Editoriale

Un apologo cubano alla Ernest Hemingway

- Consigli di lettura di Ratzinger a Castro, ma con l'intrusione laica "del Vecchio e il mare"

 

di  

i>Alla memoria di Karol Wojtyła

e di Ernesto Guevara de la Serna

che avrebbero dovuto essere all’Avana

il 29 marzo del 2012

e che forse c’erano.

Mi sarebbe piaciuto conoscere le reazioni dell'allora compassato e inappuntabile Segretario di Stato, l'eminentissimo cardinal Joseph Ratzinger, dinanzi alle immagini di quello strano, surreale, davvero storico incontro del 1998,  all'Avana, tra Giovanni Paolo II e il Comandante Fidel Castro Ruz, che per l'occasione si era accuratamente spuntato la barba e indossava - anziché le abituali tenute da soldato-guerrigliero o una di quelle patetiche uniformi sovietizzanti degli alti ufficiali cubani – un completino blu da prima comunione. Entrambi increduli e commossi: e anch'io, non mi vergogno ad affermarlo, commosso fino alle lacrime.

            Se fummo in tanti a commuoverci davanti a quell'incontro (erano  molti i cattolici come me ad averlo sognato per tanto tempo...), quello di adesso, tra un affaticato Benedetto XVI e un Fidel sofferente, mi ha  comunicato quel che del resto c'era da aspettarsi,visti i tempi in cui viviamo: dubbio, incertezza, disorientamento. Già all'arrivo all'aeroporto di Santiago, tutto dava l'impressione di un déjà vu un pochino impolverato rispetto al precedente viaggio di un pontefice a Cuba: e anche l'elenco dei meriti e delle conquiste del regime snocciolato da Raoul Castro, che replicava l'analogo exploit messo in scena anni prima dal fratello, sfoggiando però un carisma da far invidia ohimè a un ragioniere del catasto, mi ha dato una stretta al cuore (perché, ebbene sì, sono e resto un castrista convinto e inossidabile: e me ne vanto). D’altronde, la ferrea logica del socialdinastismo sembra funzionare in modo analogo, all’Avana non meno che a Damasco: quando per un motivo o per l’altro cede il Grande Vecchio, l’eredità passa all’erede più prossimo o stimato comunque obiettivamente più idoneo, al di là magari delle sue inclinazioni, dei suoi gusti e delle sue speranze. E’ capitato al figlio più mite di Assad, è capitato al riservato fratello del Líder Maximo. Così è, se vi pare: arcana imperii.

            Ed ora, 29 marzo dell’Anno del Signore 2012,  ecco l'incontro tra due Grandi Vecchi, più o meno coetanei, che vengono  davvero da tanto lontano. Ma da quanto lontano, poi? Due anziani signori avviati verso i novant'anni, il primo che in giovinezza ha indossato (sia pure con scarso entusiasmo, forse con riluttanza) l'uniforme della Hitlerjugend e poi quella della Wehrmacht, il secondo che in gioventù, cattolicissimo allievo dei gesuiti, si appassionava agli scritti di José Antonio, il fondatore della Falange Spagnola.

E’ inutile affannarsi a minimizzare se non addirittura a negare: per noi non più giovani, ma anche per molti che hanno meno anni di noi, “Fattore F” e “Fattore K”,  fascismo e comunismo, hanno contato moltissimo. Nati entrambi dal disfacimento e dal fallimento dell’iniquo liberal-liberismo dell’Ottocento, che aveva organizzato il cinico sfruttamento colonialista del mondo e che era naufragato nella tragedia del ’14, sono stati travolto militarmente il primo dall’impium foedus tra quel che restava dell’impero liberale – riciclato però dalla nuova potenza statunitense – e l’Unione Sovietica (a ciò spinta, bisogna in ultima analisi dirlo, dal tradimento hitleriano del patto Ribbentrop-Molotov) e socioeconomicamente il secondo dalla vittoria, soprattutto mediatica e virtuale, dell’ipercapitalismo dei Chicago boys che sono riusciti a creare più disastri nell’agonizzante URSS in pochi mesi di quanti non fosse riuscita a fare in quasi mezzo secolo la burosaurocrazia poststaliniana ma che, a colpi di propaganda e di sfavillanti menzogne di mercato, sono riusciti a lungo a farsi credere dei salvatori.

