Maggio Musicale Fiorentino

RISURREZIONE: l'opera dimenticata rinasce sul palcoscenico fiorentino

Il melodramma che lanciò Franco Alfano proposto a Firenze per la bella regia di Rosetta Cucchi e l'ottima bacchetta di Francesco Lanzillotta.

di Domenico Del Nero

RISURREZIONE: l'opera dimenticata rinasce sul palcoscenico fiorentino

Sicuramente una scelta coraggiosa. L’affluenza del pubblico avrebbe potuto  – e forse dovuto – essere più cospicua, anche perché lo spettacolo era complessivamente di ottimo livello; ma tutto sommato a Risurrezione di Franco Alfano, andata in scena in questi giorni al Maggio Musicale Fiorentino, non è andata poi male. Difficile dire se quanto quest’opera riprenderà il cammino del palcoscenico, ma comunque sia il pubblico di Firenze le ha tributato applausi calorosi.

E’ sicuramente un titolo molto diverso dal repertorio a cui siamo abituati; il rapporto poesia – musica, in Alfano, è profondamente diverso da quello di Puccini o Mascagni; un declamato quasi continuo: “ l’adozione cioè di uno stile di conversazione, un declamato quasi ininterrotto che va dalle battute recitate ai modi più elementari, quasi di parlato (…), fino a innervarsi di forti spunti melodici e – nei momenti drammatici – di martellanti tensioni verso l’acuto”, scrive Cesare Orselli nel programma di sala dell’opera. Sicuramente le forme musicali che Alfano adotta sono determinate anche dal libretto, che non è in versi ma in prosa ritmica; ma anche dalla volontà, tipica della cd “generazione dell’Ottanta” di trovare nuove vie per il melodramma, che pur dando ormai per scontato il superamento dei “pezzi chiusi” fosse però anche profondamente diversa da quella di Mascagni o di Puccini.  “ I grandi maestri del sinfonismo romantico, e Reger e Strauss – prosegue Orselli – suggeriscono a Alfano un periodare libero, asimmetrico, in cui lo spunto melodico è quasi sempre conciso, parcellizzato”.

In questo contesto, l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, guidata dal Maestro Francesco Lanzillotta, è stata perfettamente all’altezza della situazione, sottolineando con grande cura ogni dettaglio, ogni frase e ogni particolare: ne emerge una partitura sicuramente brillante e ricca di fascino, che si presta a suggestioni soprattutto francesi (Debussy in particolare) e straussiane, con una leggera patina russa in alcuni canti corali soprattutto di carattere religioso; ottima anche la prestazione del coro, che si è prestato anche a ricoprire alcuni ruoli secondari, dato che l’opera è ricchissimi di personaggi che compaiono solo per poche battute.

Quando però quest’opera, sicuramente pregevole e affascinante, riesce davvero a “coinvolgere”? Forse il linguaggio di Alfano, e quello della cosiddetta generazione dell’80, è un qualcosa a cui non siamo abituati: mancano quasi del tutto arie, pochi i passaggi melodici di grande respiro, tutto quello insomma che siamo abituati a definire come “melodramma”, si tratti di un lavoro di Rossini, Verdi, Puccini o anche autori stranieri: per certi aspetti persino Wagner, perché con questi musicisti siamo ormai ben oltre al wagnerismo. Ma questo ovviamente non giustifica affatto la scomparsa pressochè totale di questi compositori dai palcoscenici e operazioni come quelle del festival di Wexford o del Maggio Musicale Fiorentino sono sicuramente encomiabili, in quanto di grandissimo valore sul piano culturale.

L’allestimento di Firenze è infatti quello della Wexford Festival opera, rappresentato nel 2017 per la regia di Rosetta Cucchi che lo ha riproposto e curato al Maggio. Risurrezione è tratto nientemeno che da un romanzo di Tolstoj, o meglio da una riduzione teatrale di Henry Bataille del 1902. Alfano conosceva bene l’uno e l’altra, e lavoro con grande passione su un libretto in prosa ritmica scritto da due giornalisti italiani residenti a Parigi dove anche il maestro si trovava: Camillo Antona Traversi e Cesare Hanau.[1] Rappresentata a Torino il 30 novembre 1904, l’opera ebbe successo e fu quella che lanciò il suo autore, ma dagli anni cinquanta del secolo scorso è stata sempre meno eseguita sino a sparire.

Quello della Cucchi è un allestimento tradizionale, sobrio ma molto efficace, grazie anche alle belle scene di Tiziano Santi, ricche di sfumature cromatiche (come i tendoni bordò e oro della prima scena). più evocative che realistiche, i costumi “d’epoca” di Claudia Pernigotti e il suggestivo gioco di luci di Ginevra Lombardo e D. M. Wood. La regista identifica i quattro atti di Risurrezione, che nella versione operistica si concentra quasi esclusivamente sulla caduta nell’abiezione e sulla vera e propria “rinascita” della giovane protagonista Katiusha, piuttosto che focalizzarsi sul principe Dimitri Ivanovich Nekludoff, che nel romanzo di Tolstoj aveva invece uno spazio assai maggiore, in quattro “capitoli” ben delineati: il primo il demone,  evidenziato da un grande dipinto che campeggia sulla scena: in questo caso il demone è Dimitri che in una notte d’amore distrugge la vita di Katiusca. Il secondo l’attesa : la giovane, rimasta incinta, è stata licenziata ed attende invano alla stazione di poter parlare con Dimitri che sta per partire. Il terzo la  perdita, inteso come la totale abiezione e smarrimento di sé; il quarto la rinascita. Oltre alle scene, lo spettacolo è stato ben curato anche nei movimenti, sia dei protagonisti che dei personaggi secondari. Il salotto, la stazione con la neve e un binario che si perde lontano, il freddo stanzone del carcere in cui le condannate lavorano di cucito e infine il gelo della Siberia sono uno sfondo del tutto credibile di una vicenda dal grande pathos.

Per quanto riguarda gli interpreti, grande è stata la prestazione della soprano Anne Sophie Duprels nel ruolo della protagonista Katiusha, che già aveva ricoperto il ruolo a Wexford. Bravissima anche sul piano scenico, la Duprels infatti riesce a dar vita a un personaggio ingenuo e un po’ frivolo nel primo atto, dolente e drammatico nel secondo, annichilito nel terzo e totalmente rinnovato nell’ultimo. Sul piano vocale, la soprano spicca per una discreta pronuncia italiana, un ottimo declamato, la sua piena padronanza sia del registro grave che di quello acuto. E’ stata l’interprete giustamente più acclamata.

Deludente invece nel complesso il tenore Matthew Vickers: voce decisamente poco corposa, con un fraseggio poco curato, è decisamente carente nella zona centrale e non lo riscatta qualche discreto acuto. Ottimo invece il baritono  Leon Kim, dal bel timbro scuro e corposo, che ha dato vita al personaggio di Simonson che compare solo nel quarto atto, in un ruolo comunque di una certa importanza.

La recensione si riferisce all'ultima replica del 23 gennaio.

 



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