Calunnie e doppiopetto blu

Noia, disperazione... morte

Peter non si era mai sentito così impotente: dentro di sé tutto si faceva piatto e... (Cap.26)

di  

Noia, disperazione... morte

La fisicità maniacale dello sguardo di Peter si espandeva nell’ assoluto vuoto di questa vita forzatamente solitaria e, nel suo recinto domestico, sfamava la disperazione con la precisa convinzione della totale impotenza.

Ormai, i Rougoaks, la polizia e il tribunale di Hobocken  l’avevano esiliato in una vita dai giorni tutti eguali e statuari, dove ogni cosa appariva  insopportabilmente fissa.

La vita e lo scorrere del tempo sembravano costantemente inghiottiti da una stasi simile alla morte, che però non aveva il sollievo della fine, ma continuava ad essere dolorosamente insopportabile. Peter, nel suo sentirsi abbandonato dalla fortuna (quella che aveva imparato ad apprezzare leggendo il filosofo Seneca), emarginato in una strada senza sfondo, continuava a guardare gli altri che proseguivano il loro cammino e ogni volta gli parevano sempre più lontani e irraggiungibili.

Improvvida, per il suo stato d’animo, era arrivata una scrosciante pioggia e la strada, che vedeva dalla finestra, in un attimo era diventata zuppa d’acqua, gli alberi avevano smesso di cantare e le auto transitavano come automi a passo d’uomo.

Mrs. Kalcinsky, la vicina di casa, era corsa a recuperare le camicie del marito stese al filo di plastica, ma già quell’affannosa corsa aveva mostrato l’inutilità dell’azione perché esse penzolavano ormai pregne di acqua. Adesso anche il raccogliere i panni appesi era divenuto un avvenimento da non perdere. Il tempo era diventato inaffidabile come l’umore di Cummings, che come quelle camicie attendeva di potersi asciugare dopo il lavaggio nel mare del dolore in cui navigava da giorni immemori.

Uno spicchio di sole si era affacciato timidamente ad annunciare che qualcosa stava mutando e una rinascita spirituale sembrava possibile anche per lui.

Spiovve e le persone erano tornate fuori, libere! La strada si presentava con molte chiazze di pozzanghere e in esse si specchiava solo la gente vestita di speranza e libertà!

Erano trascorsi 50 giorni, 50 giorni agli arresti in casa. Qualche briciola di serenità, quasi fosse un miracolo, e tutte le altre ore percosse da un vento furioso che tagliava le nubi dei pensieri in due parti egualmente angosciose.

Un continuo, incessante conflitto interno, contraddistinto da nembi chiari e scuri in un cielo, quello dell’anima, di sconfinato dolore.

Peter non si era mai sentito così impotente: dentro di sé tutto si faceva piatto e arido e nessuna parvenza di speranza si mostrava ai suoi occhi. Sensazioni che lo spezzavano a metà e lo facevano sopravvivere in una specie di landa sospesa ai confini dell’umana immaginazione. Quell’ immensa disperazione gli sembrava, in certi momenti, si avvicinasse alla mancanza d’aria che avrebbe provato anche da uomo libero; quei giorni di prigionia li avrebbe sentiti dentro per sempre.

E quindi sognava: l’unica cosa che non gli era proibita. Vagheggiare era la sua necessità più importante perché la vita, in quei momenti, pulsava al di là delle mura di casa e oltre la porta lo poteva accompagnare solo, esclusivamente il sogno.

Esso, allora, diveniva l’unico mezzo per aggrapparsi alla realtà, per non dimenticarsi di essere vivo, il luogo dove poter rinvenire i valori che gli erano stati brutalmente estirpati, riscoprendone di nuovi –come quello della solitudine- e ricordando i percorsi sbagliati del passato. Cercava un possibile futuro, nel quale sarebbe stato più pragmatico, meno generoso e idealista, e per un attimo si accendeva la speranza; per spegnersi immediatamente dopo.

Lui sapeva che per quanto lo desiderasse, non avrebbe mai potuto cambiare, sapeva che sarebbe rimasto il solito generoso, sciocco, sì anche sciocco, idealista irredimibile, e così riflettendo tornò ad avere paura, come hanno paura le persone oneste cadute nella trappola dell’ingiustizia, era vero terrore.

