Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Poche e scarse le notizie che riguardano questa donna che per molti anni visse nell’ombra del compagno: il filosofo Jean Jacques Rousseau. La conosciamo soprattutto attraverso le parole di lui ne Le Confessioni.
Ricostruire un carattere e una personalità a distanza di secoli è sempre molto difficile; lo è, a maggior ragione, in questo caso in cui il nostro personaggio è praticamente muto. Thérèse Le Vasseur: un mistero, anche se non mancano i dati biografici. Era nata nel 1721 a Orleans da una famiglia, se non facoltosa, almeno agiata; il padre era, infatti, un impiegato della zecca di quella città, ma quando questa venne chiusa le difficoltà economiche si fecero pressanti. La madre viene definita commerciante, ma pare che i suoi affari fossero così dissestati da decidere di abbandonarli e trasferirsi a Parigi con il marito e la figlia.
Una ostessa, originaria proprio di Orleans, la impiegò allora come cucitrice e sembra che il suo fosse quasi l’unico reddito che entrava in famiglia; proprio in questa veste la conobbe il filosofo, quando si trasferì nella pensione dove lei lavorava, nel quartiere latino.
Quando si incontrano Thérèse ha ventiquattro anni mentre Jean Jacques nove di più, è infatti il 1745. Il ruolo che le viene affidato ne Le confessioni assomiglia molto a quello, lacrimoso, della una piccola perseguitata in un drammone popolare; quando timida, ma con lo sguardo vivo, compare a tavola alcuni si prendono gioco di lei e l’unico che la difende è proprio il filosofo, da qui la prima scintilla di simpatia che ben presto, anche se non senza qualche iniziale equivoco, si trasforma in amore.
Forse Thérèse per il carattere timoroso assomigliava al padre che in altro luogo così viene dipinto: Il padre di Thérèse era un vecchio brav’uomo, mitissimo, che aveva una paura tremenda di sua moglie, e che perciò le aveva appioppato il soprannome di “Luogotenente militare”. Il quadretto è da commedia: la figlia ritrosa, il padre succube, la madre arpia. E l’antipatia di Rousseau per la quasi suocera viene ribadita ad ogni piè sospinto:…non mancava di intelligenza, ossia di astuzia, si piccava persino di educazione e di arie da gran dama; ma aveva un’enigmatica piaggeria che la rendeva insopportabile, suggeriva pessimi consigli alla figlia, tentava di renderla ipocrita…Questa donna che colmavo di attenzioni, di premure e piccoli doni per farmi amare, era, per l’impossibilità di riuscirvi, l’unico motivo di pena che avessi nel mio piccolo nido.
E non finisce qui perché anche in altri passi la ragazza viene descritta come succube non solo della madre, ma anche dei restanti membri di una famiglia terribile. La madre non appena si accorge che Jean Jacques ha qualche disponibilità economica, se pure non certamente la ricchezza, non si perita a far venire a Parigi tutta la famiglia compresi numerosi fratelli e sorelle con figli, nipoti ecc.; una vera orda, che lo scrittore non esita a definire come composta da affamati, un nugolo di cavallette che si impadroniscono di tutto quello che viene donato alla povera Thérèse, sempre muta e passiva.
È l’unica che non ha ricevuto una dote, nutre padre e madre e, sporadicamente, anche gli altri membri della famiglia, e per soprammercato viene picchiata a lungo da fratelli, sorelle e anche nipoti e non se ne difende. Sembra la storia di Cenerentola con l’aggravante che non di matrigna e sorellastre si tratta, ma dei suoi veri fratelli e della sua vera madre; solo una nipote le dimostra affetto, da qui il soprannome di zietta, con il quale affettuosamente la chiamerà anche l’amante.
Il quadro, tuttavia, è nell’insieme troppo banale nella sua durezza per non generare qualche dubbio sulla sua completa veridicità, troppo simile ad una fiaba da bambini per non destare qualche dubbio. Certo, però, che la famiglia di provenienza non doveva essere un esempio di affetto e amabilità. Tuttavia Thérèse offre allo scrittore momenti di serena gioia, le passeggiate fuori città in cui si fermano a mangiare in qualche bettola oppure l’idilliaco quadretto in cui vengono descritte le loro semplici cenette sul davanzale della finestra: il davanzale ci faceva da tavola, respiravamo l’aria, potevamo vedere i dintorni, i passanti e, pur al quarto piano, tuffarci nella strada mangiando…quei pasti composti, per tutta pietanza, di un quarto di grosso pane, qualche ciliegia, un bocconcino di formaggio, e un quartino di vino…Amicizia, confidenza, intimità, dolcezza d’animo, come deliziosi i vostri condimenti!
Questa è la ragazza sensibile, semplice e priva di civetteria che fa innamorare il filosofo, il quale però si premura fin dall’inizio di chiarire la sua posizione: mai l’avrebbe abbandonata, ma nemmeno mai l’avrebbe sposata. Così infatti accadde, perché se ci fu un matrimonio nel 1768 questo non ebbe valore legale in quanto Rousseau non declinò le sue vere generalità. All’inizio tuttavia qualche incomprensione, lei fa la ritrosa temendo di non essere all’altezza di tanto uomo e lui, per tale riservatezza, invece sospetta una malattia venerea; poi le cose si chiariscono, anche se la fanciulla confessa di aver perduto la sua illibatezza, ma è stato un unico fallo frutto della sua ingenuità quasi infantile.
