Guantanamo da non dimenticare

Mullah Omar l'uomo che morì due volte: analisi di un perché

di Marika Guerrini

Mullah Omar l'uomo che morì due volte: analisi di un perché

Incredibile come l'informazione neghi l'ufficialità delle dichiarazioni e propagandi, malgrado avvenute smentite, notizie invero false, e incredibile è come l'informazione italiana, per le notizie dal mondo, si affidi quasi esclusivamente ai comunicati delle agenzie di stampa senza vagliare la notizia, o facendolo su testate estere, cartacee oppure online, senza tener conto degli interessi che muovono tali informazioni nei paesi di cui dette testate sono portavoce, questo mal governo giornalistico non risparmia neppure le nostre testate importanti che purtroppo cadono nello stesso circuito. 
E' quel che è accaduto alla controversa notizia circa la morte di Muhammad Umar Mujahid, della tribù Hotak, nato nel 1960 nel villaggio di Chah-i-Himmat, distretto di Khakrez, provincia di Kandahar, Afghanistan. Colui che divenuto Mullah, nel 1996 ottenne il titolo di amir-al-mu'minin, vale a dire comandante dei fedeli, colui il cui segno distintivo era un occhio mancante perso combattendo per la libertà del suo paese durante l'occupazione sovietica, come in seguito avversasse Ahmad Shah Massoud, capo dell'Alleanza del Nord e reale artefice della liberazione, questo l'abbiamo trattato in nostri libri ed è storia.  Lo stesso Mullah ricercato dal 2001 sulla cui testa pendeva una taglia di 10milioni in dollari statunitensi, lo stesso Mullah che, nella primavera dello stesso 2001, si rifiutò di ordinare la distruzione dei Buddha di Bamiyan, cosa che pochi sanno e tanto meno dicono, fatti poi esplodere da un commando di taliban non ben identificato né allora né poi. Lo stesso Mullah attore della rocambolesca fuga in motocicletta, quanto mai permessa da chi  lo inseguiva e se lo inseguiva, per deserti e montagne afghane nel 2002, fuga che gli permise di sfuggire all'assedio di Baghram da parte delle truppe americane. Fuga cjhe fece allora comodo allo straniero che avrebbe poi usato il protagonista, di quanto e se questi fosse consapevole non ci è dato sapere. Sempre lo stesso Mullah  che abbiamo creduto di conoscere per poi ignorarne la morte avvenuta nella primavera del 2013, in Pakistan, notizia divulgata allora e dopo, come ora, ma lasciata poi al dimenticatoio. Chissà, forse, per una spiegazione in merito potremmo interrogare il destino di  Muhammad Umar il Mujiahid, poi Mullah, destino che a quanto pare, al tempo, non aveva preso accordi con chi di dovere, per cui, come il suocero Osama-ben-Laden, deceduto nel 2002 e fatto nuovamente decedere nel 2011, anche ad Omar è toccato morire due volte. 
Fin qui nulla di eccezionale in questi nostri tempi, quel che continua ad indisporre, invece, è la credulità, ma potremmo dire superficialità di cui sopra, quella degli addetti ai lavori, no, non i politici che altro non fanno che il loro mestiere, ma di coloro che si ritengono e dovrebbero essere dispensatori nonché divulgatori di notizie il più possibile veritiere, se non altro per etica professionale, e non di pacchiane menzogne. Per soddisfare il senso etico basterebbe porsi nel dubbio, indi astenersi dal divulgare, tacere, intanto ricercare ricercare ricercare nei meandri della notizia, in quel che non si dice ad alta voce, poi esprimersi, oppure attendere che lo scorrere delle ore, a volte giorni, segnali la chiave di volta da cui la comprensione della verità, data la grande responsabilità verso l'opinione pubblica ed i pensieri che in essa, con le proprie parole, si vanno a formare. Ma riprendiamo il filo. 
Il portale internet dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan, e non solo, tre giorni fa, 30 luglio, ha riportato in pashtu, lingua madre dell'etnia Pashtun o Pathan Patha, come dir si voglia, etnia da cui proviene la maggior parte dei Taliban, per lo meno quelli iniziali, ma qui il capitolo è lungo, alcune affermazioni in riferimento al Mullah Omar, fornite dai familiari, il fratello Abdul Manan, Mullah anch'egli e il figlio Mohammad Yakub, che hanno detto: ... qualche tempo fa è stato colto da malattia che lo ha condotto alla morte. 