Peter era seduto sulla poltrona davanti al letto e, come in un film, proiettava le immagini della sua più grande nostalgia sullo schermo di un cielo gravido di libertà e serenità, inventandosi di volta in volta protagonista, regista, sceneggiatore e perfino spettatore incantato. Ed il finale era sempre lo stesso: lui che camminava, con il sole in fronte, in mezzo alla gente.

I sogni di Peter avevano, però, una grande nemica, costante ed estenuante nella sua ossessiva presenza: la noia. Per lui questa sensazione era insopportabile come una camicia troppo stretta al collo.

Erano attimi senza speme, un male di vivere che infettava di angoscia l’intera giornata. Quando questa subdola signora prendeva il sopravvento non c’era niente da fare, tutto diveniva ininfluente, statico, non vi era traccia minima di vita, l’inerzia imbrattava tutto con la totale assenza di un frammento di turbamento; un sasso caduto in uno stagno, gli anelli che si formano, poi tutto torna immobile, fisso.

Le ore di Cummings si consumavano spegnendosi una dietro l’altra e lui assisteva pavido alla loro definitiva morte, con la tristezza di chi sa che niente sarebbe potuto intervenire per bloccare questa emorragia fatale del tempo. La ciclicità si perdeva in questa continua consunzione e ogni ora gli portava via momenti di vita: una carezza del figlio, un sorriso di sua moglie, e Peter sembrava scendesse da una scala immaginaria, gradino dopo gradino, senza possibilità di risalita. Forse sarebbe arrivato il giorno in cui tutto avrebbe avuto fine, ma lui non avrebbe assaporato la gioia più grande, perché tale avvenimento lo avrebbe precipitato di schianto sulla debolezza della sua anima, come roccia sopra un cespuglio di rovi secchi.

Pensava che ogni cosa sarebbe stata negata a colui che sognò in abbondanza, a chi in troppe occasioni valicò col pensiero le vette scoscese della realtà.

I giorni percorrevano il loro immutabile cammino, le ore parevano  ristagnare cupamente come acqua putrida. Ore senza vita che il tempo aveva già cancellato nel suo vortice mutabile. Tutto passava senza nulla accadere. “Eppure qualcosa dovrà succedere” si ripeteva instancabilmente. Le lancette del grande orologio a muro si spostavano rapidamente e quei momenti erano del tutto azzerati dalla malefica noia mortale.

Di positivo c’era che, nonostante tutto, il tempo passava e sotto un cielo sempre scolorito e alla solita, monotona architettura della casa, a tenergli compagnia, senza mai abbandonarlo, come ossessiva presenza, vi era la sua sconfinata disperazione. Allora Peter cominciava a camminare, su e giù, da una stanza all’altra, in cerca di un rifugio per la sua mente e ogni passo significava un tentativo di far cambiare direzione ai suoi pensieri; centomila passi, un milione di passi senza un accenno di speranza. Scendeva e risaliva le scale che lo conducevano nel salone e alla cucina, alla cantina e alla piccola sala giochi, e la mente senza esito alcuno tentava disperatamente di soffermarsi a ricordi dolci e sereni tentando di ravvisare immagini sfocate ma tenere, di rivedere volti di belle fanciulle o di amici dimenticati da tempo. Cercava di riassaporare il tepore della sua aria e, guardando i muri della casa, di ritrovare in essi i giorni felici trascorsi a guardare partite di basket alla tv o semplicemente a leggere libri riguardanti il medioevo.

Ma non c’era niente da fare, la disperazione, padrona delle sue angosce, lo strappava con prepotenza da quei pensieri inchiodandolo alla sua dolente realtà. Noia e disperazione dentro le viscere, la vista appannata da visioni desertiche che incombevano sulle sue residue aspettative di ritrovare una parvenza di quiete. Con ciò pensava che disperazione e sofferenza potessero purificarlo almeno nello spirito come palingenesi profonda della vita dell’uomo. Sì, un lampo di serenità alle volte illuminava la sua anima, ma già Peter rifletteva sul dolore di dopo. E camminava, fuggendo da quelle stanze quasi a voler lasciar lì la sofferenza che lo pedinava, e spingeva ossessivamente la sua anima oltre la soglia della porta, un accesso -per lui- irto di filo spinato, inaccessibile, ma dietro il quale c’era la vita.

Dopodiché, stanco, si addormentava. E sognava.


