Maggio Musicale Fiorentino

Mi chiamano Mimì. La vita gaia e terribile di Bohème al Maggio Musicale.

Il capolavoro pucciniano torna da oggi 14 dicembre nell'edizione di repertorio, con la regia di Bruno Ravella e la direzione di Francesco Ivan Ciampa.

di Domenico Del Nero

Mi chiamano Mimì. La vita gaia e terribile di Bohème al Maggio Musicale.

Difficilmente oggi qualcuno potrebbe mettere in discussione la grandezza musicale di Giacomo Puccini, senza dubbio uno dei sommi del XX secolo, eppure non è sempre stato così: “Puccini non appartiene ai grandi compositori, ma nei suoi limiti, dei quali egli era peraltro perfettamente consapevole, lavorò onorevolmente e con assoluta padronanza della tecnica”. [1]A scrivere cotanta bestialità non era peraltro l’ultimo degli sprovveduti, ma Donald J. Grout, autore di un fortunato e per certi versi onesto (anche se ormai ampiamente superato) manuale di storia del melodramma. Lo studioso americano era peraltro in buona (si fa per dire) compagnia e proprio la Bohème, uno dei titoli più amati, era anche uno dei più bersagliati: chi non ricorda la definizione dimusicista delle sartine appiccicata al genio lucchese?

Per fortuna sia il pubblico che Giulio Ricordi furono di ben diverso avviso. E così il capolavoro pucciniano torna ad allietare il palcoscenico del teatro del Maggio Musicale a partire da stasera: La Bohème va in scena proposta nell’allestimento di repertorio con il maestro Francesco Ivan Ciampa a dirigere l’Orchestra, il Coro e il Coro di voci bianche del Maggio Musicale Fiorentino e la regia di Bruno Ravella ripresa da João Carvalho Aboim. Il maestro Ciampa ha già dato una ottima prova di sé nell’edizione del settembre 2017, grazie a una lettura che rese perfetta giustizia alla complessità e alla varietà di toni di una partitura per troppo tempo sottovalutata; la regia di Ravella non presentava forse grandi voli pindarici (verrebbe però da dire per fortuna) ma era stata gradevole e funzionale. A interpretare Mimì   sarà il soprano Jessica Nuccio, già ascoltata – con grande successo – al Maggio nello stesso ruolo, in quello di Violetta ne La Traviata e Gilda in Rigoletto. Il 17 dicembre e il 3 gennaio Mimì sarà interpretata da Eva Kim Maggio. Il ruolo di Rodolfo sarà interpretato da Francesco Galasso; Alessandro Luongo sarà Marcello, Min Kim sarà Schaunard. Completa il cast un nutrito gruppo di artisti formati all’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino:Nikoleta Kapetanidou (Musetta), William Hernández (Benoît), Adriano Gramigni (Colline), Francesco Samuele Venuti (Alcindoro). Le scene sono di Tiziano Santi, i costumi di Angela Giulia Toso, le luci di D. M. Woodriprese da Vincenzo Apicella.  Repliche il 17, 19 e 21 dicembre, e 3 e 5 gennaio. (21 dicembre e 5 gennaio ore 15,30, tutte le altre rappresentazioni ore 20.

Quando l’opera fu rappresentata per la prima volta a Torino nel gennaio  1896, vari critici e soloni  la stroncarono impietosamente, profetizzando nientemeno che una effimera durata sui palcoscenici. “La Bohème, come non lascia grande impressione sull'animo degli uditori, non lascerà grande traccia nella storia del nostro teatro lirico, e sarà bene se l'autore, considerandola come l'errore di un momento, proseguirà gagliardamente la strada buona e si persuaderà che questo è stato un breve traviamento del cammino dell'arte”, Così Carlo Bersezio, critico della Stampa. E non fu il solo a lasciarsi andare a esternazioni di questo tipo.

  Aveva ragione Camille Saint Saens a beffarsi dei critici musicali nelCarnevale degli animali!   Almeno dalla metà del secolo scorso, questi giudizi sono stati progressivamente ribaltati . La prima prima rappresentazione però, diretta da un giovane Arturo Toscanini con cui Puccini ebbe sempre un rapporto tormentato, non impressionò più di tanto il pubblico; complice forse il fatto che poche settimane prima, sempre a Torino, Toscanini aveva diretto la prima italiana del monumentale Crepuscolo degli Dei, ben diversa dallo stile breve e conciso di Bohème che tra l’altro, a differenza di Manon, non presenta richiami o echi wagneriani.  Bisognerà aspettare la rappresentazione di aprile a Palermo perché l’opera spiccasse davvero il volo”.  E a 120 anni dalla sua nascita, contrariamente alle previsioni iettatorie, non solo gode di ottima salute, ma è sicuramente uno dei capolavori più popolari di tutto il repertorio operistico; una popolarità che nulla toglie alla raffinatezza e al genio che innerva ogni singola nota di questo lavoro straordinario.

