ottima la regia di Gabriele Lavia

Fiesole: una Medea antica e moderna

di Domenico Del Nero

Fiesole: una Medea antica e moderna

A vederlo oggi, il dramma di Medea fa sicuramente meno effetto che ai tempi della Grecia classica in cui fu concepito.   La tragedia della principessa della Colchide, che in preda alfuror amoroso arriva a sopprimere i suoi stessi figli sembrava infatti agli Elleni un qualcosa di insuperabile quanto ad orrore; ai nostri giorni – le cronache purtroppo ce lo insegnano –  le  Medee sono molto più frequenti di un tempo e mosse spesso da motivazioni più banali, per non parlare di quella vera e propria fabbrica di infanticidio che è l’aborto usato praticamente come metodo anticoncezionale.

Malgrado questo però, il brivido di  sgomento, paura, angoscia profonda che dovettero provare gli spettatori del 431 a.c. che per la prima volta assistettero al dramma di Euripide, il tragico implacabile nel sondare i recessi più oscuri dell’animo umano al punto di essere accusato dal suo contemporaneo Aristofane di ridurre  in stracci gli eroi,  il regista  Gabriele Lavia è riuscito a renderlo perfettamente  venerdì e sabato con una rappresentazione di impatto straordinario al Teatro Romano di Fiesole. Complice certo anche l’atmosfera  di quel palcoscenico secolare, che spingeva più che mai ad identificarsi  con lo spettatore antico e caratterizzato da una acustica davvero eccezionale che spinge a stupirsi e a rimpiangere la perfezione di una scienza che non aveva bisogno di computer o di strumenti particolarmente sofisticati.

Lavia ha sicuramente ricordato il concetto Aristotelico di catarsi che secondo il filosofo si collegava alla tragedia; una vera e propria purificazione dell’anima dagli istinti irrazionali e dalla passioni  (anche se il discorso, soprattutto riferito al teatro, non è del tutto chiaro) che il filosofo associava alle rappresentazioni drammatiche: “La tragedia è dunque imitazione di una azione nobile e compiuta, (…) la quale per mezzo della pietà e del terrore finisce con l’effettuare la purificazione di cosiffatte passioni. 

Questa celebre definizione del grande filosofo potrebbe sicuramente ricordare le linee guida della regia di Lavia. Purificazione, anzitutto: la protagonista che spesso si sciacqua la bocca con l’acqua per le cose che è costretta a dire e la doccia finale dopo l’infanticidio rimandano in modo quasi ossessivo all’idea della purificazione. Il clima era allucinato, statico, sin dall’inizio, dal primo discorso della nutrice: un’atmosfera che oltre che aEuripide rimanda anche al teatro di Seneca, alla sua ulteriore esasperazione delle passioni; trasponendo il testo di Euripide in latino Seneca rappresentò direttamente l’infanticidio che Euripide aveva invece pietosamente velato, e anche Lavia ha preferito una rappresentazione diretta, anche se “discreta” e rifuggendo da effetti plateali.

Tutta la scenografia, curata da Alessandro Camera, è scabra ed essenziale, moderna ma “atemporale”, a significare per l’appunto che la vicenda di Medea è un dramma legato alla condizione umana e non a un preciso momento storico, anche se certo un po’ si rimpiange l’ambientazione “originale”, soprattutto dato il contesto del Teatro Romano; stessa cosa per i costumi di Alessio Zero. Il commento musicale  di Andrea Nicolini  e Giordano Corapinon può certo – e chi potrebbe farlo? – restituirci le musiche originali dello stesso Euripide, perdute per sempre come quasi tutta la musica greca, ma è riuscito comunque adessere  efficace e a volte “ossessivo”, contribuendo a sottolineare il destino spietato di cui Medea diventa vittima e artefice contemporaneamente.


Molto bella a questo proposito l’interpretazione di Federica di Martino. Sin dalle prime battute l’interprete si cala nel personaggio allucinato  e dolente creato dal poeta: le sue prime battute nella tragedia sono infatti quelle di un delirio ed  anche nel resto del dramma è come se essa agisse in tranche, ossessionata dalle sue visioni di vendetta di donna tradita e lasciata in una solitudine disperata. Passionale, irruente, ma  puresuadente e in apparenza “rassegnata” quando finge di essere  “ragionevole” la di Martino dà vita a un grande personaggio e dimostra la sua indubbia dimestichezza con il repertorio tragico antico.


Anche Daniele Pecci centra perfettamente il ruolo di quello che è sicuramente uno dei personaggi più “sgradevoli” (e dire che la concorrenza non manca) nel mito antico: il suo Giasone è ora opportunista, ipocrita e sbruffone ora annichilito dall’enormità del male che lo schiaccia.  Buona  la resa anche dei ruoli minori, dalla nutrice saggia e dolente diAngiola Baggi alle donne del coro di Corinto.

Vivissimo l’apprezzamento del pubblico che ha riempito le gradinate del teatro ben prima dell’inizio dello spettacolo.

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.

TotaliDizionario

cerca la parola...