Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
La soprano Roberta Mameli
Di lui non solo il grande pubblico dell’opera, ma anche quello medio non conosce probabilmente una nota, se non …a piè di pagina di qualche saggio. Eppure Leonardo (Leo) Vinci (1690? -1730) personaggio dal nome molto … impegnativo anche se nulla ha a che fare col suo quasi omonimo che lo precedette di circa due secoli, , si rivela un grande. Non solo nell’opera comica, piatto forte della splendida settecentesca scuola napoletana ( le sue Zite in Galera sono uno dei primi esempi di commedia per musica in dialetto napoletano che ci siano pervenute), ma anche nell’opera seria, come ha dimostrato lo splendido e meritato successo fiorentino della Didone Abbandonata, prima ripresa in tempi moderni dell’opera composta a Roma nel 1726 che segnò l’inizio della sua collaborazione con il grande poeta Pietro Metastasio, cui viene attribuita la settecentesca riforma dal “caos” del melodramma seicentesco a un disegno più rigoroso e razionale di impronta arcadica; ma soprattutto la volontà di restituire dignità alla tragedia e impostare su basi più equilibrate il rapporto poesia-musica, che il nel Seicento dopo Monteverdi aveva privilegiato decisamente quest’ultima.
Una querelle, quella dell’opera secentesca e di quella “riformata” che ha visto battaglie appassionate e alterne fortune. Se di recente si è giustamente rivalutato il melodramma del diciassettesimo secolo, figlio di un clima culturale particolare e comunque vivacissimo, lo spettacolo fiorentino dimostra ulteriormente, se mai ce ne fosse bisogno, la grande vitalità anche della formula “metastasiana”, che con la struttura rigida recitativo- aria può a volte essere un po’ monotona e poco adatta al gusto contemporaneo.
Ma quando ci sono un grande poeta, un grande musicista e un grande teatro come l'Opera di Firenze allora la scommessa è presto vinta. Vincente intanto la scelta del Goldoni, sicuramente palcoscenico ideale per le sonorità vivaci e raffinate del musicista campano: un teatro “da camera” sicuramente più vicino a questo genere di musica. Lo spettacolo, partito domenica con due (purtroppo) sole repliche, una ieri sera e l’altra prevista per domani alle ore 20, ha fatto registrare il tutto esaurito: un interesse che si è trasformato in un vivo successo.
Il libretto della Didone è il primo testo veramente importante scritto da Metastasio, il quale affronta un tema già al’epoca abusato anche nel teatro d’opera; prima di Vinci, non erano mancati altri nomi “eccellenti”: Purcell in primis, ma anche Albinoni e Porpora. Metastasio però riesce a creare una tensione tragica particolare, grazie soprattutto al personaggio della protagonista, eroina di una dignità e altezza morale straordinaria. Sia nei recitativi che nelle arie (momento dell’effusione “lirica” del sentimento) la straordinaria dignità del personaggio è evidenziata proprio dal confronto con tutti gli altri, che al suo confronto appaiono meschini e squallidi: a partire da Enea, di cui Metastasio accentua ancora di più di Virgilio gli aspetti “problematici” sino a Iarba, il re africano dal carattere impetuoso e passionale. Molto efficace e “moderno” anche il finale: una “chiusura” improvvisa e senza fronzoli di alcun tipo, con la regina che decide di scomparire nell’incendio della sua reggia: suicidio che, in omaggio all’Ars Poetica di orazio, non avviene però sulla scena.
Il poeta scrisse il libretto a stretto contatto e in piena collaborazione con i compositori che lo “intonarono” (Sarro prima e Vinci poi). Per questo la differenza tra recitativo e aria, pur nettissima, è tuttavia meno marcata e statica di alcuni titoli successivi; inoltre la musica di Vinci riesce straordinariamente ad “avvolgere” e a far vibrare un testo di altissima qualità poetica.
Tutto questo è decisamente emerso nello spettacolo al Goldoni, che ha fatto di questa riscoperta un vero e proprio evento. Merito davvero di tutte le componenti: Prima di tutto, Carlo Ipata, sicuramente uno specialista di questo tipo di repertorio che però dirige con grande calore e passione, senza lasciarsi irrigidire da “eccessi filologici”. La scrittura di Vinci in quest’opera e quella di un perfetto equilibrio tra canto e accompagnamento strumentale; le colorature sono dunque sempre usate per dare maggior risalto alla parola ma mai, come accadeva comunemente nel secondo Seicento, in senso puramente virtuosistico. La direzione di Ipata ha reso perfettamente questo equilibrio, vivace e coinvolgente senza eccessi … barocchi di alcun tipo. Sicuramente Metastasio (e quindi anche Vinci) avrebbero apprezzato e non poco.
Buono, in alcuni casi eccellente anche il livello degli interpreti. La Didone di Roberta Mameli, anzitutto. Perfetta, “statuaria” come interprete nel ruolo di donna, amante delusa e regina: drammaticità e pathos, senza però “patetismi” incompatibili con la lezione metastasiana che le hanno consentito tra l’altro un finale d’opera davvero straordinario. Da un punto di vista vocale,la bellezza e la duttilità del suo timbro, oltre alla potenza del registro acuto, sono semplicemente incantevoli, insieme a un declamato di grande nitore ed efficacia drammatica. Di grande interesse anche lo Jarba del controtenore Raffale Pè: perfettamente a suo agio nel ruolo del “cattivo”, Pè ha un timbro raffinato ma straordinariamente corposo, disinvolto nelle agilità, dotato di ottimo fraseggio e di grande espressività nei recitativi: un interprete di ottimo livello sia scenico che vocale. Meno felice, soprattutto nel primo atto, l’Enea del tenore Carlo Allemanno, che è parso in alcuni passaggi un po’ “sfocato” e forse con qualche defaillance, anche se ha compensato con una buona interpretazione scenica. Di buon livello anche le tre parti “minori”: la Selene di Gabriella Costa, l’Araspe di Marta Pluda e l’Osmida di Giada Frasconi.
La regia di Deda Cristina Colonna è caratterizzata da una scenografia “essenziale” e a tratti un po’ statica, ma nel complesso più che adeguata a rendere l’atmosfera del dramma: una città “in fieri” animata con straordinaria abilità dal gioco di ombre curato dalla Compagnia Altretraccee dalle luci di Vincenzo Raponi. Sicuramente d’effetto anche il movimento scenico dei personaggi e la loro gestualità. I costumi di Monica Iacuzzo sono una gradevole sintesi tra modernità e tradizione. Nel complesso dunque giudizio ampiamente positivo anche per regia e scenografia.
Uno spettacolo davvero memorabile, che si spera ricollochi nella giusta posizione quello che si può definire un capolavoro ritrovato. Un invito dunque all’opera di Firenze a proseguire su questa strada, perché i capolavori dimenticati in tutto o in parte sono sicuramente tanti. E’ uno spettacolo davvero da non perdere.
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