Genocidio degli armeni

Popoli, tradizioni, culture e lingua si raccolgono intorno ad un grande libro

Intervista ad Antonia Arslan che nel suo «Libro di Mush» continua a raccontare la storia dimenticata di un eccidio

di Andrea Di Consoli

Popoli, tradizioni, culture e lingua si raccolgono intorno ad un grande libro

Antonia Arslan

Stasera a “Libri come”, alle ore 19.30, nell’Auditorium di Roma, la scrittrice Antonia Arslan dialogherà con lo scrittore rumeno Varujan Vosganin, autore del romanzo sull’eccidio degli armeni Il libro dei sussurri (Keller editore). Per l’occasione, abbiamo rivolto alcune domande ad Antonia Arslan intorno al suo ultimo romanzo, intitolato Il Libro di Mush (Skira, 129 pagine, 25 euro), che racconta la storia avventurosa del salvataggio di un antico e prezioso manoscritto armeno.

Professoressa Arslan, lo ha mai visto di persona il Manoscritto di Mush?

Sì, l’ho visto anni fa a Yerevan, la capitale dell’Armenia. E’ esposto lì.

E che emozione provò, nel vederlo?

All’epoca avevo solo una vaga idea della storia di questo manoscritto, né sapevo ancora che ne avrei raccontato la storia. 

Proviamo a spiegare che cos’è il Manoscritto di Mush.

E’ un manoscritto miniato del 1202, alto circa un metro e largo mezzo, e che pesa circa ventotto chili. E’ stato realizzato per un pio mercante armeno, il quale aveva messo insieme delle omelie e delle prediche.

Il suo romanzo è riuscito in un obiettivo, che mi è chiaro solo adesso che ne parliamo: lei ha raccolto il popolo armeno intorno a un Grande Libro. Tutti i popoli perseguitati, se ci pensa, si raccolgono intorno a un Grande Libro.

E’ vero. Questa del salvataggio del Manoscritto di Mush è una storia così straordinaria che davvero possiede un valore aggiunto, perché è come un oggetto sacro intorno al quale raccogliere la memoria mutilata degli armeni. E questo avviene nonostante la stragrande maggioranza della cultura armena sia stata distrutta.

Un genocidio non distrugge soltanto persone, ma anche lingue, storie, architetture, libri.

Lo dico e lo ripeto sempre: non dimenticate che un genocidio è orrendo non solo per il sangue versato, ma anche perché si cancellano le memorie, le chiese, i palazzi, i libri di un intero popolo.

Si sta finalmente persuadendo la storiografia mondiale intorno all’inconfutabilità del genocidio armeno?

Ormai, dopo il lungo silenzio sulla tragedia armena, che è durato fino al 1980, è un continuo fiorire di pubblicazioni e di studi. Il 98% degli storici sono ormai concordi sul genocidio, a esclusione di pochissimi che sono in controtendenza, e che negano il genocidio. E a farlo, sia chiaro, sono soprattutto esponenti della storiografia turca.  

Com’ stato possibile che un popolo mite, contadino, senza mire espansionistiche, sostanzialmente povero, venisse così brutalmente massacrato dai turchi?

Gli armeni erano una minoranza indoeuropea e cristiana all’interno dell’Impero ottomano e, in sostanza, non erano considerati dello stesso sangue dei turchi.

Inoltre, quel che non fa la mistica del sangue lo fa la geografia.     

Gli armeni erano stanziati intorno al monte Ararat, dove sorgono i tre grandi laghi di montagna. Questo antico insediamento armeno sull’altopiano si trovava schiacciato da un lato dai turchi e dall’altro dai popoli turcomanni, ed era conteso perché era molto fertile. Per molti secoli i sultani lasciarono autonomia alle minoranze assire, greche, armene, poi, con l’avvento dei Giovani Turchi nel 1908, s’impose una terribile politica pre-hitleriana.

Una cosa che però mi ha sempre colpito dei suoi romanzi, anche del Libro di Mush, è la struggente delicatezza con la quale racconta il genocidio degli armeni. Non ha mai insistito, insomma, con la retorica dell’apocalisse e del sangue.

Lei intuisce della mia scrittura qualcosa che mi sta molto a cuore, perché tante volte mi hanno domandato: “Ma perché scrivi senza raccontare il sangue e le torture che abbiamo subito?” Io non l’ho fatto semplicemente perché quelle cose non le ho vissute, e non spetta a me fare un racconto di questo tipo, ma ai testimoni diretti. Io sono testimone di terza generazione, e posso solo raccontare con pietà quel che conosco indirettamente. Pietà che riservo anche agli assassini, perché nessuno deve mai dimenticare che dentro di noi, purtroppo, c’è il massimo del bene ma anche il massimo del male.  

Non ho ben capito una cosa. Che tipo di cristiani sono, gli armeni?

Gli armeni sono cristiani apostolici. Con i cattolici condividono la dottrina. Solo il culto è diverso.

Mi incuriosisce molto, poi, Yerevan, la vostra capitale. Una grande città dinamica, moderna, che si conosce poco. Ci torna spesso?

Sì, ci torno spesso, e devo dire che Yerevan è una città curiosa, perché nonostante l’antichità del popolo armaneo, essa è invece moderna. E’ una città con belle architetture, il centro è pieno di vita e di gioventù. Adesso hanno fatto pure un sacco di alberghi, perché l’Armenia sta lentamente scoprendo il turismo, non avendo quasi materie prime.

Recentemente, visitando lo Yad Vashem a Gerusalemme, ho appreso che gli ebrei stanno dando un nome e un cognome a tutte le vittime della Shoah. C’è un lavoro simile in Armenia?

In Armenia c’è un grande monumento che si trova nella Vallata delle Rondini, vicino a Yerevan. E’ un monumento molto suggestivo, fatto di sette lastre di granito (che simboleggiano le sette le regioni dell’Armenia storica) e con una fiamma eterna al centro. Lì c’è un centro che raccoglie dati, liste e notizie di ogni genere. Un lavoro minuzioso, poi, lo sta facendo Raymond Kevorkian, che da anni confronta e studia liste su liste e documenti di ogni tipo. C’è solo un ostacolo, per questo lavoro: il fatto che la Turchia non consegna documenti anagrafici di nessun tipo.  


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