Quello che colpisce in quest’opera è anzitutto uno straordinario “gioco” di equilibri e contrasti.  Il primo e l’ultimo atto iniziano entrambi in modo scherzoso: il primo si conclude poi in modo serio, il quarto in maniera tragica.  Il secondo atto, con la sua festosa atmosfera scapigliata, dà l’idea di uno … scherzo agitato, mentre il quarto, litigio tra Rodolfo e Musetta a parte, appare come un andante dolce e malinconico.

Non è certo facile riassumere la complessità e la vivacità di un’opera straordinaria, che solo una incredibile miopia e superficialità ha potuto per moto tempo bollare come sdolcinata e patetica. Punto di forza è sicuramente l’ottimo libretto, dalla storia quanto mai complicata e … turbolenta. Alle radici di Boheme c’è infatti un vero e propri “duello musicale”, tra due artisti che, se in precedenza erano stati amici, da allora si detestarono cordialmente: il “bisbestia” , così pare che Puccini appellasse Ruggero Leoncavallo, autore dei Pagliacci e suo rivale in … Bohème.  All’inizio del 1893 infatti i due compositori lavorano intorno al medesimo soggetto: scènes de la vie de Bohème,  romanzo di ispirazione autobiografica di Henri Murger  (1822-1861) pubblicato a puntate sul Corsaire Satan tra il 1845 e il 1849, poi raccolto in volume ed anche adattato per le scene nel 1849.  Si tratta della vicenda di un gruppo di artisti “da soffitta”, scanzonati e vivaci, ma anche abbastanza scalcinati. Genio, sregolatezza e povertà, insomma, tanto che con la Bohème fu identificata anche la Scapigliatura italiana, che era davvero geniale e sregolata. Comunque sia, i due musicisti avrebbero appreso per caso, incontrandosi in un caffè milanese,di questa “coincidenza artistica”.  Ne nacque una polemica alimentata anche dalla stampa; Leoncavallo accuserà Puccini di slealtà e malafede e la frattura fra i due non si risanerà più: “ Egli musichi, io musicherò. Il pubblico giudicherà”, concluderà filosoficamente Puccini. E il pubblico giudicò: l’opera di Leoncavallo, su libretto proprio, andò in scena alla Fenice di Venezia il 6 maggio 1897. Ebbe un destino esattamente opposto a quella di Puccini: bene accolta alla prima, cadde poi nel dimenticatoio, con buona pace di Gustav Mahler che spregiava l’opera pucciniana preferendole l’altra, che oggi viene ripresa di rado e malgrado alcune pagine indubbiamente gradevoli non regge decisamente il confronto.

Con quest’opera, anche Puccini sperimenta il “quotidiano” sulla scena; ma è un quotidiano molto diverso da quello verista. Non per nulla, Puccini viene in questo stesso periodo attratto dalla Lupa di Verga e ha persino un incontro con lo scrittore siciliano; ma poi scarta il soggetto e torna a Murger.  “Quello della Bohème è un quotidiano che non ha nulla a che spartire col naturalismo di Verga o di Zola. Non descrive infatti situazioni sociali sordide e degradate, non inscena malavitosi e proprio (anche) per questo può diventare metafora di un tema universale e fuori del tempo come la giovinezza (…) Ecco perché da più di un secolo l’opera pucciniana continua ad attrarre, coinvolgere  e commuovere il pubblico dei palcoscenici di tutto il mondo”, scrive benissimo Alberto Cantù. [2]

Merito sicuramente anche del tormentato libretto, primo frutto dell’accoppiata Luigi Illica  e Giuseppe Giacosa: vulcanico e fantasioso il primo, particolarmente versato nel lavoro di riduzione e sceneggiatura, ma  non sempre felice nella versificazione (i famigerati “illicasillabi”); più attento al labor limae Giacosa, che era tra l’altro un importante commediografo di successo nell’età umbertina, particolarmente sensibile alla psicologia femminile e ai ritratti d’ambiente borghese.  E i due  poeti insieme riescono a preparare per Puccini, che vigila e interviene costantemente nella loro attività, una eccellente fusione di tragedia e commedia: “vita gaia e terribile”, appunto,come riporta una didascalia del testo.  Niente di più remoto dal naturalismo rusticano fatto di sangue, onore e coltelli, distacco che riguarda anche l’espressione musicale: un canto che non si esprime con una vocalità prorompente e sanguigna (che comunque, soprattutto nelle opere migliori dei cosiddetti veristi, non manca del suo fascino, ma è altra cosa), ma con un fraseggio morbido e disteso e una orchestrazione sempre raffinata. Non per nulla è stato fatto il nome del Falstaff come punto di riferimento artistico: rimandi che possono trovarsi nel dinamismo dell’azione, nell’alternarsi di comico e sentimentale,  “nell’ imprimere alla più piccola cellula di parlato rimandi melodici allargando la lezione dell’ultimo Verdi.”[3]

