Editoriale

Ma i vescovi di oggi sono credenti? Considerazioni a latere su certi comportamenti poco cristiani

Come buttare a mare duemila e rotti anni di storia, senza neppure un amen

Dalmazio Frau

di Dalmazio Frau

siamo più nel Medio Evo! Contenti voi e, soprattutto, contenta la CEI, che ha emanato precise direttive alquanto contraddittorie se osservate da un punto di vista della Fede cattolica, ma anche cristiana in generale, che farebbero sospettare che i primi a non credere siano proprio molti vescovi – e di conseguenza gli altri religiosi – di questo disgraziato Paese.

Facciamo un passo indietro di quasi millecinquecento anni, a Roma, quando la città era afflitta da una grave pestilenza, per allontanare la quale, l’allora papa Gregorio I, indisse una solenne processione penitenziale che giunta vicino alla Mole Adriana, si arrestò in quanto il pontefice e molti altri, anche tra il popolo, videro sul mausoleo l’Arcangelo Michele che rinfoderava la spada. La visione venne interpretata come un segno preannunciante la fine dell’epidemia. E così fu. Da allora i romani chiamarono Castel S. Angelo la Mole Adriana e nel XIII secolo, a ricordo dell’evento prodigioso, venne posta sulla torre più alta della fortezza la statua di un angelo in atto di ringuainare la spada. Ancora oggi nei Musei Capitolini si può vedere una pietra con le impronte dei piedi che si dice sarebbero quelle lasciate dall’Arcangelo quando si posò sugli spalti per annunciare la fine del morbo.

Ora, lo sappiamo che voi scettici, miscredenti, ma soprattutto privi del dono della fantasia e dell’immaginazione non credete a nulla di tutto questo, e non è ciò che contesto, ma piuttosto invece che i primi a non crederci oggi siano i rappresentanti di Santa Romana Chiesa. Siamo dunque passati dal ritenere una malattia virale un “castigo divino”, al pensarla soltanto come qualcosa sulla quale non solo Dio nulla potrebbe, ma addirittura la veicolerebbe mediante la comunione o l’acqua delle acquasantiere.

E con questo tanti saluti a molti Dottori della Chiesa, a cominciare da Tommaso d’Aquino, preferendogli ancora una volta la “feccia luterana”. Messe vietate in chiese troppo piccole per poter rispettare le “distanze di sicurezza” hanno evidenziato quindi l’impotenza divina davanti a una forma vivente – lo stupido coronavirus e simili – che come tali dovrebbero ricadere sotto la sua giurisdizione come Pantocratore. Questo, ripeto alla noia, sempre che uno creda, ma i Vescovi dovrebbero innanzitutto aver fede… e allora qualcosa non mi torna.

Ovviamente nessuno – almeno che io sappia – nel clero, alto e basso, ha osato rivolgere impetrazioni solenni affinché venga scongiurato il pericolo, eh sì, mica siamo più ai tempi di papa Gregorio I… Noi adesso siamo nel XXI secolo! Il Medio Evo è finito ed infatti ci asserragliamo in casa non diversamente da come fecero i nostri avi nel 1348, senza peraltro produrre neanche un capolavoro come il Decameron. Quindi la nota rogazione della Chiesa Cattolica romana che recita «a bello, a peste libera nos Domine» è stata relegata nelle fandonie dei secoli bui mentre si sono innalzati nuovi altari alla divinità Amuchina.

Tuttavia, più ancora di tutto questo, il mio ricordo è andato a quello straordinario racconto di Edgar Allan Poe, dal titolo La maschera della Morte rossa che mi permetto raccontarvi in sintesi.

Una terribile pestilenza, la Morte Rossa, miete innumerevoli vittime in un regno, il cui principe di nome Prospero, coraggioso e d’animo nobile, decide di ritirarsi insieme ad alcuni amici e cortigiani nel proprio palazzo, così da evitare di contrarre l’esiziale morbo. Qui le giornate trascorrono gioiosamente tra danze e feste sino a quando, dopo alcuni mesi, Prospero ordina che si tenga un gran ballo in maschera. Un Masque.

Fa quindi allestire sette ampie stanze della sua principesca dimora, ognuna caratterizzata da arredi di un colore diverso: azzurro, giallo, verde, arancione, bianco, viola e infine nero. Gli invitati al Masque danzano e si divertono in tutte tranne nell’ultima, considerata troppo inquietante ma durante la festa, tra loro, improvvisamente compare una misteriosa figura che indossa vesti scarlatte come il sangue e una maschera spettrale. L’ospite inatteso e non invitato, unico tra tutti i presenti, attraversa allora tutte e sette le sale sotto lo sguardo attonito dei cortigiani che si fanno da parte, terrorizzati.

Il Principe, a quel punto, oltraggiato da quell’invasione nel proprio palazzo, si getta contro la figura scarlatta per ucciderla, ma prima che possa raggiungerla e colpirla cade a terra privo di vita.

A quel punto i presenti afferrano lo sgradito ospite strappandogli le vesti color del sangue, ma sotto di esse non trovano nulla. Niente.

La Morte Rossa, tenuta fuori dalle mura del palazzo è ormai al suo interno e coloro che avevano creduto di poterle fuggire cadono al suolo tutti, uno dopo l’altro, lasciando là, da sola, seduta sul trono che fu di Prospero a regnare sul silenzio e sulla solitudine.

Allora non c’è speranza, vi chiederete?

No, au contraire, io credo sempre che la Vita vinca sulla Morte, lo ha insegnato qualcuno, duemila anni fa per le strade di Galilea, credo che l’Amore, la Bellezza, l’Arte vincano sulla Morte, rossa o nera che sia, se le portiamo con noi ovunque, nel mondo, uscendo dal palazzo della nostra paura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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