Editoriale

Società multiculturale: l'incubo della Torre di Babele

In città come Parigi e Londra, le periferie sono ormai terra di nessuno. O meglio ....

Luca  Costa

di Luca  Costa

ocietà multiculturale. Lo ius soli. Le manifestazioni pro-migranti. L’islam religione di pace. Sono i dogmi della sinistra moderna: Open Society, direbbe papa Soros. Un grande cantiere universale impegnato nella costruzione della nuova Torre di Babele, per i vate del progressismo la migliore ipotesi per garantire a tutti il massimo di benessere, di diritti, di felicità, di godimento.

 Tuttavia, il cantiere ogni tanto si ferma. In lontananza rimbombano gli eco degli attentati, delle esplosioni, le grida dei morti ammazzati mescolate con quelle degli assassini: Allah-u-Akbar!

 Questo “ogni tanto” inizia a farsi un pochino frequente, e così, dopo i recenti fatti di Londra, i pionieri dello ius soli e della laicità soft, gli anglosassoni appunto, cominciano a riflettere:

 Forse il nostro multiculturalismo è da rivedere”, dichiara  sommessamente Teresa May, Primo Ministro inglese. Forse…

 Gli inglesi e gli americani, costantemente critici nei confronti del modello laicista francese e sempre pronti al linciaggio mediatico-ideologico ad ogni tentativo della République di arrestare il comunitarismo islamico (divieto del velo nelle scuole o del burkini nelle spiagge, chiusura di scuole coraniche estremiste, etc.) sono ora costretti ad interrogarsi sul fallimento del loro sistema di integrazione. Eh sì, le periferie delle metropoli inglesi non sono il paradiso del vivere insieme, bensì un vespaio di potenziali djiadisti indottrinati nelle moschee salafiste all’odio per la civiltà occidentale.

 Nonostante ciò, anche in Francia le legioni della sinistra Open Society (insegnanti, magistrati, giornalisti, politici) non si arrendono, e ogni giorno arriva puntuale l’omelia volta a convincere i fedeli che i terroristi non hanno niente a che vedere con l’islam e blablabla… inglesi e francesi, quando si tratta di politicamente corretto, vanno a braccetto.

Il sindaco di Londra (Khan) e il sindaco di Parigi (Anne Hidalgo) sono pronti a qualsiasi acrobazia retorica pur di difendere un multiculturalismo pacifico che esiste solo nei loro bei discorsi e negli aperitivi caviale e champagne tra membri delle élites progressiste. Gente che in periferia non ha mai messo piede, ovviamente.

 Polizia islamica, tribunali della charia, scuole private coraniche, minareti, ululati del muezzin, moschee salafiste e whahbite (rette da imam formati in Arabia Saudita, Qatar, Egitto e Turchia), sono la triste realtà delle periferie di Londra, Manchester, Leicester e Birmingham. Periferie nelle quali gli inglesi non sono più i benvenuti.

Le periferie francesi sono ormai “i territori perduti della Repubblica”, dove tutti i negozi sono halal, dove chi non rispetta il ramadan rischia grosso, dove le donne e gli ebrei hanno interesse a non farsi vedere per strada o nei bar.

 Quando, nella sarabanda dei talk show e degli editoriali, si cercano le cause di questo fallimento, la musica è sempre la stessa: colpa del colonialismo (ma Svezia, Germania, Belgio, non hanno mai avuto colonie islamiche), colpa della povertà (ma in Europa ci sono milioni di poveri non musulmani, e non commettono attentati), colpa nostra insomma. Oppure: il problema è lo Stato Islamico! Tuttavia,  quando lo Stato islamico (Daech o Isis per i benpensanti) era al top della forma c’erano attentati, ora che sembra perdere terreno…ce ne sono ancora di più.

Inoltre, gli attentatori non sono affatto cittadini dello Stato Islamico. Grazie allo ius soli sono ora cittadini francesi e britannici.

 Grazie ai profeti dello ius soli (da noi Boldrini & co.) che affermano che basta nascere in un paese per esserne cittadino.

E io che pensavo che la cittadinanza fosse una comunione di lingua, tradizioni, religione, arte, cultura, musica, modi di amare, di vivere, di guardare e pensare l’uomo, la realtà, la libertà. Che ingenuo!

Si può benissimo odiare e disprezzare una civiltà, basta nascere lì, e il gioco è fatto…la sinistra italiana cerca di convincerci che lo ius soli è una tappa fondamentale verso un multiculturalismo di pace, mentre proprio coloro che lo hanno inventato dichiarano che questo stesso modello ha fallito.

 

Il problema non è il califfato, il problema non è l’Isis. La struttura non è nulla. La cittadinanza in sé non è nulla. La cultura è tutto. La civiltà è tutto. L’appartenenza a una comunità non si determina nei documenti o nella carta d’identità, si determina nello spirito, nella mente e nel cuore degli individui. Per questo lo ius soli è condannato in partenza: non basterà una riforma burocratica a (ri)creare una comunità di destino.

 

Gli esempi inglesi e francesi, il Belgio e la Germania non possono cadere nel vuoto. Marx e Engels lo dicevano oltre un secolo e mezzo fa: a partire da un certo numero, la quantità diventa una qualità. L’immigrazione di massa causa comunitarismo, comunità che si installano in un nuovo paese ma che vivono come se fossero ancora nel paese d’origine. Comunità che, a causa della propaganda salafista che spende miliardi per finanziare moschee, madrasse e imam, colpevolizzano chi vuole integrarsi e assimilarsi nel nuovo paese. Comunità che coltivano in grembo il disprezzo per la nostra civiltà, disprezzo che talvolta si sfoga in sanguinosi attentati, poiché l’islam non vuole fare i conti con il messaggio di violenza veicolato dalle sue fonti (Corano e Vita di Maometto in primis).

 L’equazione non è complessa. Là dove si permette al comunitarismo islamico di far società a parte, si creano i presupposti perché qualche esaltato con manie di protagonismo commetta orrori al grido di Allah-u-Akbar. Indipendentemente dal passaporto e a prescindere dalla classe sociale di appartenenza.

 Samuel Huntington, nel suo celebre libro “Lo shock delle civilizzazioni”, già trent’anni fa ci aveva messo in guardia: le frontiere dell’islam sanguinano ovunque. Aderire a progetti di “Open Society” non vuol dire abbattere le frontiere, vuol dire costruire frontiere tra i quartieri delle nostre città. Vuol dire portare la guerra civile in casa nostra.

 Solo oggi Teresa May sembra averlo capito: forse il multiculturalismo pone problemi. Forse.

Forse è arrivato il momento di capire che non è la Torre di Babele la migliore delle ipotesi per garantire all’individuo il massimo di libertà, sicurezza e diritti in seno ad una comunità.

 Ad avviso di chi scrive, la migliore e sola ipotesi politica di società veramente umana e attenta al bene comune non può che essere la Nazione.

 Forse è arrivato il momento che qualcuno, almeno a destra, se lo ricordi.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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