Editoriale

Dimenticare Malthus per tornare a sperare

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

ra tanti anniversari, più o meno importanti, inanellati quest’anno, c’è anche il duecentoventesimo dall’uscita del “Saggio sul principio della popolazione”, scritto nel 1798 da Thomas Malthus. Alla base delle teoria malthusiana l’idea del controllo delle nascite, quale strumento di lotta alla povertà, determinata – secondo l’autore inglese - dalla crescita geometrica della popolazione e dallo squilibrio tra risorse disponibili e capacità di soddisfare l’espansione demografica.

Sull’onda delle visioni di Malthus, negli Anni Settanta del Novecento, si è  assistito all’affermarsi del cosiddetto neomaltusianesimo, soprattutto ad opera del biologo Paul Ehrlich, autore, nel 1968, del best-seller “La bomba demografica”,  che ha ispirato le politiche di governi e organizzazioni internazionali al fine di controllare le nascite anche con aborti e sterilizzazioni forzate.

L’idea, fasulla, come dimostrarono già i primi critici di Malthus, che la povertà sia da legare allo squilibrio tra la crescita della popolazione e lo sviluppo delle risorse (laddove  non veniva contemplata  la capacità inventiva e tecnologica dell'essere umano ed il fatto che l’aumento della produttività agricola è stata  in grado di soddisfare l’incremento della popolazione) , deve, oggi, al contrario,  fare i conti con un gap demografico che rallenta lo sviluppo economico e rischia di portare i Paesi al collasso. A cominciare dall’Italia.

A confermarlo – tra gli altri – il recente studio, elaborato dalla  Banca d'Italia,  su "Il contributo della demografia alla crescita economica: duecento anni di storia italiana" (a cura di Federico Barbiellini Amidei, Matteo Gomellini e Paolo Piselli).

Attraverso una scomposizione contabile della crescita del PIL e del PIL pro capite,  gli autori mostrano come le modifiche nella struttura per età della popolazione abbiano prodotto nel passato più lontano un demographic dividend positivo. Al contrario, negli ultimi venticinque anni e con ogni probabilità nel futuro, il gap demografico  ha dato e darà un contributo diretto sensibilmente negativo alla crescita economica.

E dalla  ricerca emerge  che, a partire dal 2041, neppure gli immigrati  basteranno più per compensare la riduzione delle nascite e rallentare il declino dovuto all'invecchiamento della popolazione e il loro apporto non sarà più sufficiente a sostenere il prodotto interno lordo.

I dati parlano chiaro: “Negli ultimi venticinque anni e nelle simulazioni per il prossimo cinquantennio  – si può leggere nello studio della Banca d’Italia - i dati e le previsioni nazionali e internazionali prospettano un’evoluzione sfavorevole della composizione per età con una riduzione della quota di popolazione in età lavorativa ed effetti negativi sulla crescita economica in Italia, in modo non dissimile dagli altri principali paesi industrializzati. I flussi migratori (previsti) potranno limitare il calo della popolazione complessiva, della popolazione in età lavorativa e dei tassi di occupazione, ma non saranno in grado di invertire il segno negativo del complessivo contributo demografico”.

Vista la sua complessità epocale,  la questione demografica non può allora essere affrontata - come è stato fatto fino ad oggi -  sperando nei  flussi migratori, intervenendo sull’allungamento della vita lavorativa, aumentando la produttività.

La questione è “strutturale”, chiamando in causa aspetti insieme politici (di governo generale delle politiche familiari) e culturali (relativi alla “visione della vita e del mondo”). Nella misura in cui i figli sono una scommessa per il domani, è sui crinali della speranza e del futuro che la partita va giocata. Ed è perciò da una ricomposizione del quadro politico-culturale che deve passare la soluzione della questione demografica. Bisogna tornare a sognare, a pensare – come sistema-Paese – per grandi idee e grandi aspettative, uscendo fuori dalla piccola logica  dell’individualismo e  dai bassi orizzonti dell’edonismo personale. Accontentarsi dell’esistente, deprimendo la natalità  – numeri alla mano – non basta più. Con buona pace per tutti i maltusiani, vecchi e nuovi. 

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da ghorio il 25/04/2018 16:35:19

    La teoria di Malthus sull'aumento della popolazione che porta alla povertà non è per niente valida. I libri di economia politica del resto lo evidenziavano da molto tempo. Nel frattempo nel mondo è arrivata la sindrome della demografia , come penalizzazione dello sviluppo. La realtà è diversa, ma le varie nazioni mi pare che non adottino misure per favorire l'incremento della natalità, salvo "piangere" per un futuro non florido. L'Italia su questo è un esempio lampante con i giornali che ci ripetono la prospettiva della scomparsa del popolo italico, senza che il governo faccia quasi niente per assicurare un avvenire dignitoso alle nuove generazioni.

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