Editoriale

IL PAESE DEL RANCORE

A proposito di odio social e dintorni.

Lorenzo Somigli

di Lorenzo Somigli

alia  della crisi ha trovato una valvola di sfogo nei social network, Facebook in primis. Il dividendo sociale della  ripresa non  è stato distribuito: chi era ricco, se fortunato  lo è rimasto ma non sa per quanto, chi era povero, lo è rimasto e pensa di rimanere povero per sempre, salvo diventare ancor più povero. È l'Italia della paura che si sfoga sulla rete ma dietro l'odio virtuale si cela una questione sociale che prepotentemente sta venendo alla ribalta.


                                                 Internet Haters

Tutto parte da una foto di pessimo gusto che ritrae due commesse di un noto supermercato nell'atto di prendersi gioco della carcassa di un agnello macellato. La foto grottesca infiamma le tastiere. Raffiche di commenti al vetriolo. Pioggia di insulti. Richieste di licenziamento. Promesse di boicottaggio. Arriva persino qualche minaccia di morte. Tutto questo per una foto: una foto tremenda ma pur sempre solo e soltanto una foto. Niente di nuovo sotto il sole. Ordinaria amministrazione per chi vive la rete. Questo è solo un esempio di come la rete diventi un terreno fertile per l'odio, un odio che si accende con rapidità e che con altrettanta rapidità si spegne.

È capitato a qualsiasi utente della rete di dover fare i conti con qualche fastidioso troll intento a stuzzicare il malcapitato, con chi offende senza motivo, con chi spara un commento lapidario, indelebile, caustico al di là di che cosa si stia parlando. Inutile razionalizzare, l'odio non è razionale. Quando scoppia, dilaga implacabile, tutto travolge, non risparmia niente e nessuno: è una mischia selvaggia che l'anonimato altro non fa che facilitare.


Ha fatto discutere il documentario di Kyrre Lien “Internet Warriors”: sembrerebbe che gli haters siano persone generalmente isolate, con  posizioni lavorative precarie, periferiche socialmente. È un'interpretazione verosimile ma troppo semplicistica e ad ogni modo non coglie il dato sociale del problema. Alla base di una tale recrudescenza dell'odio sociale ci sono cause profonde.


                                                   L'Italia del rancore

Parla chiaro in proposito  il rapporto Censis: c'è un'Italia della speranza, c'è un'Italia del rancore. Senza conoscerlo restano incomprensibili le ragioni.  Timidi segnali di ripresa si accompagnano ad un rancore generalizzato. 

La paura di diventare poveri rappresenta un sentimento diffuso in tutti gli strati sociali: ha paura il 71% degli appartenenti al ceto popolare, il 65% del ceto medio e addirittura il 62% del ceto benestante. Chi ha paura di diventare come gli altri, come gli odiati straccioni; chi ha lottato una vita per migliorare lo status e ora teme di tornare indietro; chi teme di diventare come un migrante, come uno appena sbarcato senza identità.  Tutti hanno paura di perdere quel poco o quel tanto che posseggono. La situazione peggiora perfino con i millenials, le generazioni più  giovani: l'87% pensa che sia difficile salire la scala sociale, quasi il 70% pensa invece che sia più  che probabile scendere quella stessa scala. Chi dovrebbe avere prospetti per il futuro e speranze, si è rassegnato.

"L'immaginario collettivo" si legge "ha perso la sua forza propulsiva di una volta e non c’è più un’agenda sociale condivisa". Un rapporto da brividi che dipana scenari da trionfo di quei partiti che promettono sicurezza.


Ecco le ragioni sociali dell'odio che si riversa in rete. Non è  un rancore dettato da xenofobia, isolamento, ignoranza o almeno non del tutto, come troppo spesso si vorrebbe far intendere, è  un rancore che ha una causa economica e sociale. La crisi ha martoriato il Paese, i governi hanno acuito i danni con tagli lineari e riforme nefaste, la ripresa se c'è  non è avvertita dagli strati più  deboli che hanno subito le conseguenze peggiori della crisi in termini di disoccupazione o di precariato.


                                           Come gestire l'odio social

Don't feed the hater” ovvero “non alimentare chi ti odia” è la regola aurea per qualsiasi utente della rete che si trovi a contatto con un hater. Ignorare il singolo commentatore folle si può,  non si può ignorare l'odio sociale che macera nel Paese, del quale l'odio sulla rete altro non è che una trasposizione.


Mettere il bavaglio a Facebook  è una soluzione ma solo di breve respiro: l'odio potrebbe tranquillamente convogliarsi altrove. Non vi è dubbio che una legge contro l'hate speach come in Germania potrebbe costringere le multinazionali a far rispettare gli standard delle comunità social ma sarebbe la migliore risposta al problema? Il problema è il singolo commento carico d'odio oppure dietro c'è qualcosa di più? Non serve nemmeno scappare dal problema: nel bene o nel male l'odio sui social è una fotografia dell'odio che serpeggia nel Paese reale.


I sentimenti, tra cui l'odio è forse uno dei più infiammabili, hanno bisogno di una valvola di sfogo. L'hanno trovata nei social. Dietro l'odio virtuale si cela una questione sociale che prepotentemente sta venendo alla ribalta. Insomma, se non si mette mano alla grande questione sociale a poco o nulla servirà strapparsi le vesti per qualche commento rancoroso.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Cosma il 15/01/2018 08:45:24

    "È l'Italia della paura" ... "Dietro l'odio virtuale si cela una questione sociale" Però coloro che vanno a votare hanno fiducia nei moderati e, a giudicare dai sondaggi, continueranno ad averla anche il 4 marzo prossimo venturo. Allora, delle due l'una: o sono contenti - e la protesta è solo ipocrisia per sentirsi parte del gregge - oppure - Platone docet - sono incoscienti. Non saprei dire, tra i due, quale sia il male minore.

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