...i fantastici samosvieri di Rodchenko

Due torri per Kasimir Malevič

di Piccolo da Chioggia

Due torri per Kasimir Malevič

La carta è un magnifico materiale. Discende in linea diretta dal legno del quale, una volta che lo si sia disintegrato in pasta, essa è l’aldilà, il Nirvana. E quando è ben ornata, nei fogli dalle linee tracciate dai maestri, o dalle belle lettere nelle pagine dei volumi, volge lo sguardo oltre il tempo con l’indubbia coerenza del suo essere.  Se la carta può essere veicolo di poesia, di quella scritta, come è nell’Infinito di Leopardi, di quella figurata come è nel disegno e fino all’estremo limite della poesia, la composizione finale e senza un oltre di grazia figurativa e senno della parola, come dovrebbe avvenire nelle tavole parolibere futuriste, non è arrogante arrivati a questo punto, avocare per il modesto e candido “medium” la possibilità di dar corpo pure a quella che, senza pretesa di inventare mirabili formule, si può nominare poesia estesa, un qualcosa che in forma di semplice costruzione in carta vuole trasmettere delle suggestioni poetiche. Le figure di animali di Frőbel, i velieri da assemblare dalle pagine delle riviste marinare, i fantastici samosvieri di Rodchenko sono, appunto, tutte rappresentazioni di tali suggestioni, che si compongono di un’idea generatrice e del rudimentale modellare con le dita flettendo o incurvando le superfici dei fogli. Le quali attuano con una dose d’ingenuità puerile ma forse con maggior efficacia l’intento di certo generoso ma non facile a riuscire delle tavole parolibere.


Per un tale operare che appare prossimo all’architettura sia pure di scala minima, si può dire seguendo la dottrina di Arthur Schopenhauer che esso rappresenti, proprio come la grande architettura, lo stadio più modesto dell’oggettivazione del “volere“, del “Wille” cosmico. Nei veri edifici è il mutuo opporsi di Peso e Sostegno ad animare il giuoco architettonico; il primo teso a tutto schiacciare sotto di sé e rappresentato da architravi e tetti, il secondo che all’inverso, aiutato dalla Coesione degli elementi, vuol sollevare ogni peso in alto con la sua forza sostanziata in colonne e piloni e muri,. Nella costruzione in carta il giuoco dell’arte attua un singolare rovesciarsi delle parti esprimendosi in un giuoco delle qualità complementari alle due prime nominate: esse sono Levità ed Flessibilità della carta, unite dalla Coesione propria alla colla. 

Nella aste con i lari ascendenti di cui si è detto in un capitolo che precede, si palesa con perfetta chiarità questo tradursi del giuoco dei principi in quello dei complementari; le aste erette in virtù della flessione lungo la linea di mezzo e della coesione con la base cui sono incollate sostengono senza fatica la levità del modello alato, cui la Flessibilità e allo stesso tempo la fibra robusta della buona carta permettono di assumere la postura ad M ben aperta delle ali che si vedono immobili nelle planate. La Flessibilità della carta con l’iterarsi del giuoco attraverso la flessione effettuata lungo la linea di mezzo dell’asticella conferisce a quest’ultima la pur minima Rigidità atta a sostenerla eretta. Rigidità generata dall’avo, il buon tronco di legno E se si vuole precisare, la Levità non è in fondo solo l’essere di un Peso minimo e la Flessibilità il cedere, dove si manifesta necessario, della Rigidità onde non spezzarsi ma riconfermarsi in forma più cauta e sostenere?


A tal punto possiamo plausibilmente concludere che, mentre per la vera architettura è adeguato che le dimensioni siano molto estese e imponenti le masse, perché a chi contempli l’opera sia palesata l’oggettivazione del “Wille” attraverso la lotta fra il Peso che tutto vuol premere sotto di sé per frantumarlo al suolo ed il Sostegno, la cui rigidità permette alle masse di restare sospese in alto , nell’architettura minima, fatta delle costruzioni di carta, l’oggettivazione del “Wille” in un’idea, ovvero nella suggestione poetica, è data in altra guisa. Abbandonate le dimensioni estese e le masse, avviene come se l’idea resa oggetto da una fragile e sottile sostanza stesse per ritrarsi dalla recita in questo mondo visibile per tornare a dimora in quello invisibile, lasciando una lieve costruzione quale promemoria dell’avvenuto transito. Al pari dello schizzo ideativo per il quadro di un pittore. E come per quest’ultimo in certi casi più che lo schizzo sia effettivamente divenuto un opera vera, è importante che esso resti a prova dell’intuizione originaria, così per una bella architettura di carta che l’idea da essa rappresentata abbia o meno trovato la via di oggettivarsi in grande scala non toglie molto alla sua capacità di suggestione poetica.


Nei due disegni di questo capitolo sono due torri che il lettore può benissimo inventarsi di trasformare in costruzione di carta. La tecnica non è punto distante da quella che si intuisce senza difficoltà per i sette pali di varie quote con i lari svettanti dell’immagine che accompagnava il capitolo “Asticelle di carta con lari ed aquile. Antichità che si son fatte passatempo” . Non sono mai state tradotte in vero ma solo disegnate in questi due scarabocchi e davvero gradita sarebbe l’avventura di un lettore addentro alle arti manuali che costruiti i torracchioni, inviasse alla rivista delle immagini dei modelli delle architetture avverate. Siano stati elevati in cartoncino o in legno di balsa, in compensato navale o in robusta carta flessa e stratificata, la cosa non è decisiva e quale unica linea di condotta della piccola opera di costruzione deve agire l’intuizione che si ha dell’effetto risultante. Se questo è bello non è necessario oltre dire.


L’idea delle due torri era alquanto naif e ciò lo ammetto senza fatica. Ad un museo tedesco che alberga una collezione di quadri e sculture ultramoderne, e tra questi in un rango d’onore l’ingiallita pagina di taccuino con un prezioso appunto di Malevič, volevo proporre un’architettura in legno e a pianta quadrata da elevare nel parco alberato antistante l’ingresso all’edificio. Al fine di celebrare “in esteso” il Suprematismo del maestro russo.

Una costruzione rustica, dato il materiale, ma armoniosa che porti sui suoi lati diseguali, sospesi in guisa di pannelli ornamentali ed aggrappati alla struttura, delle copie dei quadri a colori radianti dei quadri suprematisti più belli. Su entrambe, al sommo, uno dei tratti distintivi delle architetture di carta dei passati capitoli: l’asta dal vertice alato. Qui non più dei lari che evocano le distese marine ma l’aquila stilizzata che sembra volteggiare attorno una forma che rammenta un globo o attorno un solido costituito di soli raggi irradiantisi da un centro. In quest’ultimo caso è palese il riallacciarsi alle favole elleniche; è l’aquila, la creatura di Zeus che riesce a sollevarsi fino al sole e lo può mirare senza rimanerne accecata.


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