Teatro della Toscana

I GIGANTI DELLA MONTAGNA: l'ultimo mito di Pirandello al teatro della Pergola di Firenze

Giovedì 24 inizia la rappresentazione dell'ultimo capolavoro pirandelliano, con Gabriele Lavia regista e interprete

di Domenico Del Nero

I GIGANTI DELLA MONTAGNA: l'ultimo mito di Pirandello al teatro della Pergola di Firenze

“Luigi Pirandello è un ardito del teatro. Le sue commedie sono tante bombe a mano che scoppiano nei cervelli degli spettatori e provocano crolli di banalità, rovine di sentimenti, di pensiero.” È un celebre giudizio di Antonio Gramsci riferito alla commedia il piacere dell’onestà (1917) incentrata sull’assurdità del dramma borghese e sulla ipocrisia della società che lo esprime. Ma da lì ai Giganti della montagna molto tempo era passato, e dopo la “demolizione” del dramma borghese Pirandello era approdato alla fase metateatrale, che investiga e “smonta”  le ragioni e i meccanismi stessi di una forma d’arte che stava ormai assorbendo quasi tutte le sue energie e la sua forza creativa. Ma anche questa  negli anni venti si era ormai esaurita e alcune opere pirandelliane (L’amica delle mogli, Come tu mi vuoi etc,) sembravano ormai avvitarsi un po’ stancamente sulla classica antinomia vita/forma.

L’ultima grande opera pirandelliana, purtroppo rimasta incompiuta per la morte dell’autore, viene rappresentata a Firenze al Teatro della Toscana sul palcoscenico della Pergola, a partire da giovedì 24 ottobre sino a domenica 3 novembre (lunedì 28 ottobre riposo). Uno spettacolo che vede in prima fila Gabriele Lavia, che completa così una “sua” trilogia dello scrittore siciliano: Dopo Sei personaggi in cerca d’autore e L’uomo dal fiore in bocca… e non solo, con  I Giganti della montagna, di cui è contemporaneamente regista e interprete nei panni del mago Cotrone, Lavia innalza un inno al prodigio straordinario del teatro come speranza, o meglio, una certezza laica, che la poesia non può morire per mano di alcun apparato.

È infatti, quella dei “miti”, l’ultima grande fase della stagione creativi pirandelliana, in cui il genio di Agrigento ritrova uno slancio creativo che sembrava essersi verso la fine degli anni venti appannato e iniziata, per certi aspetti, già con la creazione dell’ultimo romanzo Uno nessuno e Centomila, uscito in volume nel 1926.  L’arte non è più non lo strumento che scompone il reale, come era stata nella fase dell’umorismo e del grottesco: ricuperando – ma solo per certi aspetti – suggestioni decadenti, l’arte torna ad essere un tentativo di contatto con l’Essere, con ciò che si trova dietro il velame delle apparenze mutevoli. Si ascrivono solitamente a questa fase le ultime novelle e gli ultimi drammi dell’autore: Lazzaro, La Nuova colonia, La favola del figlio cambiato (strettamente connessa ai giganti) e naturalmente i giganti della montagna.

Al mito dei giganti Pirandello aveva iniziato a pensare già alla fine degli anni venti; tra il 1931 e il 1932 uscì sulle riviste “La Nuova Antologia” e “Il Dramma” un atto col suggestivo titolo I Fantasmi, mentre un secondo atto, col titolo definitivo, comparve su “Il Quarante”. Dell’ultimo atto rimane appena un abbozzo di sedici righe, ma l’autore rivelò come avrebbe voluto concludere l’opera al figlio Stefano, mentre ora ormai in punto di morte. La prima rappresentazione postuma del dramma avvenne proprio a Firenze in occasione del Maggio Fiorentino, il 5 giugno 1937, al giardino di Boboli:  regia di Renato Simoni e tra gli interpreti Memo Benassi, Andreina Pagnani, Carlo Ninchi e Salvo Randone.

