Parla Valentuomo

Camillo Langone «il Giornale» 2 giugno 2023

Longanesi era un genio, un genio conservatore guarda caso, che solo una volta, nel 1946, diede segni di appannamento, quando si definì «conservatore in un Paese in cui non c'è nulla da conservare». Forse rimase abbagliato dal gioco di parole, forse era un momento di sconforto personale. Ma chiaramente è una battuta sbagliata, sbagliatissima: se esiste un Paese al mondo in cui c'è molto da conservare questo paese è l'Italia. Gli Uffizi, il Colosseo, la Basilica di San Marco e gli altri mille musei, gli altri diecimila monumenti, le altre centomila chiese che punteggiano il Bel Paese non sono forse da conservare?

Magari Longanesi, in quel difficile dopoguerra, pensava innanzitutto alla politica e allora potrei perfino essere d’accordo: io sono un conservatore in molti ambiti ma non nell’ambito istituzionale italiano. Per conservare le istituzioni repubblicane non darei un bullone della mia vecchia bicicletta: tanto per cominciare sono monarchico... Dispiace che a ripetere la battutaccia longanesiana siano molti destri di oggi. Quasi ottant'anni trascorsi invano. Sono persone che immagino sentimentalmente legate a un passato ancora più sbagliato della battuta (quella Rivoluzione Fascista che secondo Malaparte, esperto della materia, venne compiuta da «giacobini in camicia nera»). Persone per nulla aggiornate.

Avranno letto costoro gli ormai numerosi appelli sull’intelligenza artificiale, incredibilmente firmati dagli stessi inventori di ChatGPT e dintorni? Secondo me mica lo sanno, questi postfascisti o postmissini, dei rischi che l'uomo sta correndo per colpa di un digitale senza freni. Troppo impegnati a discutere di D’Annunzio e Marinetti... E sì che fu un filosofo piuttosto nazista, Heidegger, il primo o uno dei primi a mettere in guardia rispetto alle diavolerie della modernità: «La tecnica nella sua essenza è qualcosa che l’uomo di per sé non è in grado di dominare».

Oltre che da postfascisti e fascisti senza post, i conservatori sono compatiti da un altro tipo di persone: gli intransigenti. Cattolici supertradizionalisti, di solito. Perché i conservatori sono percepiti come degli infingardi e dei posapiano. Sarebbero coloro che accettano le novità in ritardo, qualche anno dopo i progressisti. È una definizione riduttiva ma non la ritengo così insultante. Jünger, già negli anni Trenta, scrisse che la tecnica è un fattore di nichilismo perché modifica le cose troppo velocemente. Più velocemente delle persone, delle idee, delle leggi che dovrebbero governarla. Farla rallentare con la propria riluttanza è dunque un merito. Non trascendentale, non meritevole di medaglie, ne convengo, ma è un merito. Per riflettere sui pro e sui contro ci vuole tempo, sia lodato chi propone moratorie, chi

chiede pause alla spietata marcia del progresso. La lentezza ha dei lati universalmente apprezzabili: sono certo che ucraini e russi preferirebbero che gli esplosivi destinati ai loro palazzi fossero caricati su tartarughe anziché su missili. A proposito di armi, chi dice, spesso compiaciuto, che il progresso non si può fermare si meriterebbe di vedersi entrare un drone kamikaze dalla finestra. È o non è l’ultimo ritrovato della tecnologia militare? Non vorrai mica fermare il progresso!

Detto questo, il mio conservatorismo è privato. Non solo il mio, credo che il conservatorismo sia sempre innanzitutto qualcosa di personale. «Non è un’ideologia, è più uno stato d’animo, un modo di essere» come ha scritto Francesco Giubilei in Gli intellettuali di destra e l'organizzazione della cultura, sulla scia di Prezzolini. Invece il progressismo tende a essere collettivo, militante e impositivo. Il mio conservatorismo è fatto di cose. Ovviamente voglio conservare un’idea di libertà, un’idea di realtà, un’idea di umanità. Solo che per me libertà, realtà, umanità prima che astrazioni sono cose, persone, oggetti, situazioni precise. Per me libertà significa poter pubblicare un libro e pure presentarlo. Magari, pensate che pretesa, perfino al Salone del Libro di Torino. Per me realtà significa chiamare uomo una persona munita di attributi maschili, nonostante questa persona si dichiari donna e si vesta (ovvero si travesta) come una donna. Per me umanità significa la possibilità di sparare a orsi, lupi e cinghiali nel momento in cui tali animali, proliferando e dilagando, mettono in pericolo la vita umana. Dimenticavo le nutrie: se la caccia a questi sabotatori di argini fosse stata davvero incoraggiata adesso in Romagna avremmo qualche alluvionato di meno.

In quella Romagna che è proprio la regione di Longanesi, nativo di Bagnacavallo (dove nella frazione di Boncellino l’acqua è arrivata a due metri, distruggendo tutto il distruggibile, strade, case, frutteti). Davvero non c’è più niente da conservare? Cominciamo a conservare gli argini! Capisco che la politica idraulica non sembri c’entrare nulla con la politica culturale, eppure la cultura c’entra qui non meno che al Salone o alla Biennale.

C’entra addirittura la religione: il dominio sulla natura è un imperativo teologico, valido per chiunque ritenga sacro l’Antico Testamento, cristiani, ebrei, musulmani. «Davvero l’hai fatto poco meno di un dio» dice, rivolgendosi all'Altissimo e riferendosi all’uomo, il Salmista. «Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani». Mentre dietro l’attuale resa della civiltà nei confronti della natura (no al cemento! No alle dighe!) c’è l’istigazione di animismo e panteismo. Va da sé che per me “conservatorismo” è il contrario di ambientalismo, animalismo, climatismo, femminismo, genderismo, immigrazionismo, omosessualismo, oltre che del sempiterno comunismo. È pertanto una forma di realismo, esistenziale prima che politico. Ho già citato Prezzolini, ora lo virgoletto: «La conservazione è un istinto vitale». Un istinto che europei e americani sembrano avere perso ed ecco spiegato il Suicidio d’Occidente fatto di culle vuote e di cervelli altrettanto disabitati, oppure ingombri di idee mortifere (tutti gli ismi succitati più altri che vi risparmio per mancanza di spazio). Il mio conservatorismo è privato, dicevo. Ma tutti amano qualcosa e desiderano la conservazione di questo qualcosa. Nel cuore sono tutti conservatori.

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