Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Mi è sempre difficile mettere parole e ordine quando penso a certe cose.
Forse è meglio che inizi così. Johann Sebastian Bach, nato ad Eisenach il 31 marzo 1685 e morto a Lipsia il 28 luglio 1750. Anni fa sentii una frase, un giudizio: “Non so se Bach credesse in Dio, ma lui gliene deve esser grato”. Goethe, ben più famoso, di lui disse “Un colloquio di Dio con se stesso, poco prima della creazione”. In poche e sicuramente agiografiche frasi si riassume tutta la sua grandezza, la sua bellezza e la sua sensibilità che credo che, come minimo nel caso della musica sacra, non abbia pari. Compositore principe e rappresentante del Barocco tedesco ed europeo, sono sue le principali innovazioni della musica. Innovazioni o estremizzazioni che hanno portato enormi influssi anche alla musica odierna. Toccate, fughe, contrappunti, sono alcune delle caratteristiche stilistiche che caratterizzano la sua musica.
Uno dei più grandi interpreti di Bach è stato Karl Richter (Plauen, 15 ottobre 1926 – Monaco di Baviera, 15 febbraio 1981), fondatore del Münchener Bach Chor/Orchester struttura di livello mondiale e probabilmente riferimento per la musica di Bach. Annoverato a ragione tra gli interpreti “romantici” si contrappone all’altro filone proprio di coloro che prevedono scarno uso di ridondanze, uso di strumenti originali (che spesso si scordano dopo 10 minuti n.d.r.), una abbondante assenza di legature e basso continuo molto discontinuo.
L’incontro Bach-Richter ha avuto come risultato la fuoriuscita di emozioni musicali nascoste (?) tra le note e i testi. Forse è stato l’uso di doppi cori, doppie orchestre che hanno dato una dimensione davvero corale della sua musica, un abbraccio che tocca tutti i punti sensibili dell’anima e l’uso di legature che forniscono una linea logica e continuativa delle sue note. Richter ha avuto inoltre l’indiscutibile merito di aver eseguito la maggior parte delle composizioni di Bach, portandole ad una vasta platea di ascoltatori. Ancora oggi, ad esempio, l’esecuzione della Passione Secondo Matteo del 1959 o giù di li, è tutt’ora la più venduta.
Le emozioni dicevo. Ho trovato molto romanticismo nelle interpretazioni di Richter, io che credevo che una simile coloritura fosse avulsa e “vietata” o, al limite, sconosciuta nel barocco. Qui un esempio.
Dalla passione secondo Matteo, “Blute nur, du liebes Herz”. https://youtu.be/sBdFjIMzRQQ. E’ un’aria per soprano e orchestra. L’incipit è degli archi, pieni e gravi. Cui rispondono subito i fiati. E il basso continuo qui diventa un solido tappeto avvolgente sopra il quale le melodie hanno pieno spazio per potersi esprimere. Senza alcuna possibilità di rimaner sole, ma anzi, accompagnate mirabilmente. Legature piene e una orchestra che partecipa appieno alla voce, al testo. Poi il soprano. Inizia a prendere corpo il tradimento di Giuda. La voce, l’interpretazione restituisce il momento sommessamente drammatico, ma senza mai dare un senso di disperazione. E l’uso delle note tenute tiene costantemente chi ascolta in quella dimensione triste, di attenzione, pur continuando ad avvolgere, a colpire tutti i sensi. Qui c’è una chiara emozione che non è asettica, ma molto ben (pre)costruita. Ho sempre definito il barocco come una costruzione sintattica, da manuale di emozioni vive si ma asettiche: nell’ascolto ognuno trova la sua. In queste interpretazioni bacchiane da parte di Richter invece si trovano ed escono fuori tratti emotivi colorati con una connotazione ben precisa che poco spazio lasciano all’ascoltatore: delicati esempi romantici escono fuori, e non sono propri dell’epoca. Per ritrovare simili sensazioni bisognerà andare dritti di almeno un secolo e ascoltare altri interpreti. Bach quindi, secondo e grazie a Richter, diventa un antesignano di una modalità espressiva alla sua epoca totalmente sconosciuta.
