Editoriale

Un Personaggio scomodo. Piero Buscaroli

Il testo inedito di Bartolini scritto intorno alla fine degli anni '70 è un ritratto dell'uomo e dell'intellettuale che non ha subito l'usura del tempo

Sigfrido Bartolini

di Sigfrido Bartolini

ubblichiamo uno scritto di Sigfrido Bartolini, che con Piero Buscaroli condivise una lunga amicizia durata tutta la vita. Il testo dedicato all’amico e scritto probabilmente nel 1977 o ’78, rimase inedito e nonostante non sia aggiornato rispetto all’opera posteriore del critico musicale, è un ritratto dell’uomo e dell’intellettuale che non ha subito l’usura del tempo nello stesso modo in cui il soggetto  che vi è rappresentato non ha abiurato alla propria natura con il trascorrere degli anni.

Dire tutta la verità, mettere a nudo verità spiacevoli, chiamare con il giusto nome questo o quel personaggio in vista e addirittura dare apertamente la patente di cialtrone a chi se la sia ampiamente meritata, è il compito più ingrato, spiacevole e pericoloso al quale un uomo, e per giunta indifeso, possa accingersi. Riceverà in cambio la taccia di partigiano arrabbiato e fazioso estremista, sarà guardato con sospetto e schivato volentieri, considerato alla stregua del guastafeste che conviene evitare e isolare con tanto di diffida.

Se è della natura umana il principio difensivo che porta a indolcire la pillola troppo amara, fondere nella nebbia contorni troppo acuti e passar sopra frettolosamente a realtà imbarazzanti, i nostri viscidi giorni hanno fatto di questo principio un fine, al punto di considerare come un nemico il guastafeste che si permette di scandagliare e rivelare verità meno che confortevoli. Tempo di omuncoli, di nature vocate al compromesso, alla rinuncia e magari alla resa e sottomissione spontanea. In questo tempo le voci chiare che non intendono tacere, ma che prorompono sdegnose in parole di condanna, sono sempre più rare, ma proprio per questo di maggiore nobiltà e coraggio,

capaci di confortare le poche orecchie desiderose e in grado di intenderle.

Ma per chi grida, sia pure nel deserto si cerca di soffocarne anche l’eco, per chi turba i sogni, gli affari e il quieto vivere in posizioni di comodo ormai stabilizzate, si organizza la congiura del silenzio e si ostenta una vigile indifferenza che mantenga l’incauto ai margini del giuoco sociale.

Piero Buscaroli è una delle voci che si levano chiare e sferzanti sulle avvilenti omertà del nostro tempo tanto da essere considerato di volta in volta: il superiore impossibile, il collaboratore difficile, l’amico scomodo e il nemico da aggirare senza affrontarlo. Particolarmente temibile, perché alla naturale verve polemica unisce una cultura vasta e raffinata, Buscaroli rappresenta la bestia nera per la parte avversaria e un fastidio per la propria.

Senz’altro scopo che la denuncia pubblica dei misfatti del nuovo regime e degli uomini che lo hanno eretto e imposto, per anni, Buscaroli ha vergato articoli di fuoco gettandosi a testa bassa in polemiche veementi e requisitorie spietate; per anni si è lanciato allo scoperto mettendo in croce i falsi grandi, ma reali potenti in un tempo impotente, flagellandoli con l’arma insidiosa e imperdonabile quale è l’accusa condotta sul filo del sarcasmo che copre di ridicolo il malcapitato. Sì, le polemiche di Buscaroli hanno facile il sarcasmo e l’invettiva, la violenza verbale che staffila senza badare troppo per il sottile e l’esuberanza offensiva; eppure, non una parola è di troppo: le offese più crude che seguono e concludono una requisitoria rabbiosa, ma sempre lucida e obiettiva (seppure portata fino alle estreme conseguenze), che insiste nell’attacco con un crescendo da santa collera, la collera di chi difende dalla mortificazione i più sacri valori di una civiltà.