I Giganti sono gli uomini del fare, mentre il teatro – afferma Lavia – è fatto dagli uomini dell’essere. Luigi Pirandello l’aveva capito molto bene. Perciò, ho voluto come scenografia un teatro distrutto. Distrutto perché ci vogliono costruire degli uffici per organizzare un teatro che non c’è, è morto, ucciso proprio dagli uffici. I Giganti è un testo profetico, di cui l’autore non scrisse mai il III e ultimo atto, perché non fece in tempo”.

La scena di Alessandro Camera, i costumi di Andrea Viotti (Premio Le Maschere del Teatro Italino 2019), le musiche di Antonio Di Pofi, le luci di Michelangelo Vitullo, le maschere di Elena Bianchini, le coreografie di Adriana Borriello, incorniciano la magica opera incompiuta di Pirandello in un allestimento maestoso, con un cast imponente di più di venti attori, anche mimi, danzatori, musicisti. La storia del mago Cotrone al cospetto del mistero dell’Oltre diventa una folle, poetica sarabanda ambientata in un tempo e luogo indefiniti, tra favola e realtà.

“Pirandello vive con I giganti della montagna il suo grande momento espressionista. Si tratta di un espressionismo onirico, fantastico, visionario. Alcuni attori – spiega l’attore e regista nel programma di sala – si sono ridotti a essere quasi degli straccioni per seguire Ilse Paulsen, l’attrice moglie del Conte, che chiamano la Contessa. Vanno in giro come pezzenti a recitare la Favola del figlio cambiato, copione scritto per la Contessa da un certo autore, innamorato di lei, e morto per la disperazione di non essere corrisposto. È l’incubo della Compagnia. La donna, infatti, per espiare la colpa di quel suicidio, si ostina a voler recitare la Favola, che ovunque ha grande insuccesso. Il mondo non capisce più la poesia. Cotrone dà rifugio alla Compagnia alla villa La Scalogna: l’arte non può abitare in mezzo agli uomini, ma solo tra loro Scalognati. Gli artisti riescono a vivere unicamente fuori dal mondo”.

Cotrone è lo strano mago che abita e guida il mondo della Scalogna, ed è interpretato da Lavia stesso. Dice di essersi fatto “turco” per il “fallimento della poesia della cristianità”. Nell’interpretazione di Lavia è Pirandello stesso, ma non solo, è anche qualcosa di più

“Il teatro è quell’accadimento misterioso e pagano – precisa l’attore regista – che ha trasformato i viventi in una comunità di uomini, quando si sono rappresentati e riconosciuti in quella rappresentazione, nell’origine della coscienza di “essere quel che si è”. I Giganti sono snaturati dal non voler conoscere se stessi. I loro servi imitano i costumi di violenza, ignoranza e volgarità dei loro padroni. Quindi, non possono far altro che continuare a uccidere il teatro, la poesia originaria nata come specchio dell’uomo”.

Una interpretazione, questa di Lavia, che sembra in effetti molto vicina al pensiero di Pirandello, sempre più scettico ormai sulle possibilità dell’arte nella società contemporanea. Mito e sinistra profezia insieme, che presagisce la catastrofe della guerra e contemporaneamente la fine dell’arte e quella “morte sociale dell’artista” che dal Romanticismo in poi era diventata un tema e una ossessione costante. La sconfitta finale di Ilse, che lo scrittore non giunse a scrivere, è in fondo la sconfitta dell’arte e apparentemente dello stesso Pirandello. Ma solo in apparenza, perché l’arte di Pirandello è oggi più viva e attuale che mai e questo spettacolo ce ne darà quasi sicuramente un saggio formidabile.