            E ora, in questo crepuscolo del passaggio  (diciamolo alla Zygmunt Baumann) tra la “Modernità solida” alla “Modernità liquida”, cioè al disincantato ma anche disorientato Postmoderno che non crede più ai dogmi individualisti, progressisti, utilitaristi e tecnologi ma che non sa più né che pesci prendere né dove andare, mentre i segni dell’implosione dell’iperneocapitalismo cominciano a mostrarsi in tutto il mondo (e qualcuno forse, da qualche parte, sta già caricando il revolver per un nuovo colpo di pistola di Sarajevo, che probabilmente esploderà il prossimo autunno, nel Golfo di Hormuz), ecco l’incontro tra due rappresentanti di due mondi per tanti versi “opposti”,  accomunati tuttavia dalla coscienza profonda che la barbarie della società dei profitti e dei consumi può condurre solo a quel che si sta già delineando, un nuovo e più oppressivo totalitarismo; due uomini di potere e di successo ma abituati ad attraversare anche terribili tempeste e che ormai si avviano alla stagione nella quale si debbono  raccogliere, nel bene e nel male, i frutti di quel che si ha seminato.

            Il Comandante ringrazia il Santo Padre per la canonizzazione di madre Teresa e di Karol Wojtyła e gli chiede consiglio sulle prossime letture che potrebbe e vorrebbe intraprendere. Non sono certo informazioni bibliografiche, quelle di cui sta andando in cerca.  Non sapremo mai quali accorate domande implicite si celano dietro questa domanda.  Non riusciremo mai a comprendere che cosa significhi davvero quella visita che viene da tanto lontano, di un vecchio prete a un vecchio soldato della Rivoluzione che in gioventù tanto spesso si è inginocchiato dinanzi all'effigie di Nuestra Señora del Cobre protettrice di Cuba  e che oggi ha ormai un fardello pesante di esperienze e di responsabilità sulle spalle.

Ricordi, magari rimpianti, diciamo pure rimorsi: e la solitudine del potere di un vecchio che nell'esercizio di esso si è forse giocato anche gli affetti più cari, a cominciare da quello della figlia. Non è, quella richiesta di consiglio su che cosa leggere, qualcosa che somiglia a una confessione? E  sollecitata per giunta da un uomo stanco, provato, ammalato, che si sente prossimo al passo ultimo?

Non è un’accorata ammissione di fallimento, sia pure non totale e non assoluto, un segno di sgomento dinanzi al mistero del mondo e della storia, un  quaesivi, et non inveni?

 “Ancora una volta sono salito in sella al cavallo di don Chisciotte”, scriveva il “Che” alla vigilia della sua ultima impresa, quella che l’avrebbe condotto alla morte, nella sierra boliviana. “Ecco: io sono, come vedi, un cavaliere errante; molto ho cercato, e nulla ho trovato”, confessa un personaggio di un romanzo medievale. Questo ha confessato, senza dichiararlo, il vecchio Fidel, chiedendo al vecchio Joseph qualche consiglio sui libri da leggere.

            Ha fatto benissimo, il professor Ratzinger che avrebbe ben potuto rispondergli con una raffica di autori e di titoli all'impronto, a chiedergli tempo per riflettere. E' stato un segnale: la risposta al messaggio nella bottiglia speditogli da quel naufrago nell'oceano del dubbio, in questo crepuscolo della “Modernità solida”, ora che Marx è morto e le ideologie sono morte con lui. Benedetto XVI sa di dover indicare qualche lettura che dia un senso a un uomo che teme non solo e non tanto la morte, quanto che tutto il senso della sua vita finisca con lui e che il suo paese dopo la sua scomparsa ricada nelle mani dei vampiri  che aspettano a Miami, dei malavitosi che non vedono l'ora di rimetter le grinfie sull'isola per tornare a farne quel ch'era prima, il paradiso degli evasori fiscali, degli speculatori, dei ruffiani, dei biscazzieri, delle puttane, del gioco d'azzardo e della corruzione.