Dalle colonne del «Borghese» o da quelle del «Roma» (che lo ebbe battagliero direttore), partivano gli strali per raggiungere immancabilmente l’obbiettivo con il sapore di uno schiaffo vergato con mano ferma e maestra. Schiaffi verbali, ma che sicuramente bruciano ancora nel ricordo di chi ne fu inevitabile bersaglio. Uno spadaccino, dunque, che spende le proprie forze a fustigare uomini e costumi decadenti e capovolti e vive una sua rabbiosa esistenza sognando di suscitare l’ira divina per una cosmica punizione? In tempi senza più centro, scopi e logica, un proposito del genere sarebbe ancora rispettabilissimo, ma Buscaroli non è questo, o almeno non è solo questo. Buscaroli è l’osservatore attento, il cronista e critico della politica internazionale, e in questa veste è spesso il confidente di illustri personaggi, fortunati o meno, ma che fanno la storia; è l’avvilita Cassandra di eventi che prevede che si avvereranno con il sapore perfino amorfo dell’ovvietà; ma è anche qualcosa d’altro. Per anni, parallelamente alle violente polemiche, sono uscite le sue critiche musicali. Precise, acute e dottissime senza essere pedanti, entusiastiche e misurate nel contempo, chiarificatrici e quindi capaci di avvicinare alla materia trattata anche i non addetti ai lavori grazie a una proprietà di linguaggio didattico oggi raro. Buscaroli critico musicale lascia che la contemplazione si sostituisca allo sdegno, che il combattente divenga intermediario commosso e la veemenza entusiasmo. Sembra che Buscaroli goda il privilegio di più e diverse nature che sembrano opposte tra loro, ma che sono in realtà gli aspetti di un unico fondamentale spirito creativo. E infatti, occorre seguirlo con costanza per accorgersi come sempre collaborino il critico e il cantore, lo stroncatore e l’apologeta che sa servirsi con uguale perizia della poesia e della polemica raggiungendo spesso un raro equilibrio.

Con la dote, tutta italiana, che porta a cimentarsi in molti campi per eccellere in più di uno e potenziare così le scelte arricchendole con diverse esperienze, Buscaroli impreziosisce lo scrittore con acutezze tecniche e pratiche quali soltanto  una diretta esperienza può agevolmente permettere. Suonare più strumenti, saper disegnare, e anche incidere un fregetto sul tassello di legno, elevano lo scrittore a quella sapienza che dà chiarezza e permette il tono convincente di chi trasmette esperienze proprie.

Pochi anni fa Buscaroli si decise a riunire in volume il meglio dei suoi scritti musicali; concepiti, non come una critica occasionale e contingente, ma come nuova acquisizione di valori, interpretazione, valorizzazione e visione globale di un intero corso storico, non  avevano subito l’usura del tempo, li rivide, altri ne aggiunse o completò e ne uscì per le edizioni di Fogola un volume di successo: La stanza della musica.

Lo scrittore avvincente, partecipe, fiorito di immagini evocative capaci di introdurre anche il lettore meno preparato tra i meandri esaltanti nella grande stagione musicale dell’Occidente, dà prova in questi scritti di una conoscenza e intelligenza della materia non comune e di una impensabile serenità di giudizi. Le scelte personali, l’essere apertamente partigiano e sostenitore del prevalere di un filone musicale su di un altro, non gli impedisce di osservare con occhi sgombri da pregiudizi, di segnalare un emerito in qualsiasi parte si trovi, riconoscere in virtù anche in coloro che giudica negativamente. Basterebbe il capitolo dedicato a Stockhausen per comprendere la chiarezza, l’obiettività e la visione grandiosa e tragica di tutto un tempo delineato nel suo fatale divenire, che guida Buscaroli critico smagato e lucidissimo. In questo caso la condanna si ferma sulla soglia di una constatazione dolorosa: i disastri che ci tocca registrare sono l’espressione del nostro tempo che mortifica, confonde, impoverisce e travolge anche ingegni che in tempi propizi avrebbero forse dato vita al capolavoro.

Le fasi di una stagione musicale, il profilo di uno strumento, il valore di una composizione, il genio di un autore e il fascino di tutto un ambiente e di un’epoca, vengono tratteggiati da Buscaroli con l’andamento avvincente di una racconto fantastico, documentatissimo e rigoroso, che ci porterebbe, come il ragazzo alla fine della favola, ad uscire nell’esclamazione: e poi?    se non fossimo già avvertiti che un poi non può esserci, che un ciclo è concluso, un ciclo irripetibile nel futuro, come non ha precedenti nel passato.

