Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Scena da il barbiere di Siviglia (foto Michele Palazzi)
Parte domani la stagione estiva del teatro dell’Opera di Firenze, in uno scenario che più suggestivo non si potrebbe: palazzo Pitti, la severa e splendida reggia granducale toscana, e precisamente il cinquecentesco cortile dell’Ammanati. Non è certo la prima volta che questo spazio imponente e regale viene trasformato in palcoscenico e la sua bellezza è tale da compensare sicuramente quello che, inevitabilmente, si perdein acustica.
Tre gli appuntamenti operistici in cartellone: si parte con l’Elisir ‘Amore, tre rappresentazioni a giugno (20,22,26) e quattro a luglio ( 5,13,19,26); poi il Barbiere di Siviglia, il 23 e il 29 giugno e il 15,20,27 luglio; infine la Traviata, ben 10 rappresentazioni dal 3 al 25 luglio. Orario d’inizio le 21,15. Inoltre tre concerti, il primo, il 7 luglio diretto da Wolfram Christ con un programma tutto mozartiano ( Ouverture delle Nozze di Figaro e concerto per flauto e arpa k299, prima parte; sinfonia n. 41 Jupiter seconda parte); il secondo da Sergio Alapont con la sinfonia rossiniana della Gazza ladra e il Concerto n. 2 in re maggiore per violoncello ed orchestra di Haydn nella prima parte, la settima sinfonia di Beethoven nell’altra (14 luglio) e infine il 21 luglio Stefano Montanari presenta le Variazioni in si bemolle maggiore per orchestra, op. 56a su un tema dal Chorale S. Antonii della Feldparthie n. 6, Hob:II:46 di Franz Joseph Haydn di Brahms e il Concerto in fa maggiore op. 75 per fagotto e orchestra, J. 127 di Weber (prima parte), e la quinta di Beethoven (seconda parte).
Due appuntamenti comici dunque e uno tragico per quanto riguarda l’opera, che è bene ricordarlo è nata proprio tra le mura del palazzo dei Medici. L’Elisir d’amore segna una netta differenza rispetto al modello buffo rossiniano, in quanto presenta l’elemento sentimentale che era rimasto sostanzialmente estraneo al teatro comico del grande pesarese. So è più volte detto e ripetuto che Donizetti “umanizza” maggiormente i personaggi attraverso l’individuazione di una linea melodica che ne mette in risalto l’identità: esempio classico proprio il protagonista maschile dell’Elisir, Nemorino, personaggio “sentimentale” per eccellenza, con il suo canto spianato impostato prevalentemente sul registro centrale . Adina invece si mostra all’inizio dell’opera una ragazza capricciosa e volubile ( duetto chiedi all’aura lusinghiera), come suggerisce una linea di canto ricca di fioriture, per poi passare al carattere malinconico dell’aria finale (prendi, per me sei libero). Più “tradizionale invece il personaggio di Dulcamara, con quel canto prevalentemente sillabato tipico del basso buffo.
L’edizione che va in scena a Palazzo Pitti vede la direzione d’orchestra di Alessandro d’Agostini, con Juan Francisco Gatell nel ruolo di Nemorino, Laura Giordano in quello di Adina, Biagio Pizzuti Belcore e Marco Filippo Romano Dulcamara. La regia è di Pier Francesco Maestrini, con scene di Juan Guillermo Nova e costumi di Luca dall’Alpi; una versione molto “Yankee” a quanto sembra, una trasposizione in età moderna che difficilmente si ambienterà nella solennità dell’Ammanati. Ma aspettiamo a giudicare.
Il Barbiere di Siviglia è invece la ripresa dell’edizione dello scorso anno all’opera di Firenze, con la regia di Damiano Micheletto, con costumi di Carla Teti: una regia molto “minimalista” tra sedie, palloncini colorati , in una prospettiva molto colorita e dinamica che sopprime quasi del tutto l’ elemento scenico in favore di quello coreografico e della “gestualità” degli attori cantanti che dovranno dunque tirar fuori tutta la loro abilità scenica. Ancora Alessandro D’Agostini sul podio, Figaro è Julian Kim, Rosina Paola Gardina, Don Bartolo Filippo Fontana, Don Basilio Gabriele Sagona.
Infine Traviata, in una nuova edizione per la regia di Alfredo Corno con scene di Angelo Sala (costumi di entrambi). Direttore d’orchestra Fabrizio Maria Carminati.
L’elisir d’amore: la trama dell’opera:
ATTO I
Affaticati dal lavoro nei campi, i mietitori e la contadina Giannetta riposano
all’ingresso della fattoria di Adina; questa sta leggendo in disparte mentre il
timido Nemorino, di lei innamorato, la osserva da lontano. Un rullo di tamburi
annuncia l’arrivo di un drappello di soldati capitanati da Belcore, un sergente
così sfrontato da chiedere immediatamente la mano di Adina. La ragazza
temporeggia e a Nemorino, che ancora una volta le ribadisce tutto il suo amore,
si dichiara troppo volubile per legarsi a un solo uomo. Poco più tardi compare
nel villaggio il Dottor Dulcamara, venditore di un miracoloso elisir capace di
guarire ogni malanno. L’ingenuo Nemorino ne approfitta per chiedere un filtro
che desti l’amore di Adina ma Dulcamara, che in realtà è un ciarlatano, gli
vende del semplice bordeaux, assicurandogli effetti sorprendenti dopo un giorno
soltanto. Bevuto il vino e certo del suo successo, Nemorino comincia a trattare
Adina con sufficienza. La ragazza, indispettita da questo nuovo atteggiamento,
decide che sposerà Belcore quella sera stessa. Nemorino, disperato, supplica
inutilmente l’amata di rimandare le nozze al giorno successivo, quando l’elisir
avrà finalmente effetto.
ATTO II
All’interno della fattoria sono in corso i festeggiamenti per il matrimonio.
Nemorino, per accelerare l’effetto dell’elisir, vorrebbe acquistarne un’altra
bottiglia; non avendo di che pagarlo è costretto ad accettare il consiglio
prontamente suggerito da Belcore: farsi soldato e ottenere venti scudi. Nel
frattempo le contadine, appresa la notizia della morte dello zio di Nemorino e
dell’immensa eredità destinata al nipote, cominciano a corteggiare il ragazzo,
destando la gelosia di Adina. Finalmente la ragazza si accorge di amare
Nemorino e, dopo aver riscattato il contratto di arruolamento, gli dichiara il
suo amore. A Belcore non resta quindi che rimettersi in cammino con la sua
guarnigione mentre Dulcamara attribuisce il lieto fine alla formidabile virtù
del suo elisir.
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