Dirige Roland Böer.

Dal favoloso Oriente alle lavagne incantate e allo … scotch. Una lettura originale del Flauto Magico.

All’opera di Firenze l’ultimo capolavoro di Mozart va in scena nella versione di Damiano Micheletto: niente simbologia massonica, ma scontro tra visioni del mondo e dell’educazione.

di Domenico Del Nero

Dal favoloso Oriente alle lavagne incantate e allo … scotch.   Una lettura originale del Flauto Magico.

Opera massonica, fiaba o  mito che sia, il Flauto magico (Die Zauberflöte) è sicuramente uno dei titoli più famosi non solo del grande salisburghese, ma del repertorio lirico in generale.  Si tratta, purtroppo, di uno degli ultimi “colpi di genio” di Wolfgang Amadeus Mozart: fu infatti rappresentata al Theater auf der Wieden (Vienna) il 30 settembre 1791, appena due mesi prima della sua morte avvenuta il 5 dicembre di quello stesso anno.  Sicuramente non è facile orientarsi nel labirinto di storie e leggende che ha accompagnato la genesi e la creazione di quello che comunque rimane un capolavoro assoluto; lo vedremo sul palcoscenico dell’Operadi Firenze, per un totale di sei recite, a partire da giovedì 23 a mercoledì 29 marzo. La regia è dell’estroso e ormai rinomatissimo regista Damiano Micheletto, mentre la bacchetta è quella di Roland Böer. 

L’autore del libretto, Emanuel Schikaneder  (1751-1812) era un personaggio piuttosto singolare: attore, cantante, impresario teatrale e autore drammatico, amava il teatro spettacolare e dirigeva una sala  non molto grande in un sobborgo di Vienna, il Freihaus Theater .  Fu lui a proporre al compositore il soggetto dell’opera e anche per l’appunto a scriverne il testo. Mozart aveva viva simpatia e stima per Schikaneder, che aveva fama di essere un personaggio molto “disinvolto” e anticonvenzionale: fu così che questo testo, nato inizialmente dalla fusione di elementi fiabeschi allora molto in voga (basti pensare alla contemporanea opera di Carlo Gozzi in Italia), la cui fonte principale è Jinnistan ovvero Raccolta di fiabe di fate e di spiriti edita da Christoph Martin Wieland tra il 1786 e il 1789 e in particolare la fiaba Lulu ovvero Il flauto magico di August Jakob Liebeskind, si caricò di contenuti morali e allegorici con forti allusioni alla tradizione massonica, a cui poeta e musicista e poeta erano entrambi affiliati.  Nel 1968  il musicologo francese  Jacques Chailley scrisse un libro  Il flauto magico, opera massonica, in cui voleva dimostrare che compositore e librettista avevano consapevolmente voluto costruire una storia simbolica con un significato nascosto, permeata per l’appunto di ideali massonici che non sarebbero ornamenti secondari, ma strutture vitali. Stiano o meno così le cose, non è affatto necessario essere “liberi muratori” o comunque ammiratori del composito e poco attraente (almeno per chi scrive) mondo massonico per apprezzare la meravigliosa opera di Mozart, concepita del resto per un teatro  viennese di macchine  e aperta all'immediatezza del gusto popolare con le sue scene buffe, le gags burlesche, le inattese peripezie, i colpi di scena e il colorito orientaleggiante tanto caro a quel periodo storico (e non solo).  Non si tratta infatti   di un’opera mistica e composta per una ristretta cerchia di eletti; ma è stata scritta  per piacere ad un pubblico il più vasto possibile e quindi attingeva alle tradizioni del teatro popolare viennese, specialmente nelle scene per Papageno, con il loro tipo di amore semplice ed un po' buffonesco.

