Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
In una di quelle giornate pre estive che sanno di tramontana, capaci di sconvolgere il senso comune
delle cose, mi appresto a prendere un treno per andare a presenziare, al Teatro dell'Opera di Firenze,
al concerto di un grande artista e amico, Roberto Fabbriciani. In programma c'era il bellissimo
concerto “Pensieri”, rapsodia per flauto e orchestra di Luis De Pablo con la direzione del direttore
spagnolo José Rámon Encinar. La stanchezza di una giornata di insegnamento non aiutava di certo
l'approccio ad una partitura così finemente complessa ma il desiderio di essere presente era
decisamente superiore ad ogni altra esigenza umana. Mi appresto stancamente ad accendere una
sigaretta davanti all'ingresso del nuovo teatro sotto un cielo tetro. Il vento se ne prende metà, senza
aver ricevuto alcuna offerta. Entro in platea. Ed è qui che accade qualcosa di inimmaginabile. Inizia
il flauto, solo, limpido, sicuro. L'orchestra assiste come uno spettatore al di là del mondo. Entrano i
primi suoni, colori che si fondono con la bellezza del flauto, cameristici, quasi timidi e con un
respiro che si allarga e ritorna sottile per poi emergere assecondando i vari timbri dei flauti che
venivano messi in gioco, dall'ottavino al flauto basso. Una gamma di colori mossi dal vento tanto
che sembrava di vivere un sogno, in un'antica foresta della Spagna dove i flauti correvano agilmente
ed era impossibile prenderli. I numerosi percussionisti presenti in organico arricchivano questo
quadro in cui vi erano echi debussiani e stravinskiani magicamente immersi in un contesto attuale e
di grande levatura ben esaltato dalla lettura di Encinar. I vari movimenti si differenziavano
timbricamente e dinamicamente facendo dell'alternanza quel pregio spesso dimenticato dalla
musica d'oggi. Ma il colore dei flauti di Roberto Fabbriciani attribuiva a quest'opera un valore
aggiunto e fondamentale, una forza non controllabile dall'ascoltatore come quella della natura. Un
ritorno al Maggio, dopo ben venti anni, di superlativa fattura, da lasciare senza fiato. Ho compreso
così qualcosa di fondamentale: gli agenti atmosferici non erano fuori dal teatro ma al suo interno,
sul palcoscenico. La tramontana come i colori di un crepuscolo sereno, gli alberi del bosco mossi
dal vento e la calma placida di un pomeriggio soleggiato. E sono rinato. Un'altra volta, forse per la
centesima volta. Perché ciò che sconvolge il senso comune delle cose ti porta a nuova vita. Grazie,
Roberto. Un concerto che non dimenticherò mai.
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