Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Foto Filippo Manzini
“I miei caratteri sono umani, sono verisimili, e forse veri, ma io li traggo dalla turba universale degli uomini, e vuole il caso che alcuno in essi si riconosca. Quando ciò accade, non è mia colpa che il carattere tristo a quel vizioso somigli: ma è colpa del vizioso, che dal carattere che io dipingo, trovasi per sua sventura attaccato”.
Così parlò l’avvocato Carlo Goldoni, proprio nella prefazione alla sua Bottega del caffè; è c’è da chiedersi se qualche signore zelante o qualche buona signora del pubblico non si siano in cuor loro rispecchiati in quel re della chiacchiera maldicente che è il don Marzio di Pino Micol o nei premurosi (e a volte un tantino asfissianti) servigi del caffettiere Ridolfo, campione della socievolezza e del decoro che Goldoni scolpisce come virtù universali del borghese dabbene.
Maurizio Scaparro porta in scena questa settimana al teatro fiorentino della Pergola uno spettacolo sicuramente ormai collaudato, ma recitato con l’entusiasmo di una premiere e che il pubblico ha giustamente premiato con vivaci e convinti applausi. Una rappresentazione che più goldoniana non si potrebbe, con un senso della misura che però non è mai monotonia: anzi, è l’esempio di come la comicità possa scaturire, in fondo, da piccole cose, da vicende di vita quotidiana, ma osservate attraverso l’occhialetto “diabolico” di don Marzio, nel quale Scaparro coglie però anche lo sguardo acuto di Goldoni che “sembra prendere le distanze, prima dei suoi addii, da una visione ‘magica’ della Serenissima per descriver nella sua Bottega del Caffè una Venezia che già allora rischiava di dimenticare la sua grandezza e di cedere alle tentazioni di una progressiva mercificazione della città, delle sue bellezze e dei suoi carnevali.” Una città, prosegue Scaparro, che tra bische, botteghe e bordelli, sembra avviarsi al suo lento, inevitabile declino.
Forse per questo nella lettura di Scaparro nessuno dei personaggi è totalmente “positivo”: neppure il benefico Ridolfo, titolare industrioso e onesto della bottega del Caffè, che sa conciliare il guadagno e l’utile con una buona dose di generosità che però non appare mai del tutto “genuina”e conserva a tratti un che di untuoso e interessato, impersonato con grande maestria da Vittorio Viviani, pacato e bonario ma con punte e guizzi di genuina vivacità. Per quanto riguarda il Don Marzio del grande Pino Micol, si tratta sicuramente di una interpretazione memorabile: senza mai eccedere o scadere nella dimensione caricaturale, Micol dà vita a un personaggio la cui comicità nasce dal contrasto fra la sua apparente aria da burbero gentiluomo napoletano e la straordinaria nonchalance con cui fa da recettore di confidenze e pettegolezzi che poi diffonde con una ineffabile e persino … sincera malignità. La battuta “passano dalla porta di dietro” con cui don Marzio insinua (in perfetta buona fede?) che la ballerina Lisaura, amica del falso conte Flaminio, riceva di nascosto uno stuolo di amanti diventa un vero e proprio leitmotiv che caratterizza il personaggio, capace di “bruciare” con disinvoltura le reputazioni altrui, anche se alla fine il gioco viene scoperto e il “malparliere” ci rimette la propria.
Ma i mariti biscazzieri o truffatori che alla fine grazie al buon Ridolfo sembrano redimersi, sono davvero migliori di lui? La commedia, pure divertentissima, a tratti esilarante grazie all’ottimo gioco scenico di tutti gli attori e senza che mai si vada “sopra le righe”, non scioglie almeno in questa interpretazione il dubbio. In questo sta la sua straordinaria attualità e la forza di una lettura “tradizionale” ma tutt’altro che banale: essa dimostra come non ci sia davvero bisogno di ricorrere a stravaganti forzature per esprimere ciò che di eterno hanno i i capolavori del passato. Commedia “di ambiente e di carattere”, dunque, che pur veneziana sino all’ultima virgola può benissimo essere anche un paradigma della società contemporanea. Pregevolissimo il contesto settecentesco evocato dalle scene e dai costumi di Lorenzo Cutuli, con le luci vagamente plumbee di Maurizio Fabretti e sottolineato dalle musiche del premio Oscar Nicola Piovani.
Insomma, tutt’altro che un “amaro e rio caffè” - come lo definiva il buon medico granducale Francesco Redi - quello “servito” in queste sere alla Pergola. Il consiglio è quello di degustarlo sino in fondo, apprezzandone tutte le sfumature; anche quelle amare, che certo non mancano, ma soprattutto la dolcezza e la vivacità del pur pacato sorriso dello straordinario osservatore della natura umana che fu Carlo Goldoni.
Assolutamente da non perdere.
Prossime recite: da mercoledì a sabato, ore 20,45; domenica ore 15,45.
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