Si tratta, certo, di un lavoro profondamente diverso da quella “trilogia italiana”realizzata in collaborazione con Lorenzo da Ponte e che aveva dato al compositore fama e fortuna: con Don Giovanni, Le nozze dì Figaro e Così fan tutte si verifica non solo una rottura dei generi tradizionali ( soprattutto nel Don Giovanni) ma anche personaggi “realistici” con una loro complessità psicologica. Ma Mozart aveva, già del 1782, offerto un modello anche all’opera “tedesca” con il Singspiel il Ratto del Serraglio, che alternava parti cantate e musicate ed altre recitare. A questo modello si rifà Mozart per il suo ultimo capolavoro teatrale, dandogli la coloritura magica e fiabesca che era propria della cosiddetta zauberoper, opera magica  qui caratterizzata da una mescolanza di tragico e di comico, di ‘meraviglioso’ e di un po’ triviale, dove elementi fiabeschi mescolati a caratteri allegorici di  vario genere  si esprimono in un tono ora popolare ora alto, non di commedia realistica ma di racconto fantastico, senza spazio o tempi reali. Anche per quanto riguarda gli stili musicali del resto il compositore si muove con grande libertà: opera buffa “italiana” e opera seria, Lied tedesco e musica sacra, nella forma del corale luterano e  non solo: una pluralità di stile che conferisce all’opera quell’eccezionale, unico colorito fiabesco evocato proprio dalla musica, e che ispirerà molti musicisti della generazione successiva, a partire dal cugino di secondo grado di Mozart, il grande Carl Maria Von Weber.

L’edizione fiorentina è firmata, per la regia, da Damiano Micheletto, che ne dà una lettura molto innovativa e personale: “L’idea registica di questo Flauto magico è quella di una grande allegoria delle forze che si contendono la formazione dell’individuo, senza per questo appiattire gli elementi giocosi e fantastici pur presenti nella vicenda. Con la rivoluzione francese, scoppiata due anni prima che Mozart componesse l’opera, si affermauna concezione laica della scuola e così ho pensato di ambientare il Flauto magico all’interno di una scuola. All’inizio Tamino si sente schiacciato dall’istituzione scolastica e rifiutando il vecchio, il passato, cancella la lavagna che a sua volta si ribella trasformandosi nell’enorme serpente che lo insegue. Le prove sono necessarie per maturare e così Tamino per vincere le sue paure apre delle scatole lasciate come tracce per il suo cammino, come i sassolini di Hänsel e Gretel. Il tema è quello della fine delle illusioni per crescere e diventare grandi: un viaggio di scoperta che conduce alla saggezza. Tamino e Pamina vivono il conflitto tra l’istruzione religiosa e quella laica, riassunto nella dicotomia conflittuale tra la Regina della notte e Sarastro. La prima è una madre dogmatica, che rinunciando alla ragione minaccia e ricatta; Sarastro, invece, è un vecchio saggio laico che comunica la sua conoscenza senza imposizioni o dogmi   (…) Tamino e Pamina si aprono a una scoperta individuale degli affetti e della sessualità, della maturità come indipendenza dai genitori in un viaggio fisico di scoperta e consapevolezza di sé. (…)   Papageno è il bidello della scuola: rappresenta l’istinto, non ha crisi intellettuali e la sua è una conoscenza altra. Familiarizza inoltre con il linguaggio non scritto degli animali. Per quanto riguarda la figura dei tre geni, ho immaginato tre minatori con tanto di elmetto con la luce. Sono degli spiriti guida che scavano nella terra e nel fango, ricercando la conoscenza nell’ignoto, nel buio perché solo così scopriamo chi siamo. Gli elementi simbolici - non la ritualità massonica - saranno presenti, ma in funzione narrativa e senza autoreferenzialità. Fondamentale è il problema della trasmissione del sapere e questo è il compito di Sarastro e dei saggi che lo circondano. Si tratta di una conoscenza, naturalmente, non accademica, maturata anche attraverso il viaggio notturno dei protagonisti nel bosco. L’epoca della vicenda non è dunque importante; siamo in un tempo sospeso, anche se i costumi sono novecenteschi e in scena si usa lo scotch.”

