Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Giovanni Pascoli
“In Pascoli, il fantasma poetico non sorge dalla melodia e non ne riceve quasi mai significazioni notevoli. La maggiore importanza invece è da lui data all’elemento plastico […] ma al di là dal paesaggio e dalla figura la vista interiore non percepisce null’altro. E noto la mancanza di quel mistero che soltanto la potenza occulta della musica crea intorno ai fantasmi poetici”.
Si tratta di un caso clamoroso di .. vista sorda, per usare una sinestesia. D’Annunzio recensendo sul Mattino di Napoli nel 1891 le Myricae di Pascoli, cade nell’errore clamoroso di non percepire appunto dietro la musica un po’ dissonante dell’amico rivale i potenti effetti, sinestetici e non, che fanno delle sue liriche ben altro che semplici bozzetti. Avvicinandoci al centenario della morte di quello che ormai è riconosciuto uno dei più grandi poeti italiani dell ‘800 – ‘900, consideriamo un aspetto forse meno noto: la magia del linguaggio nella lirica pascoliana.
Giacomo Debenedetti parla a proposito del simbolismo di Pascoli di impressionismo, inteso non solo in senso pittorico ma in quello più esteso del termine. Secondo il critico però manca a Pascoli il coraggio di andare fino in fondo: “per mancanza di consapevolezza manca di coraggio. Non porta a fondo la sua rivoluzione. Come sbigottito dai suoi ardimenti di linguaggio, cerca di rimetterli d’accordo con la tradizione poetica.
Certamente nel poeta romagnolo il peso della tradizione è ancora notevole ed è noto come all’interno delle sue raccolte i risultati non siano certo tutti di uguale livello e a fianco del poeta del mistero convive anche un “fanciullino” a volte pedante e stucchevolmente ingenuo. Se però lasciamo stare pargoletti e cavalline storne, il grande Pascoli è degno di essere accostato ai migliori simbolisti francesi.
Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...
Si tratta della celebre lirica” l’Assiolo “ tratta proprio da Myricae: non è sicuramente una musicalità melodiosa come quella ad esempio della Sera Fiesolana di D’Annunzio; ma notiamo una sorta di ritmo frenetico che evoca più che definire il messaggio implicito nelle parole: abbiamo l’attesa dell’epifania della luna, la cui luminosità è evocata in termini positivi (alba di perla); ma immediatamente dopo la sinestesia soffi di lampi (sensazione visiva e auditiva) sembra creare un’antitesi con l’immagine di serenità prima evocata e quasi annullare l’ansiosa attesa della natura esemplificata dal mandorlo e dal melo che si protendono per scorgere la luna. Se dunque in d’Annunzio la sinestesia evocava un accordo di sensazioni positive e benefiche (fresche la mie parole nella sera ti sien come il fruscio che fan le foglie del gelso.. ), in Pascoli richiama invece un qualcosa di angoscioso che rivela come dietro il volto benefico della natura possa nascondersi quello più inquietante della morte. Suoni e colori concorrono entrambi, dopo l’illusione iniziale a disegnare un’atmosfera tetra che toglie la maschera all’apparenza ingannevole di una benefica pace: la malinconia e l’angoscia percepita prendono forma in questo scenario cupo e grigio.
Del resto lo sviluppo stesso dell’Assiolo e della Sera Fiesolana è altamente significativo: D’ Annunzio perviene ai reami d’amor delle dolci colline, alla descrizione di un ineffabile legame tra uomo e natura; in Pascoli abbiamo un climax angoscioso che termina nel” pianto di morte” e nelle” invisibili porte che forse non s’aprono più”: quelle porte della morte che altrove egli evoca in toni sin troppo patetici e strazianti,mentre qui con un verso di grande suggestione musicale (tintinni a invisibili porte/ che forse non s’aprono più?) l’idea è appena accennata con un simbolismo tanto arduo quanto affascinante.
Sempre in Myricae,un esempio famosissimo è quello di “Novembre”, la lirica in cui un paesaggio apparentemente sereno rivela una natura priva di succhi vitali: anche qui la sinestesia crea un gioco mirabile di sensazioni con l’odorino amaro del prunalbo e il cader fragile delle foglie, che svela la vera condizione della natura nel suo gelido aspetto di morte.
E per concludere, sempre rimanendo su Myricae la breve lirica temporale, apparentemente solo un bozzetto:
Un bubbolìo lontano…
Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un’ala di gabbiano.
Si incomincia con un’onomatopea che riproduce il suono angoscioso di una tempesta ancora lontana ma incombente: i colori dominanti sono il rosso e il nero, ma in fondo con ardito linguaggio analogico Pascoli associa il casolare e un’ala di gabbiano: uno sprazzo di bianco che viene come squarciare il buio della natura. Mancanza di mistero? Rivoluzione incompiuta? Per una volta anche il Vate aveva avuto un .. sordo abbaglio.
Inserito da Loredana il 30/03/2012 10:22:08
Un articolo che rende più giustizia a Pascoli. Di lui si tende sempre a ricordare la dimensione "piccola" del fanciullino, e a non fare attenzione all'energia creativa più adulta di altre sue poesie. Rileggendo ora il confronto all'interno della stessa produzione di Pascoli, concordo: manca qualche volta il coraggio di portare avanti certi slanci, forse per paura della destinazione finale, molto più adulta del fanciullino. E forse meno controllabile. Una bella rilettura di Pascoli, sì.
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