Altra caratteristica singolare di quest’opera sta senz’altro nei personaggi: tutti sono simpatici, mentre la protagonista femminile, Mimì, ha veramente un qualcosa di luminoso: “ Mimì assunse il valore di simbolo di un’ultima porzione di umanità, ancora disponibile per la realizzazione di un ultimo desiderio di bellezza, balsamo e consolazione ideale delle giornaliere inquietudini”. Si prenda ad esempio la famosissima aria del primo  quadro  Mi chiamano Mimì : un libero rondò nel quale il compositore, con acuta finezza psicologica, mette in risalto diversi aspetti del carattere della giovane, dalla semplicità infantile alla delicata vena romantica,  senza evitare la “prosaicità” della vita quotidiana.[4]

 

La trama dell’opera. [5]

Atto I
In soffitta
La vigilia di Natale. Il pittore Marcello, che sta dipingendo un Mar Rosso, e il poeta Rodolfo tentando di scaldarsi con la fiamma di un caminetto che alimentano di volta in volta col legno di una sedia e la carta di un poema scritto da quest'ultimo. Giunge il filosofo Colline, che si unisce agli amici. Infine il musicista Schaunard entra trionfante con un cesto pieno di cibo e la notizia di aver finalmente guadagnato qualche soldo. I festeggiamenti sono interrotti dall'inaspettata visita di Benoit, il padrone di casa venuto a reclamare l'affitto. È quasi sera e i quattro bohémiennes decidono di andare al caffè di Momus. Rodolfo si attarda un po' in casa, promettendo di raggiungerli appena finito l'articolo di fondo per il giornale Il Castoro. Rimasto solo, Rodolfo sente bussare alla porta. Una voce femminile chiede di poter entrare. È Mimi, giovine vicina di casa: le si è spento il lume e cerca una candela per poterlo riaccendere. Una volta riacceso il lume, la ragazza si sente male: è il primo sintomo della tisi. Quindi fa per andarsene, quando si accorge di aver perso la chiave della stanza. Inginocchiati sul pavimento, al buio, i due iniziano a cercarla. Rodolfo la trova per primo e la nasconde in una tasca. Quando la sua mano incontra quella di Mimi, il poeta dichiara il suo amore e chiede alla fanciulla di parlargli di lei. Mimì gli confida di vive sola, facendo fiori finti.Gli amici dalla strada vengono a reclamare Rodolfo, Mimi accetta di accompagnarlo, i due lasciano insieme la soffitta alla volta del caffè di Momus.

Atto II
Al quartiere latino
Il caffé Momus. Rodolfo e Mimi raggiungono gli altri bohémiennes. Il poeta presenta la nuova arrivata agli amici e le regala una cuffietta rosa. Al caffè si presenta anche Musetta, una vecchia fiamma di Marcello, che lo ha lasciato per tentare nuove avventure e che si accompagna al vecchio Alcindoro. Riconosciuto Marcello, Musetta fa di tutto per attirare la sua attenzione, esibendosi, facendo scenate e infine cogliendo al volo un pretesto per scoprirsi la caviglia. Marcello non può resisterle e i due amanti fuggono insieme agli altri amici, lasciando al ricco amante di Musetta il conto da pagare.

Atto III
La Barriera d'Enfer
Febbraio. Neve dappertutto. La vita in comune si è rivelata ben presto impossibile: le scene di gelosia fra Marcello e Musetta sono ormai continue, come pure i litigi e le incomprensioni fra Rodolfo e Mimì, accusata di leggerezza e di infedeltà. Per di più Rodolfo ha capito che Mimì è gravemente malata e che la vita nella soffitta potrebbe pregiudicarne ancor più la salute; i due vorrebbero separarsi, ma lo struggente rimpianto delle ore felici trascorse insieme li spinge a rinviare l'addio alla primavera. Mentre Marcello e Musetta si separano dopo una furiosa litigata.

Atto IV
In soffitta
Ormai separati da Musetta e Mimì, Marcello e Rodolfo si confidano le pene d'amore. Quando Colline e Schaunard li raggiungono, le battute e i giochi dei quattro bohémiennes servono solo a mascherare la loro disillusione. All'improvviso sopraggiunge Musetta, che accompagna Mimì, ormai prossima alla fine, in quella soffitta che vide il suo primo incontro con Rodolfo. Qui, ricordando con infinita tenerezza i giorni del loro amore, Mimì si spegne dolcemente circondata dal calore degli amici (che le donano un manicotto e le offrono un cordiale) e dell'amato Rodolfo. Apparentemente assopita, inizialmente nessuno si avvede della sua morte. Il primo ad accorgersene è Schaunard, che lo confida a Marcello. Nell'osservare gli sguardi e i movimenti degli amici, Rodolfo si rende conto che è finita.

 



[1]Donald J. Grout, Breve storia dell’opera, Milano, Rusconi, 1995. p.523

[2] Alberto CANTU’, L’universo di Puccini da Le Villi a Turandot, Varese, Zecchini, 2008, pp. 69-70.

 

[3] Ibidem p. 73

[4] Silvestro SEVERGNINI, Invito all’ascolto di Puccini, Milano, Mursia, 1984, p.120.

 

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