Questa vaga ammissione non datata è tipico atteggiamento di quelle genti, innanzi tutto perché si collocano in un'idea di tempo completamente diversa dalla nostra in cui nascita e morte non vengono segnate, poi perché, come in questo caso, la vaga ammissione diviene un modo di dire la verità senza dire la verità, senza delinearla, è un mentire senza mentire, per cui bisogna saper leggere tra le righe per comprendere. E' questione di modalità ed uso del pensiero con cui ed entro cui quei popoli si muovono, che in realtà segna la differenza  con il pensiero occidentale e allo stesso tempo la possibilità di reciproca compensazione... ma è un campo che ora ci porterebbe lontano e questa pagina non è luogo adatto.
Tornando al Mullah Omar e a tutto l'emisfero che ha girato e gira intorno al suo recente decesso, potremmo andare avanti a smentire l'affermazione confermata dall'intelligence americana e cavalcata dai media in barba anche alla smentita ufficiale dei governi afghano e pakistano e ai rispettivi servizi, ma ci annoia, quindi vagliamo un'ipotesi del perché questo bailamme. 
Innanzi tutto bisogna prendere atto di quanto in questi giorni, tra l'altro non ultimi, si stia agendo per promuovere la presenza Isis in Afghanistan, presenza da noi fortemente ridimensionata con tanto di prove in altre pagine, ma che si vuole far credere forte,  per cui la morte del capo carismatico, e il Mullah Omar lo era,  gioca alla destabilizzazione  delle fila degli studenti coranici e ancor più di chi volesse entrare nelle fila, non dimentichiamo che ora come ora molti taliban altro non sono che mujaheddin afghani, nel bene e nel male patrioti combattenti per la libertà dallo straniero. Se poi a questo aggiungiamo la figura di Akhtar Mansour, vice di Omar e a sua volta Mullah, eletto suo successore, quindi avanzato di grado, a Quetta (Pakistan)  il giorno dopo la notizia del presunto decesso del capo, vediamo che malgrado la dichiarazione: dovremmo tutti lavorare per preservare l'unità, e ancora: le divisioni tra le nostre file faranno contenti solo i nostri nemici e possono causarci ulteriori problemi, la sua figura risulta e resta assolutamente debole, non incisiva e tanto meno carismatica, una sorta di burattino, in mani di chi bisogna vedere, sta di fatto che l'assenza di carisma sia cosa di enorme importanza in quel contesto.
A questo processo destabilizzante a cui senz'altro nel prossimo futuro si aggiungeranno voci su voci, parole su parole, vere e false, aggiungiamo una voce già stata, fatta circolare e rientrata, di un'altra morte, quella di Jalaluddin Haqqani, capo della Rete Haqqani finanziata dalla Cia (metà anni '70) poi alleata con al-Qaeda e Taliban, il cui figlio, Sirajuddin Haqqani, è stato designato come uno dei due vice di Mansour lo stesso giorno della successione, ovvero sempre il 30 di luglio, questo movimento destabilizzante, ha fatto sì che i colloqui di pace fissati per questi stessi giorni da tenersi in Pakistan presentii oltre ai taliban esponenti del Governo afghano e Cina, sono stati rimandati a data da destinarsi. Questa una parte del quadro, a cui va aggiunta l'altra fetta della torta vale a dire l'Isis.
L'Isis con la sua funzione espansionistica, malgrado gli arruolamenti europei, ed anche perché il mondo qualcosa inizia a capire,  sta vivendo un momento di instabilità, per cui si vorrebbe convogliare verso il suo capo Abu Bakr al-Baghdadi, ex Guantanamo da non dimenticare, da tempo in competizione con il Mullah Omar, il ruolo di amir-al-mu'minin,   capo dei fedeli. Allo stesso tempo per motivare ulteriormente il tutto, ci si adopra a che l'Isis continui a mostrare la propria ferocia, in parte reale in parte cinematografica, così alle immagini delle decapitazioni l'AMI, American Media Institute, addiziona e rende noto un documento di 32 