                                  


Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

    20 commenti per questo articolo

  • Inserito da sofia il 09/03/2012 18:11:11

    Se perso in un tramonto vuoi sparire con il sole giù nel mare dove muore lui se la forchetta torna su ma senza cibo perché sa che la tua bocca non ci sta e se la bocca non vuol più trovare verità e bugie se gli occhi sono un velo blu ma senza stelle né poesia...

  • Inserito da claudio il 08/03/2012 16:45:01

    Da mozzare il fiato. Bellissimo!!!

  • Inserito da mariateresa il 08/03/2012 10:15:47

    Il dolore è molte cose nella vita delle persone. Spesso è la porta che ci apre nuove esperienze di noi stessi. Il dolore come fiamma che scoglie e rifonda l’identità spirituale.

  • Inserito da valeriapoggiali il 07/03/2012 21:11:42

    La disperazione porta molto spesso a isolarsi e tende a renderci apatici contro la vita. Ottimo racconto

  • Inserito da mantide il 07/03/2012 18:06:16

    LA DISPERAZIONE È UNA MALATTIA NELLO SPIRITO, NELL'IO, E COSÌ PUÒ ESSERE TRIPLICE: LA DISPERAZIONE DI NON ESSERE CONSAPEVOLE DI AVERE UN IO (DISPERAZIONE IMPROPRIA); LA DISPERAZIONE DI NON VOLER ESSERE SE STESSO; LA DISPERAZIONE DI VOLER ESSERE SE STESSO.

  • Inserito da anna il 07/03/2012 14:50:04

    "Chi è felice parli, chi è triste urli, chi è disperato taccia".

  • Inserito da rossellaaugento il 07/03/2012 12:29:52

    Liricità e sofferenza quasi leopardiane, con tocchi di prosa kafkiana, il tutto insaporito da una flebile possibilità di risalita- CAPOLAVORO!!! Rossella

  • Inserito da walter60 il 07/03/2012 12:25:38

    Un racconto noir, dalle tinte fosche, che indaga l'animo umano. Un viaggio nel buio, nella disperazione più cupa e nella insoddisfazione di vivere.

  • Inserito da ETTORE il 07/03/2012 11:46:34

    A volte, la vita comporta il dover affrontare delle situazioni che generano in noi profonde crisi, e se noi rimaniamo totalmente aperti e sensibili in queste situazioni, l'atteggiamento di apertura, di disponibilità alla comprensione che assumiamo, trasforma il dolore in un nuovo stato di maggiore coscienza e forza interiore.

  • Inserito da sofia il 07/03/2012 10:52:19

    La disperazione è molto ma molto più piacevole della noia. La natura ha provveduto, ha medicato tutti i nostri mali possibili, anche i più crudeli ed estremi... Un bacio

  • Inserito da loremarano il 07/03/2012 09:15:11

    Per quei momenti in cui si è colti da un'angoscia insopportabile ; si ha l'impressione di non farcela più perché anima e corpo sembrano essersi spinti sino ai limiti estremi della loro possibilità di resistenza. Bravissimo MAssimo, sei di una bravura imbarazzante. Ti apprezzo tantissimo

  • Inserito da luposolitario49 il 06/03/2012 21:36:21

    Entra nel cuore e nella mente. Bravo davvero

  • Inserito da Raggiodiluna il 06/03/2012 21:30:49

    Complesso e angoscioso.

  • Inserito da Elisa Mysunsea il 06/03/2012 18:28:07

    Fenomenale. bellissimo.VORREI CONOSCERLA

  • Inserito da jessicapesce il 06/03/2012 17:14:45

    Bellissimo

  • Inserito da savino il 06/03/2012 14:05:52

    Non ho parole, da QUANTO mi ha impressionato quest'opera

  • Inserito da PIERO44 il 06/03/2012 13:43:31

    Siamo a livelli sempre piu' alti. Complimenti a tutta la redazione

  • Inserito da marla11 il 06/03/2012 13:39:35

    Fa venire i brividi. Quanta nostalgia e sofferenza. Quando la punt. prossima?

  • Inserito da sandrocchia il 06/03/2012 13:04:38

    Bellissimo, Massimo. Ora te lo copie e incollo se me lo permetti

  • Inserito da ines santarelli il 06/03/2012 12:23:07

    Simbolismo e astrattismo in una forma angosciante di autodistruzione. Bellissimo brano,.

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.