano amato così com’era senza chiedergli niente e che lui aveva odiato perché non avevano saputo dargli uno scopo, o una spiegazione. 

Alcuni bambini del paese passavano spesso davanti alla sua veranda per guardarlo. Era alto come loro eppure così vecchio. Lui si vergognava, ancora, dopo tutti quegli anni…finché un giorno uno di quei bambini s’avvicinò e gli chiese perché fosse così piccolo.

«Non so di certo perché sono così piccolo ma so che alcuni pigmei sono piccoli come me!» rispose lui con rabbia ma poi il bambino in questione gli chiese cosa fossero i pigmei e tutto si sistemò.

Parlò dei pigmei e dei vatussi e delle aquile e dell’oceano, di tutti i suoi viaggi. Prima ad un bambino, poi a due, poi a tutti i bambini del paese, che erano alti come lui e che quindi dalla stessa altezza sapevano apprezzare le sue avventure. Descrisse il mondo con gli occhi di un bambino, alto poco più di un romanzetto d’appendice; parlò a tutti, prima ai piccini, e poi ai grandi, d’un mondo così vasto e così immenso da non poterlo contare, da non poterlo immaginare.

Poi il mondo s’è fermato e per ora anche il signore basso sta a casa senza far niente, ma i punti importanti sono due:

1-Il nostro Sognatore ha passato un’oretta ad ascoltarlo e ora è già ora di pranzo e così metà giornata è passata,

2- Se nascete bassi sicuramente morirete più alti (in tutti i sensi) e visto che tutti nascono bassi direi che questa è una certezza e di questi tempi le certezze sono cosa rara.

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