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81°Festival del Maggio Musicale Fiorentino

DAFNE: Il fascino del mito e l'attualità della violenza. L'opera di Marco da Gagliano nella reggia fiorentina

Successo dell'opera di Marco da Gagliano, moto apprezzati il cast e la direzione di Sardelli. Qualche contestazione per il regista.

di Domenico Del Nero

DAFNE: Il fascino del mito e l'attualità della violenza. L'opera di Marco da Gagliano nella reggia fiorentina

Dafne ambientata nella grotta del Buontalenti, proprio a fianco dell’ultimo tratto del corridoio vasariano, seduce non solo Apollo ma anche il pubblico fiorentino. Spettacolo dalla forte carica suggestiva, non solo perché opera – o meglio, favola in musica – delle origini, ma perché quello che oggi chiamiamo melodramma ha avuto proprio in questo palazzo le sue radici e  Marco Da Gagliano è sicuramente “figlio” di quell’ambiente culturale fiorentino che sin dagli ultimi decenni del Cinquecento aveva dato vita al  Recitar cantando.

Destino curioso, quello di questa Dafne.  Nata in quella Mantova che era la patria “artistica” del sommo Monteverdi, grazie a un musicista e a un poeta – Ottavio Rinuccini – che più fiorentini non potrebbero essere, fu poi nuovamente eseguita il 9 febbraio 1611 in casa di uno squisito – in puro stile mediceo- mecenate delle arti, Don Giovanni de Medici. In questo ambiente operava un altro musicista, Lorenzo Allegri detto “il tedeschino” (lo stesso soprannome che avrebbe avuto due secoli dopo Rossini!) autore di un repertorio di balli a più voci  che potevano essere inseriti, secondo un tipico costume dell’epoca, come intermezzi o introduzione agli spettacoli  . “Ho inserito dunque i sei balli dell’Allegri , strumentandoli come si conviene a questo genere di brani, nell’intento di ricostruire la versione fiorentina di quest’opera tanto toccante” ha dichiarato Federico Maria Sardelli, che alla testa del ensemble  Modo Antiquo, integrato da elementi del complesso Musica Antiqua del Maggio Musicale Fiorentino ha concertato e diretto l’opera in modo veramente esemplare, riscuotendo il plauso generale: “ho procurato di unire al canto quegli strumenti che all’epoca erano i principali colori della tavolozza strumentale (….) in un’epoca in cui il concetto di orchestra ancora non esiste, gli strumenti sono ornamenti che incorniciano la voce e mai si sovrappongono: si suonano balli e sinfonie al principio della scena, si suonano ritornelli alla fine, ma per tutta la durata del canto è solo il basso continuo l’unico suono strumentale che può unirsi alla voce” -  ha dichiarato il maestro e in effetti così è stato; una direzione che evoca perfettamente il clima e il modus operandi della Camerata Fiorentina e dei suoi tempi. Nitida e solare, tende a scolpire la parola, a far emergere il declamato e a restituire a quel tipo particolarissimo di canto tutto il suo fascino, per animarsi nelle parti strumentali ;  balli e ritornelli, nello splendido sfondo della grotta del Buontalenti,  fanno rivivere tutta quell’atmosfera della corte medicea che sembra ancora scolpita in ogni pietra della reggia toscana.

Se la direzione musicale è stata approvata senza riserve, non così si può dire della regia di Gianmaria Aliverta. Forse il taglio imposto dal regista, sin troppo “impegnato” e attualizzante era fuori posto in uno scenario come quello, ma anche con un testo che deriva da Ovidio, poeta “disimpegnato” per eccellenza.  La lettura della metamorfosi di Dafne in alloro come supremo atto di libertà in un mondo dominato dalla prepotenza maschilista rappresentata da Apollo è risultata un po’ forzata e realizzata anche con mezzi discutibili: dalle effusioni in scena alla presenza rumorosa e ingombrante di letti che venivano spostati con effetto talvolta …. cacofonico.  Questo su una scena tra l’altro piuttosto ristretta, su cui hanno trovato posto pochi oggetti solitamente poco “intonati” all’ambiente. Questo non giustifica certo gli insulti e le offese con cui qualche spettatore un po’ troppo irritato ha accolto il regista (se il dissenso a teatro è lecito e a volte doveroso, è sufficiente fischiare, offendere non è un diritto ma un atto di inciviltà), ma dovrebbe comunque far riflettere sulla opportunità di certe letture che rischiano di diventare forzature, soprattutto quando sanno di presa di posizione ideologica. Questo non perché le violenze contro le donne non esistano (purtroppo) ma perché la violenza e l’aborto (temi tra l’altro, soprattutto il secondo, estremamente delicati e complessi) sono davvero in qualche modo “compatibili” con Rinuccini, Gagliano e Ovidio?  Anche i costumi di Sara Marcucci risentono un po’ di questa ambiguità: molto belli e intonati quelli in stile “rinascimentale” come quelli di Venere e Dafne, meno quelli un po’ da borgatari dei nostri giorni dei pastori. Bellissimo e suggestivo, vero punto di forza dello spettacolo, il gioco di luci di Alessandro Tutini, che accendeva l’interno della grotta di vari colori, come il rosso per la passione, mentre la facciata risplendeva dei simboli medicei che sembravano tornare a nuova vita.

Per quanto riguarda le voci, si tratta sicuramente di un tipo di canto molto particolare e peculiare, lontano sin nella concezione da quello più tipicamente “operistico”. Marco da Gagliano a questo proposito raccomandava: “ Procurisi in quella vece di scolpir le sillabe, per far bene intendere le parole. E questo sia sempre il principal fine del canto, e in ogni occasione di canto, massimamente nel recitare, e persuadasi pur ch’il vero diletto nasca dall’intelligenza delle parole.

In effetti, come nota Sardelli, queste affermazioni dovrebbero essere scolpite in tutti i teatri e i conservatori del mondo; ma per quanto riguarda il “recitar cantando” assumono senz’altro una valenza speciale. Ma c’è da dire che il cast della Dafnele ha nel complesso messe in pratica abbastanza bene. In particolare l’Apollo di  Leonardo Cortellazzi aveva un bel timbro scuro, una discreta potenza e soprattutto un ottimo declamato;  molto precisa e nitida la declamazione della protagonista Francesca Boncompagni, convincente e gradevole anche il Tirsi del tenore Alessio Tosi, dotato di voce ampia e ben calibrato e di una buona coloratura; molto spigliato e disinvolto, sia sul piano scenico che vocale, l’Amore di Silvia Frigato. Buone nel complesso tutte le parti vocali, compreso il piccolo coro.

Spettacolo di grande fascino, sicuramente da vedere. Stasera ore 21,15 ultima replica.

 

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da PRESTITO il 08/07/2018 03:24:35

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