Come per molti amori duraturi la storia comincia come un passatempo e poi diviene il legame di una vita, certo non l’unico almeno per lo scrittore, ma sicuramente quello più costante, anche se come vedremo forse il più enigmatico. Thérèse tuttavia mostra, anche agli occhi dell’innamorato, notevoli limiti: non imparò mai a leggere bene, sebbene scrivesse in maniera accettabile, mai per esempio riuscì a leggere l’orologio né a ricordare l’ordine dei dodici mesi dell’anno né seppe fare di conto in alcun modo, spesso le veniva alla bocca la parola opposta a quella che voleva dire, non riusciva nemmeno a contare il danaro; da questa descrizione quasi una ritardata mentale e lo scrittore non esita a prendersi gioco di lei con i suoi colti amici; sembra quasi un’ironia della sorte che il primo grande pedagogista moderno non sia nemmeno riuscito ad insegnarle a fare gli esercizi scolastici più elementari, perché, poi, invece questa ragazza così fragile, indifesa e sciocca è la spalla sulla quale il colto scrittore, pedagogista, filosofo, musicista si appoggia nei momenti di difficoltà. In qualunque paese si trovino è lei che gli dà i consigli più giusti, che usa un sano buon senso per salvarlo da molte calamità, catastrofi come vengono definite. Buon senso, sincerità, dignità e umiltà sono le sue doti e non sono certo spregevoli, sono quelle che fanno di Thérèse la compagna ideale per questo grande pensatore che, come spesso accade, non aveva molta banale capacità di affrontare la vita terra terra.
Dicevamo, tuttavia, che la Levasseur costituisce comunque un profondo enigma e ci riferiamo naturalmente all’inquietante episodio dei loro cinque figli. È a tutti noto che ne Le Confessioni Rousseau ammette di aver avuto da lei ben cinque figli ad intervalli piuttosto ravvicinati intorno agli anni della metà del secolo e di averli tutti portati agli Enfants-Trouves.
Per molto tempo i critici hanno prestato ben poca fede a quanto lo stesso filosofo afferma, ma adesso i più sono convinti che tutta questa storia risponda a verità: affidando i miei figli alla pubblica educazione, non potendoli allevare io stesso, destinandoli a diventare operai e contadini piuttosto che avventurieri e cacciatori di doti, credetti di compiere un atto di cittadino e di padre; e mi considerai come un membro della repubblica di Platone…Quella soluzione mi parve così buona, sensata, legittima, che se non me ne vantai apertamente, fu soltanto per riguardo alla madre.
Come si vede il pronome è sempre io, mai Jean Jacques dice noi, potremmo dunque dedurre che, essendo questa una decisione del padre solo, la madre non fosse d’accordo. E una madre, non consenziente, si lascia portare via così ben cinque figli senza un motto, senza una ribellione, senza un sentimento di vendetta? Posto poi che si riesca a toglierglieli così, senza fatica, cosa che forse era non troppo difficile in un’epoca in cui una donna, per di più non sposata, aveva ben pochi diritti. Ecco questo è il motivo per cui Thérèse è e resterà un mistero, perché si comporta come nessuna madre mai avrebbe potuto; resta assolutamente oscuro come possa aver accettato, lei che, sebbene illetterata, si diceva avesse doti di buon senso, ragioni tanto deboli ed un egoismo così profondo. Il suo atteggiamento, dipinto sempre come passivo e remissivo, e tuttavia dotato di sensibilità e generosità verso i membri della sua sgangherata famiglia, non appare coerente con questi ripetuti silenziosi abbandoni.
La vita, poi, per lei continuò, e a lungo, dopo la morte di Rousseau nel 1778, ancora fino al 1801; divenuta erede universale di tutti suoi beni, compresi gli scritti, attraversò gli anni turbolenti della rivoluzione insieme ad un secondo marito, infatti nel 1779 sposò Jean-Henri Bally valletto di René de Girardin, un allievo dello stesso Rousseau, vivendo a Le Plessis-Belleville fino alla morte. Di lei rimane un ritratto a settanta anni: il volto rugoso, la cuffietta, la croce sul petto ne fanno l’immagine perfetta di una attempata borghese di provincia, niente che faccia pensare alla donna che aveva condiviso per molti anni le sorti di uno dei filosofi più importanti e più influenti del secolo XVIII.
È facile intuire quello che possa averla affascinata in Jean Jacques colto, brillante, anche eccentrico, così diverso da lei e dai suoi familiari, più difficile è capire che cosa abbia legato il filosofo. Rousseau era attratto da donne istruite, complicate e, in alcune di esse, anche da un fare materno quasi a compensare l’assenza della sua vera madre, morta nel darlo al mondo, a meno che non sia stata proprio la differenza con le dame che era solito frequentare. Thérèse con la sua semplicità e, anche mancanza di classe, forse fu come una boccata di aria fresca in confronto a molte e raffinate essenze profumate.
Inserito da Shercezep il 07/09/2021 03:01:05
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