Numerosi gli eventi collaterali allo spettacolo. Lunedì 28 ottobre, ore 17, a Palazzo Fenzi, Gabriele Lavia incontra gli studenti universitari con una conferenza dal titolo «Vigliacco chi ragiona»: Lavia, Pirandello e i Giganti a cura di Renzo Guardenti. Giovedì 31 ottobre, ore 18, alla Pergola, Lavia e la Compagnia incontrano il pubblico, coordina Matteo Brighenti. Entrambi gli appuntamenti sono a ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili. Inoltre, fino al 3 novembre, nella Sala Oro, è aperta la mostra gratuita Il figlio del Caos – Luigi Pirandello al Teatro della Pergola, visitabile il mercoledì e il giovedì dalle 15:30 alle 18:30 e, per i possessori dei relativi tagliandi di ingresso, in occasione degli spettacoli, dei concerti e delle visite guidate.

 

 

LA TRAMA DELL’OPERA

 

 La contessa Ilse, prima attrice di una compagnia di teatranti poveri ma inebriati di poesia vuole rappresentare l’opera "La Favola del figlio cambiato" , a ricordo del giovane autore, morto suicida perché da lei respinto (nella realtà opera dello stesso Pirandello).  Dopo molto peregrinare e l’incomprensione di tutti, Ilse e i suoi attori arrivano a "La Scalogna", una villa abbandonata per la presenza di spiriti ed ora occupata dal mago Cotrone, capo di un gruppo di poveracci, gli Scalognati, che vivono tra la favola e la realtà, nelle magie evocate da Cotrone, brav’uomo ma anche gran ciarlatano, il quale accoglie benevolmente quei girovaghi "scalognati" come lui. Quando la compagnia di Ilse decide di partire per recitare la favola altrove, fra gli uomini, Cotrone li accompagna dai "Giganti della montagna", padroni del mondo d’oggi, coloro che producono ricchezza e rappresentano la tecnica moderna, che vivono in enormi e fredde costruzioni della città tentacolare, sulla Montagna che sta sopra la "Scalogna".

A questo punto, il Mito s’interrompe ma, secondo le intenzioni di Pirandello morente, pare che i Giganti rifiutassero l’offerta di Ilse della rappresentazione della "Favola" e, tutti presi ed -intrappolati- dalla loro razionalità e incapaci di comprenderla, la facessero recitare davanti ai loro servi, gli operai delle grandi costruzioni, che non la capiranno neanche e Ilse morirà o di dolore o uccisa dai servi come il musico greco Orfeo: l’arte e la poesia subiscono, sconfitte, la rigida logica della tecnica e dell’utilità concreta e immediata, logica che lacera ogni nobile ideale umano come la poesia, la fede e l’amore.[i]

Fondazione Teatro della Toscana

in coproduzione con Teatro Stabile di Torino, Teatro Biondo di Palermo

Gabriele Lavia

I GIGANTI DELLA MONTAGNA

di Luigi Pirandello

la Compagnia della Contessa

Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro

Cotrone detto il Mago Gabriele Lavia

gli Scalognati

Nellina Laganà, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Simone Toni, Marìka Pugliatti, Beatrice Ceccherini - iNuovi

i Fantocci

Luca Pedron - iNuovi, Laura Pinato - iNuovi, Francesco Grossi - iNuovi, Davide Diamanti - iNuovi, Debora Rita Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia

scene Alessandro Camera

costumi Andrea Viotti

musiche Antonio Di Pofi

luci Michelangelo Vitullo

maschere Elena Bianchini

coreografie Adriana Borriello

assistenti alla regia Bruno Maurizio Prestigio, Lorenzo Volpe – iNuovi

scenografo assistente Andrea Gregori

Costumista assistente Eleonora Bruno

direttore degli allestimenti Stefano Cianfichi

capo macchinista Adriano De Ritis

macchinisti Emiliano Gisolfi, Duccio Bonechi

fonico Riccardo Bennassi

sarta Eleonora Terzi

amministratore Filippo Rossi

foto di scena Tommaso Le Pera, Filippo Manzini

con il contributo di Regione Sicilia

e con il sostegno di ATCL - Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio, Comune di Montalto di Castro, Comune di Viterbo

regia Gabriele Lavia

 

Durata: 2h e 25’ circa, intervallo compreso

 

 

 



[i] Fonte: eb.tiscali.it/esame/testi/giganti.htm    

 

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