Recentemente è uscito un altro volume di Buscaroli, lo ha edito l’amico Giovanni Volpe e il titolo che porta è già un programma: Figure e figuri. È il meglio dei suoi scritti di politica estera e vi sono delineati con estrema abilità di disegno i maggiori avvenimenti e personaggi che hanno determinato l’aspetto ben poco rassicurante di questi ultimi decenni. La tragedia pressoché consumata con la resa dell’Occidente alle forze della dissoluzione, la stupida prepotenza degli sprovveduti nuovi padroni, le fiacche reazioni e la prova di autolesionismo messianico dimostrate da chi ancora potrebbe opporre una qualsiasi resistenza per chiudere almeno dignitosamente un ciclo, sono da Buscaroli messe impietosamente a fuoco, stigmatizzate e rese con estremo rigore logico e storico. Buscaroli non si cura di ostentare la calma indifferente dello storico che osserva gli avvenimenti dall’alto della professionale torre d’avorio, ma raccoglie prove, testimonianze e sfoghi con la partecipazione del contemporaneo che ha fatto esperienza sulla propria pelle delle offese gratuite, delle umiliazioni senza riscatto, delle condanne senza appello.

Non sono gli effetti di una sconfitta che offendono gli uomini come Buscaroli,  ma il desiderio di sconfitta, quella nota cupidigia di servilismo che sembra avere irrimediabilmente contagiato una intera civiltà.

Di Buscaroli è stato scritto, anche nell’occasione dell’uscita di questo libro, che c’è in lui il gusto di trovar tutto brutto, tutto da rifare; di essere il tipo del bastian contrario e uno dei profeti di sventura (come di una categoria di veggenti ebbe a dire chi, proprio di sventura, fu incosciente procuratore). Può darsi, ma ci piacerebbe sapere come hanno fatto a pensarlo in un momento quando sembra che l’ira divina non lasci passare giorno senza farsi sentire. Sarebbe come chi adducesse a una possibile congiuntivite le lacrime della Pietà che regge sulle ginocchia il figlio straziato.  Può darsi, ma ci sembra abbastanza strano cercare in cause peregrine, e stupirsene, il motivo di una disperazione tanto naturale in chi non abbia deliberatamente rinunciato alla volontà di capire come stanno veramente le cose.

Ci sono poi i soliti dispiaciuti benpensanti per i quali Piero Buscaroli brucia inutilmente ingegno, e possibilità di sfruttarlo, sbagliando chiesa, pulpito e sermone. Secondo questa pavida categoria di persone è inutile insistere sulla strada di un onore ormai perduto, di valori oggi irrisi, di rivendicazioni impossibili. Inutile un olocausto non richiesto e non apprezzato. Si faccia buon viso a cattivo gioco, ma si giuochi secondo le regole ammesse.

Ci sono valori e modi di essere, che pur radicati nel profondo, certi uomini sembra che li portino stampigliati in fronte tanto è loro impossibile nasconderli: una parola, un gesto, uno scatto istintivo di insofferenza, tradisce subito un modo d’essere scavalcando ogni pur accorto proposito. Di questo modo d’essere e di apparire, Buscaroli è il prototipo: gli basta muoversi con naturalezza, rispondere ad un saluto, proferire una battuta, per mostrare la propria carta d’identità, alienarsi una simpatia, bruciare un interesse, inimicarsi l’utile potente. Buscaroli lo sa, ma sa anche che quando non si possa fare altro è un conforto e uno sfogo anche il gusto dell’insofferenza, l’apparire contro, l’irritare, il provocare. Ben magra soddisfazione, si capisce, e pagata caro prezzo, ma che permette almeno di non vergognarsi di sé.

Ma grazie a Dio l’ingegno ha una forza innata e non c’è volontà avversa che possa a lungo occultarlo; se agli uomini come Buscaroli il proprio tempo è nemico, in futuro dovrà forse presentarsi a loro nome per essere accettato, riceverne credibilità e consenso

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