pagine stilato in lingua Urdu, idioma ufficiale del Pakistan, che tra le altre cose dice: L'Isis ha intenzione di costruire un nuovo esercito terrorista in Afghanistan e Pakistan innescando una guerra in India per provocare la fine del mondo, ed ecco che siamo in territorio, ma andiamo avanti: l'obiettivo strategico è sbagliato. Invece di sprecare energie in un confronto diretto con gli Stati Uniti, dovremmo concentrarci su una rivolta armata nel mondo arabo per l'istituzione del califfato, ed ecco l'esclusione degli Usa dall'obiettivo, ma procediamo ancora: tutto il mondo musulmano dovrà riunirsi sotto il leader dello Stato Islamico, unico capo riconosciuto e sovrano dell'imperoi musulmani devono accettare il fatto che questo califfato vivrà per prendere il sopravvento sul mondo intero e non avrà pace fino a quando non avrà decapitato ogni infedele che si ribellerà ad Allah. Questo è il nostro credo. 
Il documento, è stato tradotto da esperti di Harvard, recensito da USA Today, da tutte le agenzie di intelligence degli Stati Uniti d'America e da tutti costoro ritenuto autentico, non solo, ma con certezza, infatti questi esperti di Islam nonché linguisti, affermano che lo stile di scrittura, il linguaggio utilizzato e i riferimenti religiosi sono tipici elementi dei terroristi. 
Ora, è vero sì che da una traduzione non si scorga quasi mai la costruzione ma la semantica dovrebbe fuoriuscire, se non altro per una rispondenza di significati, e per quel che conosciamo, e conosciamo, della  struttura sintattica nonché semantica di quella lingua, pur non avendo letto di persona il documento,  abbiamo i nostri grandi dubbi sulla sua autenticità, o comunque sull'autenticità dei suoi compositori. In sintesi abbiamo modo di ritenerlo un falso o comunque un documento voluto e steso ad uso e consumo. Da chi come e quando anche questo non ci è dato sapere.
La quasi certezza di falso risulta anche dagli argomenti trattati nel documento stesso, come se gli autori fossero estranei all'intera storia della regione, ad esempio lì dove lascia intendere che l'India sarebbe il luogo sacro, mai conquistato dall'Islam, per i jihadisti dell'Asia Meridionale, dimenticando che la storia, senza neppure andare tanto indietro ( metà XVI - primi XVIII sec.) cosa che invece fanno i jihadisti, ci mostra il ruolo di grandezza musulmana nel grande impero Moghul, indiano per adozione nonché musulmano nonché sincretico  nonché illuminato e illuminante finché l'Inghilterra con i tipici suoi inganni storici non ne corrose le radici, ma quest'elemento ad un jihadista, per quanto estremista, per quanto avverso ad ogni trasformazione, per quanto ignorante non sarebbe potuto sfuggire.  E' sfuggito però agli studiosi di Harvard o a chi per, è sfuggito alla traduzione o forse alla composizione della traduzione, chissà. 
Certo è che se tutta questa follia, dalla seconda morte di Omar all'occupazione dell'Afghanistan da parte dell''Isis, alla distruzione della potenza nucleare India, alla decapitazione d'ogni infedele in nome di Allah, e ancora e ancora, se tutto questo non comportasse comunque morte e devastazione, sarebbe esilarante in ogni suo punto. Potremmo partire da qualunque parola anche ad esempio, dall'uso del termine impero, termine che un esponente di un qualsiasi Califfato non userebbe mai o comunque non in questi termini. Sono questi errori grossolani che pur non potendo sfuggire allo studioso giocano sull'impreparazione culturale delle masse, in tal modo tutto si può raccontare e tutto può mostrarsi verità sì che azioni altrimenti inaccettabili si rendano necessarie o comunque si giustifichino, con l'uso della menzogna. Ma tutto questo, l'abbiamo detto tante volte, è solo un dei tanti confusi tasselli del grande puzzle che si vuole comporre, a noi l'onore e l'onere di portare l'attenzione alle voci sussurrate o anche taciute e distoglierle da quelle urlate, come non fossero o quasi o comunque da vagliare.

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.