Chi vedrà giudicherà. Dirige l'orchestra e il coro del Maggio Musicale Fiorentino il maestro Roland Boer; le scene sono di Paolo Fantin, costumi di Carla Teti. Nei ruoli principali Goran Juric interpreta Sarastro, Juan Francisco Gatell (23,25 e 28 marzo) e Leonardo Cortellazzi si alternano in quello di Tamino; Olga Pudova è la Regina della Notte, mentre nel ruolo di Pamina ci saranno Ekaterina Sadovnikova (23,25,28) e Anna Gillingham (24,26,29); Papageno è Alessio Arduini (23,25,28) in alternativa con Christian Senn (24,26,29).


La trama dell’opera

Atto I
L'azione si svolge nell'antico Egitto, trasfigurato in una dimensione fantastica e fiabesca.
Il principe Tamino sta fuggendo da un serpente e gli vengono incontro le tre dame della regina della notte per aiutarlo. Le dame lo presentano alla regina della notte, Astrifiammante, che lamenta il dolore per la scomparsa della figlia Pamina, rapita dal malvagio Sarastro. Tamino, affascinato da un ritratto della giovane, decide di andare con l'uccellatore Papageno a salvare la principessa. Le Dame consegnano a Tamino un flauto magico e un glockenspiel (carillon) fatato a Papageno. Tamino e Papageno si incamminano verso il Tempio di Sarastro, sotto la guida di tre ragazzi. Papageno giunge per primo al tempio e penetra persino nella stanza dove il perfido moro Monostatos tiene imprigionata Pamina. Papageno e Pamina, scacciando Monostatos, tentano la fuga. Tamino frattanto giunge di fronte a tre Templi (Natura, Ragione e Saggezza) e si confronta con un sacerdote che, oltre a smontare l'immagine di un Sarastro cattivo, pone domande a Tamino sul suo essere uomo. Tamino, sconcertato e disorientato, suona il flauto magico nella speranza di far comparire Pamina, invano. Trascinato da Monostatos, viene successivamente condotto al cospetto di Sarastro (alla presenza anche di Pamina), che lo libera e gli dice che, se vorrà entrare nel suo regno con Papageno, dovrà purificarsi. Tamino e Pamina si riconoscono e si amano da subito.

Atto II
Sarastro invoca Iside ed Osiride affinché aiutino spiritualmente Papageno e Tamino, che quindi iniziano la prima prova: dovranno stare in silenzio, qualunque cosa accada. Monostatos si avvicina furtivamente a Pamina addormentata: vorrebbe baciarla, ma è cacciato da Astrifiammante che, porgendo un pugnale alla figlia, le ordina di vendicarla uccidendo Sarastro. Monostatos, non visto, ha ascoltato tutto e minaccia di rivelare l’intrigo se Pamina non l’amerà. Sopraggiunge Sarastro: dopo aver scacciato Monostatos si rivolge paternamente a Pamina e le spiega che solo l’amore, non la vendetta, conduce alla felicità. Pamina cerca di parlare a Tamino, ma il giovane - essendo ancora sottoposto alla prova del silenzio - non può. Lei crede che non l'ami più, come le ha suggerito Monostatos, ora diventato alleato di Astrifiammante e forse innamorato di lei, e, colta dal dolore, medita il suicido, ma viene fermata da tre ragazzi che l'informano dello scopo della prova. Durante questa prova, Papageno parla con una vecchina, che, poco più tardi, si rivelerà essere Papagena, una donna simile a lui, di cui si innamora. Tamino e Pamina superano le due successive prove: l'attraversamento dell'acqua e del fuoco. Ma subito dopo arrivano Astrifiammante, Monostatos e le tre dame per sconfiggere Sarastro. Un terremoto li fa inabissare, e così si celebra la vittoria del bene sul male. Pamina e Tamino vengono accolti nel regno solare di Sarastro.

DATE:

Gio 23 marzo, ore 20:00
Ven 24 marzo, ore 20:00
Sab 25 marzo, ore 20:00
Dom 26 marzo, ore 15:30
Mar 28 marzo, ore 20:00
Mer 29 marzo, ore 20:00

 

 

 






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