Tutto quel marciume tornerà a Cuba, insieme senza dubbio con tanti poveri diavoli perseguitati ed esiliati dal regime castrista. Tutto quel marciume si farà scudo di quei poveri diavoli e tenterà di passare per vittima della tirannide. Marciume, certo: ma rigorosamente e fieramente anticomunista, perdinci! E molto probabilmente riuscirà a far di nuovo dell’isola il paradiso fiscale e il superbordello dei Caraibi con la benedizione di tutte le grandi democrazie: e troverà senza dubbio spudorati politici e infami opinion makers che sguazzeranno in quella rinnovata cloaca  e la chiameranno Libertà.

            Se fossi il papa, non consiglierei Fidel di ricercare le sue antiche radici ispanoamericane. I Martí, i Sarmiento, i Neruda, i García Marquez, magari perfino i Borges o addirittura i Dávila,  se vuole li ritroverà da solo, anche nella biblioteca della sua residenza. No. Forse il vecchio guerriero dovrebbe andare oltre, dovrebbe rintracciarsi scavando più a fondo nella sua identità: forse fino alle scaturigini della sua hispanidad, al Castello Interiore di Teresa d'Avila e alla “Notte Oscura del Nulla di Giovanni della Croce. Forse dovrebbe riscoprire le radici della sua generosa ispirazione di quando, giovane rivoluzionario, voleva davvero cambiare il mondo, e aver il coraggio di riconoscerne l'utopia onirica, e rileggere il Don Chisciotte di Cervantes.

            Ma poi, sempre se fossi il papa, invierei al più presto al Comandante in dono tre piccoli preziosi libretti. Primo, la soluzione cristiana di qualunque autentica volontà rivoluzionaria di cambiare il mondo e di fondare l'uomo nuovo: la splendida meditazione di Carlo Maria Martini su Il discorso della Montagna  di Gesù (Mondadori), cioè sul “Discorso delle Beatitudini”: perché solo l'amore può davvero rinnovare l'uomo e salvare il mondo.  Secondo, il dialogo serrato e gioioso di un altro Grande Vecchio con il Grande Vecchio per Eccellenza: quel miracolo di grazia e di saggezza ch'è il saggio di Jean d'Ormesson Che cosa strana è il mondo (Barbés), uno sguardo disincantato e divertito sulla storia del mondo che si risolve in un reincanto, la speranza che dopo la vita tutto cambi e tutto continui e la certezza che una vita pienamente vissuta non può comunque mai svanire nel nulla. Terzo, Religioni e politica nel mondo globale. Le ragioni di un dialogo di Vannino Chiti  (Giunti), una bella riflessione sul fatto religioso condotta da un politico esperto, oggi vicepresidente del senato, che ha ripensato e metabolizzato seriamente (ma non dimenticato, e tanto meno rinnegato) il comunismo delle sue origini. Non oso sperare che papa Ratzinger spedisca  a Fidel due altri libri, che mi piacerebbe tanto che egli invece  leggesse e che sono quasi sicuro gli piacerebbero: Ogni cosa alla sua stagione (Einaudi) di Enzo Bianchi, una lettura straordinariamente idonea per chi si trova nell’autunno della sua esistenza; e forse soprattutto Il Vangelo di un utopista (Aliberti) di Andrea Gallo, che escludo che questo papa consiglierà mai a chicchessia (ma potrei sbagliare), e che forse anche Castro, oggi, potrebbe trovare un po’ troppo “di sinistra”. 

            Comunque, ai suggerimenti che il Santo Padre Le invierà, Compañero Comandante, mi permetta di aggiungere una mia personale raccomandazione. Rilegga un libro che riguarda da vicino Lei, la Sua isola e la storia di essa. Lo conosce senza dubbio: è Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway. Ma lo rilegga con occhi attenti a metafore e a simboli, come se fosse una parabola evangelica. E' la lotta di un vecchio pescatore contro un gigantesco marlin e poi contro le avversità che gli impediscono di godere della sua pesca prodigiosa: la lotta di chi vuol dare un senso alla sua vita e ci riesce al di là di qualunque sconfitta. E' l'apologo della storia della Sua volontà di combattere per l'indipendenza del Suo paese dalla prepotenza straniera e per la liberazione della Sua gente dalla miseria e dall'ignoranza. Chi combatte per queste cose spesso sbaglia e magari commette crimini e infamie, può anche non vincere, può anche arrivar a chiudere gli occhi con la convinzione di non avercela fatta: ma in realtà  non sarà mai uno sconfitto. Hasta siempre, Comandante.

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