Messi: la caduta del gigante?

No te Vayas Leo! Un campione non si arrende mai.

Considerazioni a margine della partita Cile - Argentina, finale della coppa America.

di Tommaso Nuti

No te Vayas Leo!  Un campione non si arrende mai.

Ad un passo dall'alzare la coppa, ad un passo dall'essere consacrato ancora una volta come il migliore di tutti i tempi. Ad un solo passo. Troppo lungo. 
Paradossalmente la rincorsa è breve, come a voler anticipare la fine di quella partita e di quella serie di sconfitte che sembrano maledette, stregate. Messi calcia, alto. Il passo da breve è diventato infinito. Infinito come quel l'obiettivo che sembra non avvicinarsi mai tanto da scoraggiare, piegarsi sulle ginocchia ed alzare gli occhi verso i giocatori Cileni che alzano la coppa, di nuovo, sempre ai rigori. È la quarta finale con la maglia dell’Argentina persa: tre coppe America e un Mondiale. È la sua sconfitta, simbolicamente rappresentata dal suo rigore sbagliato ma non da lui, non dal piccoletto che ha fatto meraviglie con la maglia del Barcellona, non dall'imprendibile numero 10 signore di ben cinque palloni d’oro, non dalla pulce che ha stravinto tutto quello che poteva in Spagna e in Europa.
Certo, se Higuain l’avesse messa dentro con quel pallonetto sbagliato dopo un regalo di Medel.. Se quel maledetto colpo di testa non fosse stato salvato da Claudio Bravo su una punizione proprio di Messi… Discorsi, calcoli, desideri, forse addirittura giustificazioni che portano alla disperazione anche chi come lui è ben abituato ad alzare trofei. Quello con la nazionale però forse conta qualcosa in più. 

“Lascio l’Argentina, non fa per me, ho provato in tutti i modi a vincere ma non ci sono mai riuscito”.
Troppa tensione, troppo psicologismo dietro ad un giocatore, troppi paragoni con l’Altro, precedente autore di uno scudetto portato a Napoli e campione del Mondo nel caldo Messico dell’86. Eppure quell’Altro, ovvero Maradona il vincente per definizione, era l’incarnazione del Diavolo, il Male inarrivabile e mistico, sregolato e folle. Leo Messi è il ritratto del Buono, l’Ideale, il padre di famiglia e capitano ammirevole, silenzioso, sempre nelle righe. Eppure quel paragone continua a stravolgerlo, come lui stravolge qualsiasi numero e record che si trovi difronte ( appena diventato capocannoniere della Seleccion con 55 reti in 113 partite, superato Gabriel Omar Batistuta). 
Ma è quel rigore il fulcro di tutto un torneo: dopo 6 gol e una fase iniziale vissuta da protagonista indiscusso, dopo aver portato l’Argentina sulle spalle fino alla fine, si è visto sfilare per la seconda volta in due anni la Copa America sotto le proprie mani, o per meglio dire, sotto quell’inarrivabile piede sinistro.
 
Leo Messi è in lacrime, barba lunga e maglia fra i denti, seduto, inginocchiato dinanzi al fato che sembra non girare mai con la maglia argentina addosso, una vittoria che non è mai arrivata.
Smettere è la scelta più ingiusta che un fuoriclasse possa mai arrivare a prendere; dire basta è guardare il trionfo senza mai poterlo toccare, aver versato sangue e sudore senza essere mai riusciti ad asciugarli da vincente, stremato come chi ha appena scalato la montagna più alta della propria carriera, ma dalla cima riesce a vedere il bello, l’atteso, il Mondo ai suoi piedi. E allora non smettere Leo, continua a segnare, sudare, vincere. Non fuggire da chi ti reputa peggio dell’Altro e da chi con grande coraggio continua a chiamarti “perdente"; non scappare da chi guarda con invidia il percorso di una leggenda che però a 29 anni non può diventare un semplice “ex”, neanche dopo il rigore più importante sbagliato, calciato alle stelle come i sogni di una nazione intera (e non solo) che adesso chiede al proprio campione di restare. 
Quindi No te Vayas Leo, continua a far sognare la tua gente come se avessi la maglia blaugrana sotto quella della Seleccion, continua a rincorrere quell’obiettivo che meriti di raggiungere, perché dopo la più bruciante delle sconfitte nel periodo delle favole calcistiche chissà se non potrai agitare al vento quella numero 10 come se fosse la bandiera bianco-celeste, dietro quel sogno tanto atteso ed altrettanto meritato.

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