Editoriale

Salvator Dalì la sfida di raccontarlo in un film

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

re al cinema per visitare una mostra o per conoscere un nuovo museo. Sono stati 650.000 gli spettatori che, nella passata stagione, hanno riempito 350 sale cinematografiche italiane per assistere agli eventi della “Grande Arte al Cinema”, un ciclo che è ormai un appuntamento fisso, grazie alla capacità di offrire un’esperienza visiva innovativa e di far vivere sul grande schermo tutta la ricchezza delle mostre, degli artisti e dei musei più importanti del mondo.

Il nuovo cartellone del 2018 celebra ora l'anniversario della morte di uno degli artisti più fantasiosi, irruenti, imprevedibili del '900, esplorandone la vita, le opere, i luoghi: Salvador Dalì, del quale, nel 2019, cadrà l’anniversario dei trent’anni dalla morte.

Il film evento Salvador Dalí. La ricerca dell'immortalità, in programma il 24-25-26 settembre, darà agli spettatori italiani l'opportunità di spingersi oltre il personaggio per conoscere da vicino il pittore, l'uomo e anche Gala, sua musa e collaboratrice.

Il regista David Pujol ci guida, assieme a Montse Aguer Teixidor, direttrice del Museo Dalí, e Jordi Artigas, coordinatore delle Case Museo Dalí, in un percorso che ha inizio nel 1929, anno cruciale per l'artista sia dal punto di vista professionale che personale, fino alla sua morte, nel 1989. È nel 1929, infatti, che l'artista si unisce al gruppo surrealista, suscitando le ire di un padre che non accetta un cambiamento così radicale e tenta di allontanarlo da Cadaqués, luogo dove Dalí trascorre le estati soleggiate con la famiglia prima della rottura.

Percorrendo vicende non scontate, si attraversano intere geografie vitali: l’adorata casa a Portlligat;Figueres, la città natale dove l’artista crea il museo-teatro Dalí, il suo testamento artistico; Púbol , nel castello donato all’amata Gala, simbolo di un amor cortese pensato per restituirle una desiderata dimensione intima che a Portlligat si era persa, tornando a un corteggiamento quasi antico.

Ma sono anche la Parigi surrealista di Un Chien Andalou, prodotto e interpretato da Dalí e da Luis Buñuel, e la New York moderna e simbolo di speranza e risurrezione, ad essere protagoniste di Salvador Dalí. La ricerca dell’immortalità, un film evento capace di farci penetrare nell’animo creativo, geniale e tormentato, di colui che secondo il regista Alfred Hitchcock era “il miglior uomo in grado di rappresentare i sogni” e replicare il mondo del subconscio.

Riuscirà il film di David Pujol a ricucire i tanti, troppi strappi culturali e politici che hanno segnato l’immagine di Dalì?

Qualche anno fa, una grande mostra spagnola dedicata all’artista (“Dalì - Tutte le suggestioni poetiche e tutte le possibilità plastiche”) scaten la “buona stampa” italiana, impegnata più che a parlare dell’opera a sottolinearne la venalità e la crescita esponenziale dei multipli della sua produzione.

Per quanto considerato, di volta in volta, buffone, pagliaccio, pazzo, genio, eccentrico, esibizionista, kitsch, narcisista, paranoico, nevrotico, cannibale, dandi, performer, ridurre Salvador Dalì ad una sorte di mistificatore in cerca di successo e di denaro servì a “camuffare” l’essenza del personaggio, ultimo dei grandi geni della pittura, in un secolo che di geni ne ha proposti a decine, trasformandolo in un’ icona folkloristica ed innocua, un po’ voyeuristico un po’ porno-fenomeno alla rovescia.

Tanta esasperata “faziosità” non arrivava per caso. Evidentemente infastidiva la sua prorompente forza iconoclastica verso gli “idola” di una cultura in balia dell’ideologia e di un realismo soffocante, insieme ai rapporti che Dalì ebbe con il franchismo, scandalo nello scandalo di un artista “fuori dal coro”.

Durante la guerra civile di Spagna, Salvador Dalì decise di non schierarsi. A quanti chiedevano il suo orientamento politico, egli rispondeva “non sono né stalinista, né hitleriano… sono DALINISTA!” Ciononostante le sue simpatie per Francisco Franco erano già conosciute. Nel 1936 Breton decise di espellerlo dal movimento surrealista parigino (tradizionalmente di ispirazione comunista e anarchica). Dalì rispose all’espulsione con la mitica frase “¡No podéis expulsarme porque el Surrealismo soy Yo!” (Non potete espellermi, perché il surrealismo sono io!)

Dopo l’esilio americano, nel 1949 l’artista tornò a vivere in Catalogna. La scelta di rimanere in Spagna nonostante la dittatura gli attirò aspre critiche da parte di numerosi progressisti e artisti, incluso il vecchio amico Buñuel, che non gli perdonerà mai l’adesione al franchismo.

Gli anni Cinquanta lo vedono riavvicinarsi alla pratica del cattolicesimo: sposa Gala con rito religioso, riscopre il rinascimento italiano e stempera il suo ossessivo surrealismo con immagini più sobrie ed equilibrate. Del 1951 è una delle sue tele più famose, il Cristo di San Giovanni della Croce, che combina il classicismo figurativo con un’insolita prospettiva in cui mette il crocifisso, come visto dagli occhi di Dio, dall’alto verso il basso. Nel 1964 Dalì viene insignito della Gran Croce di Isabella la cattolica (la massima onorificenza spagnola).

Questa fase della sua carriera è peraltro caratterizzata dalla sperimentazione di nuove tecniche artistiche e di comunicazione mediatica: realizza opere sviluppando macchie d’inchiostro casuali lanciate sulla tela ed è tra i primi artisti a servirsi di olografie, gira un filmato pubblicitario per conto della cioccolata Lanvim e disegna il logo del Chupa Chups. Diversi anni dopo, Andy Warhol gli riconoscerà di avere esercitato una grandissima influenza sulla Pop art, dedicandogli nel 1966 un cortometraggio documentario.

Insomma un personaggio “totale”, su cui vale ancora la pena interrogarsi, piuttosto che tentare moralistiche “stroncature”. Auguriamoci che il film di Pujol riesca nell’intento.

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