Editoriale

La sinistra è tornata in un vicolo cieco. Era già accaduto negli anni '70

Il vicolo cieco della sinistra era il titolo di un aureo libretto, composto da tre saggi  di Thomas Molnar, Jean-Marie Domenach e Augusto Del Noce

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

inistra-sinistra torna a cantare la vecchia ninnananna del “progresso”, convinta di riuscire a consolare l’umanità sofferente. In attesa di capirne un po’ di più e con la speranza che tutto non si riduca a qualche assegnino di sopravvivenza (leggi reddito di cittadinanza), la sinistra, nuova e vecchia, conferma di essere chiusa nel vicolo cieco  della sua stessa crisi.  Con Matteo Renzi che va a lezione oltreoceano per trovare la “terza via”, ma senza il coraggio di cercarla veramente, ed i neo democratici-progressisti che, alla loro prima uscita, mostrano  tutta la gracilità politica di un riformismo  senz’anima, né forza, perché ancora chiuso nell’alveo delle sue storiche contraddizioni. Non a caso parliamo di “vicolo cieco”.

Il vicolo cieco della sinistra era il titolo di un aureo libretto, composto da tre saggi  di Thomas Molnar, Jean-Marie Domenach e Augusto Del Noce, pubblicato, nel 1970, da Rusconi Editore, nell’indimenticabile collana “Problemi attuali”. Il saggio di Molnar, uno dei più brillanti scrittori americani di ispirazione cattolica, dava il titolo al libro e ne sosteneva le ragioni di fondo. Sono ragioni che, ancor oggi, possono essere bene usate per cogliere i limiti dell’attuale sinistra, vecchia o nuova poco importa.

Tre gli elementi di questo “vicolo cieco” così come li individuava Molnar.

In primo luogo il divorzio radicale tra sinistra e realtà. Con il risultato – come scriveva Molnar – che “per la sinistra, la realtà è sempre incompleta, e la sua ambizione consiste nel completare la realtà, nel cercare l’impossibile coincidenza di ciò che è con ciò che dovrà essere”  (pensiamo alla lettura che viene, oggi, data della realtà sociale, della geopolitica, della crisi e del suo superamento).

Secondo fattore è l’utopia, con la continua proiezione della perfezione sociale in un avvenire atemporale, sovvertitore radicale del soggetto (pensiamo, oggi, al relativismo etico e alle sue ricadute sulla famiglia, sulla vita di relazione, sulla crescita delle giovani generazioni).

Terzo elemento è il “ricatto nichilista” esercitato  dagli adepti e dalla “base” che autolimita ogni concreta politica da sinistra (e qui pensiamo al ruolo del movimentismo, del radicalismo, del sindacalismo classista, dell’ intellighenzia,  autentiche spine nel fianco della sinistra che ambisce esercitare il potere).

E’ – in fondo – la fotografia dell’odierna sinistra italiana, prigioniera dei suoi miti incapacitanti e perciò chiusa nel vicolo cieco delle proprie contraddizioni. E sono, nel contempo, i nodi complessi di una politica che non può oggettivamente dispiegarsi senza entrare in urto con la sua essenza irrealistica, utopistica, radicale.

La tattica “di potere e di opposizione”, che tanto piace alla sinistra antagonista, è quella che si nutre delle contraddizioni della sinistra di sempre, a cui il disegno riformista non sembra oggi in grado di opporre argomenti convincenti. E perciò, paradosso dei paradossi, perde quando, in apparenza, sembra vincente. Così come è accaduto a Renzi, convinto di conoscere la realtà, ma – come s’è visto – rinchiuso in un mondo immaginario ed autoreferenziale; apostolo della società 4.0, ma incapace di tracciare un coerente percorso riformatore; maestro nella comunicazione, ma – alla fine – triturato dai suoi stessi “adepti”.

Irrealismo, progressismo, relativismo: vittima dei suoi miti incapacitanti la sinistra in quel vicolo cieco rischia di restare prigioniera. L’augurio è che con lei non ci finisca anche tutta l’Italia.

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