L’opera di Marco Tutino in scena in questi giorni all’Opera di Firenze

Appassionati fantasmi del Novecento nella musica di Tutino

Il romanzo di Sandor Marai è sicuramente un prezioso capolavoro “ritrovato” dopo essere stato snobbato dalla critica, ma certo non era facile ridurlo a dimensione teatrale...

di Domenico Del Nero

Appassionati fantasmi del Novecento nella musica di Tutino

Un lungo addio del secolo breve? Comunque la si voglia giudicare, l’opera di Marco Tutino in scena in questi giorni all’Opera di Firenze ha un fascino struggente che riesce ad avvincere lo spettatore per  più di un’ora e mezzo, senza cadute e senza noia. Poi possiamo discutere quanto si vuole se sia meglio questo o i linguaggi inaccessibili e astrusi di certe “avanguardie” per pochi addetti ai lavori, non di rado “politicamente corretti” e targati. Se Tutino deve essere un rappresentante del … musically scorrect, ebbene benvenuto!

Certo, si può trovare qualcosa da obiettare in una musica che in sostanza affonda le sue radici nel patrimonio  ottocentesco e novecentesco italiano ed europeo, e sembra non volersene distaccare: “ Tutino ha spesso dichiarato che le invenzioni drammaturgiche della musica di Verdi, Puccini e Richard Strauss sono attuali al punto da dispensare lezioni ai posteri. Tutti i lavori del compositore milanese conservano conseguentemente una impostazione drammaturgica abbastanza tradizionale, in cui la scrittura musicale si offre all’interprete con una immediatezza figlia della tradizione melodica italiana” scrive Fiorella Sassanelli in una interessante e puntuale guida all’ascolto dell’opera.  Ma è sicuro che almeno  Le braci  sia poi solo questo? Non solo è possibile cogliere anche echi di Britten e Poulenc  e forse – soprattutto in quelle note di valzer un po’ “straniato” che ricorrono nei flashback del dramma-persino  Nino Rota (altro grande e misconosciuto testimone della stagione creativa novecentesca), ma forse , qui più che mai, la musica si sposa straordinariamente al testo in quello che risuona veramente come il crepuscolo di un mondo.

Il romanzo di Sandor  Marai è sicuramente un prezioso capolavoro “ritrovato” dopo essere stato snobbato dalla critica, ma certo non era facile ridurlo a dimensione teatrale:  sia perché esso è soprattutto un monologo del vecchio generale Henrik, sia per quella dimensione “onirica” e interiore, tipica di tanta narrativa novecentesca, che il compositore – librettista  esplicita con un geniale ricorso alla tecnica del “flashback in scena” , facendo agire i “doppi” giovani dei vecchi protagonisti e il personaggio di Kristine, l’unico che appartenga integralmente al passato. Tutino si è mantenuto nel complesso abbastanza fedele al testo originale,  ma il colpo di scena che porta l’opera a concludersi è una sua invenzione.

E questi accorgimenti, sicuramente arditi, nell’edizione fiorentina hanno funzionato perfettamente. Merito di una intelligente regia di Leo Muscato, che ha anche letto alcuni brani del romanzo di Marai in un prologo-melologo  che ha fatto da originale preludio per  la rappresentazione fiorentina.  Appare in scena, quando si alza il sipario, lo spaccato di una stanza che conserva solo sbiaditi resti dell’eleganza passata, con mura diroccate e crepe nella tappezzeria.  Due cigli erbosi ai lati rappresentano la foresta e il giardino in cui si muovono i protagonisti, soprattutto nei flashback.  Buona la recitazione, accurata nei movimenti e nelle atmosfere sapientemente modulate, in piena sintonia con il golfo mistico, in atmosfere di sogno o di angoscioso incubo.   Plauso pieno, dunque, anche alle scene di Tiziano Santi, agli eleganti costumi di Silvia Aymonino e alle luci di Alessandro Verazzi; la coreografia di Mattia Agatiello con i suoi echi “viennesi” era decisamente gradevole e intonata.

Francesco Cilluffo, alla guida dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, è stato abilissimo nel dar vita a una partitura interessante e ricca di colori e chiaroscuri; se poi la tecnica compositiva non è sufficientemente “aggiornata”, lasciamo il giudizio – e i peli nell’uovo – ai tecnici del mestiere.

Per quanto riguarda il cast vocale,, la prova è stata nel complesso positiva.  Tutino punta a superare la tecnica a “pezzi chiusi”; prevale infatti la forma del recitativo cantabile, anche se emerge qualche arioso e qualche momento d’insieme.  La prima rappresentazione ha visto il tenore Davide Giusti ( il giovane Konrad)  impedito a cantare da una forte tracheite, e forse per questo anche alla seconda rappresentazione non è apparso molto in forma. Il migliore è stato senza dubbio il basso Roberto Scandiuzzi, che ha impersonarlo un Henrik anziano  con grande efficacia, sia nella voce che nella recitazione.

Un’opera senz’altro da vedere, un plauso al teatro per averla programmata. Peccato  per le file vuote di un pubblico che non si  è certo “sprecato” ad applaudire, anche se l’opera, a parte il solito grullo del loggione, è stata accolta con rispetto e interesse e il consenso non è comunque mancato a un’opera che ha già meritatamente riscosso  grandi consensi ed attenzione … tranne ovviamente, i soliti noti.

 

Ultime repliche: 11 novembre, ore 20 ;  15 novembre, ore 15,30

 

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