Il vero capolavoro del duo Bach/Richter avviene però in altra maniera. Solitamente Bach, nelle interpretazioni sacre, è visto, spesso a ragione, come il cantore di cose solenni e che sembrano riportare all’antico testamento, dove Dio è il custode e il sovrano da “riverire” cui render sempre gloria e ringraziamenti. Pena, o forse percorso obbligato, una vita difficile e di stenti. “Actus tragicus” (non ha bisogno di traduzioni), “Weinen klagen sorgen zagen” (Pianto, lamento, preoccupazione, timore), sono alcuni esempi di testi di corali, meravigliosi, che partono comunque da un substrato religioso di un rapporto da timorati, figlio della rivoluzione protestante.
Nelle pieghe però, esiste anche un Bach sottilmente e saldamente allegro. Con una semplicità e una tenerezza davvero commoventi. E’ tempo di pasqua, la ricorrenza più importante per il mondo cristiano. Bach la canta in una maniera davvero esemplare.
La mia riflessione trae spunto da quel capolavoro assoluto che è la Messa in si minore, composizione sacra che non ha rivali, non ha eguali. Punti nodali di questa mia sono il Et Incarnatus este il successivo Crucifixus. Il primo. Si inizia con si minore, tonalità prevalente della composizione. Organo, archi e basso continuo disegnano da subito l’ambiente. Poi il coro in un crescendo canta a canone secondo una struttura ben collaudata. Contralti e poi soprani che intrecciano le note tra di loro. I bassi sotto e poi tenori. Gli archi, l’orchestra proseguono senza ostacoli, è una narrazione itinerante. Poi tutto si fonde insieme, e tutto raddoppia. C’è mesta tristezza. Mai disperazione. I bassi raddoppiano gli archi gravi e i soprani volano su questo tappeto, per poi calmarsi. Si passa alla crocifissione. Struttura molto simile, un attimino più concitata. Mi minore. Le voci. Soprani e poi i contralti e via a scendere. Per poi ricominciare ad intrecciarsi in un abbraccio di note. Oramai il dado è tratto. Gesù viene crocifisso e muore. In un autentico ma mai frenetico saliscendi Bach dipinge un momento estremamente importante per la liturgia ma anche per la sensibilità senza connotazioni di appartenenza. La fine è mesta? Ci si aspetterebbe di si, insomma, si parla di morte. E invece no. Finisce con un accordo di sol maggiore. Sussurrato, tranquillo ma finisce in maggiore. Una tonalità che fa respirare, fa sorridere quasi, fa vedere un orizzonte aperto e lieto. Un contrasto magnifico tra la mestizia e la tranquillissima serenità. Cosa succede? Ovvio, per Bach entra prepotente la fede. Anzi, una espressione musicale della fede e della liturgia. E lo spiega anche a chiare lettere nella Passione secondo Matteo, con una locuzione che fa solo sorridere e fa una gran tenerezza. “Mein Jesu gute Nacht” (Mio Gesù buona notte). Con quattro parole ripetute dal coro in risposta ai solisti, Bach compie il suo ineguagliabile capolavoro, fondendo musica sublime e fede, “predicando con le note”. La morte per il cristiano non è altro che un momento, un attimo, un riposo per riprendere. Ecco, in qualche battuta, in quattro parole, la grandezza e la semplicità di un genio antesignano e maestro autentico della musica. Richter ha ben compreso questi lati, esaltandoli nelle sue interpretazioni con una sensibilità che i più definiscono pomposa, ma per me molto efficace e in quanto tale, rara. Forse perché Richter era figlio di un pastore Luterano, e in quanto tale, privilegiato nel capire la grandezza, anche nelle sfumature, di Bach.
Et incarnatus est/Crucifixus (estratti dalla Messa in Si Minore, BWV 232)
Mein Jesu, gute Nacht (estratto dalla Passione secondo Matteo, BWV 244)
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