Editoriale

Fascismo e Nazismo pari non sono

Al di là della polemica sul Mein Kampf

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

tisi i fuochi delle polemiche, tutte strumentali, contro “il Giornale”, reo di avere distribuito, in allegato, il Mein Kampf di Adolf Hitler, vale la pena di riprendere la questione sulle differenze  tra fascismo ed nazismo. Sull’argomento c’è molta confusione, in particolare tra le giovani generazioni, spesso abituate ad accomunare i due movimenti, vuoi per l’assimilazione, più o meno inconscia,  imposta  da  certa vulgata resistenziale, vuoi per una sorta di mitopoietica dei “due capi-due popoli”, che ancora pervade l’immagine affiancata di Mussolini ed Hitler.

In realtà la questione è un po’ più complessa. E va subito liberata dalle visioni strumentali che ancora l’accompagnano. Come ebbe a dire Renzo De Felice, nella sua Intervista sul fascismo,  “la categoria del nazifascismo fu inventata dalla propaganda politica per battere il comune nemico. Fu un'invenzione degli Alleati, poi passò fra le parole d'ordine della Resistenza e da lì nel linguaggio comune”.

Al di là delle “parole d’ordine” di parte esistono delle ragioni di fondo – studiate ed analizzate da De Felice – che vanno ben rimarcate. Intanto le origini dei due movimento. Entrambi nascono subito dopo la Prima Guerra mondiale, con tutte le crisi ed i traumi che essa provocò, ma con una differenza fondamentale tra Italia e Germania:  per l’Italia si trattò di  una guerra vittoriosa, ancorché “mutilata”, per la Germania  è stata  una guerra persa. Per il fascismo la guerra 1915-18 è il volano di una nuova stagione politica nazionale, per il nazismo – parole di Hitler – è  “… una pugnalata alle spalle inferta dal giudaismo internazionale” con la complicità della massoneria e del bolscevismo internazionale, che va vendicata.

“Leggendo i libri scritti da fascisti, guardando la pubblicistica fascista, i giornali fascisti, ciò che colpisce – afferma De Felice -  è l’ottimismo vitalistico che c’è dentro, un ottimismo vitalistico che è la gioia, la giovinezza, la vita, l’entusiasmo, la lotta come lotta per la vita. Una prospettiva che – sia pure nei termini che poteva avere un fascista – è di progresso. Nel nazismo questo non c’è. Intanto non c’è l’idea di progresso: semmai c’è quella di tradizione, di razza …”.

I fascisti insomma vogliono la rivoluzione. I nazisti il ripristino della tradizione. I fascisti lavorano per costruire la modernizzazione nazionale. I nazisti l’Ordine ancestrale.

“La stessa idea del ciclo – nota sempre De Felice -  così forte nel nazismo, nega quella di progresso. Un ottimismo esiste anche nel nazismo, ma non è vitalista come quello fascista: è piuttosto un ottimismo tragico, che negli ultimi tempi della guerra – con l’avanzare della convinzione che la civiltà europea fosse ormai condannata alla degenerazione – si trasforma nel suo contrario”.

Tenere ben chiare le distinzioni tra fascismo e nazismo non significa certamente dimenticare le responsabilità del fascismo rispetto alla politica razziale, espressione tardiva del Regime dalle forti assonanze germaniche, che lo stesso De Felice però contesta come costitutiva del fascismo.

Al di là di tutte le interpretazioni di scuola e di parte, al fascismo  va infine  riconosciuta una complessità che il nazismo non ebbe. Del resto Mussolini non diede mai alle stampe un  suo Mein Kampf, rivendicando il valore non-ideologico del movimento nato nel 1919:   “ Non crediamo – scriveva nel 1920 -  a una soluzione unica — sia essa di specie economica o politica o morale — a una soluzione lineare dei problemi della vita, perché, — o illustri cantastorie di tutte le sacristie — la vita non è lineare e non la ridurrete mai a un segmento chiuso fra bisogni primordiali”. Una differenza non da poco rispetto allo spirito e alla visione del determinismo nazista.

 

 

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