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Tripartizione giunta dai primordi rigvedici

IOS. Id est Imperium, Ordo, Salus.

Annodiamo allora a questo filo con capo all’Olimpo, allo Himinbjorg, o al monte Meru vedico anche la sigla alquanto enigmatica che apparve su di un’opera scritta del Dürer

di Piccolo da Chioggia

IOS.  Id est Imperium, Ordo, Salus.

Prospettiva zenitale del modello digitale del Tempio del Bayon, rappresentazione simbolica del monte Meru

Spesso si incontrano triadi o tripartizioni, e queste sono, a volte, pure condensate in formule esemplari. E nutrono un filo conduttore indeuropeo che davvero pare non esaurirsi mai. Staat, Bewegung, Volk per Carl Schmitt, Ordre, fantaisie, changement per Georges Dumézil, ut doceat, ut movet, ut delectet, ut non doceat non posse, per Rodolfo Agricola. E allora perché non interpretare come una tripartizione giunta dai primordi rigvedici la suddivisione classica in metafisica, etica, estetica? In tal frangente non avviene che si sconfini troppo nell’irragionevole se si ricorda che la metafisica dal suo olimpico sovramondo esercita una magica sovranità su tutte le cose, l’etica è il duce del retto agire, e l’estetica educandoci alla bellezza, all’armonia delle parvenze, porta seco non solo gioia di vivere ma in conseguenza di queste pure la salute. Rinnovando la graziosa dualità e varietà della terza funzione nel pantheon indoeuropeo.  

Annodiamo allora a questo filo con capo all’Olimpo, allo Himinbjorg, o al monte Meru vedico anche la sigla alquanto enigmatica che apparve su di un’opera scritta del Dürer, composta dalle tre lettere I O S. Sia chiaro che qui effettuo un atto del tutto arbitrario e lontano dall’aver un qualche barlume di realtà documentaria. Cedo infatti del tutto alla suggestione estetica che il Francese ha propiziato col disvelare l’architettura della tripartizione nel mondo delle divinità indeuropee. Il geniale professore del College de France deve essersi accorto, ad un certo punto, di aver scoperto una specie di dinamite e, da quello studioso irto di freddo rigore ch’egli era, si cautelava avvisando più volte discepoli e lettori con il guizzo delle ricerche erudite di non andar a rovistare archeologie e volumi polverosi nell’illusione di ritrovare ovunque le tracce della mirabile architettura condensata nelle formule Rig-vediche. Le quali si appellano a Varuna e Mithra, i due reggitori universali, a Indra, nume delle folgori e della guerra, ai gemelli Asvini che colla sorella Ushas, l’Aurora, corrono pel cielo col loro carro a tre ruote, caso mai non si volesse indovinare il parallelo, e dispensano prosperità e salute da medici quali sono e con esse bellezza. La formula della dinamite era però stata disvelata e come un vaso di Pandora non poteva ormai non agire e recare guai al quieto mondo degli storici della religione indeuropea, e ai dotti linguisti.

Addirittura scorrendo le pagine del suggestivo volumetto del professor Jean Haudry, allievo di rango del Dumézil, “Gli indoeuropei” l’estensione delle interpretazioni tripartite arriva agli stendardi delle nazioni che si stendono sul nostro continente o ai colori del cielo; blu oscuro che volge al nero del cielo notturno, rosso o cremisi dei due crepuscoli, bianco brillante del dì . Varrebbe qui di saperne di più: tanto sulla volta cangiante che ci sovrasta quanto ad esempio del bel tricolore di Francia, che ha accompagnato Napoleone nelle sue campagne; a quale grado della tripartizione corrisponde il bianco della bandiera? A quali il blu e il rosso? A qual grado la notte e a quali il dì e i due crepuscoli?

Dunque è il caso a questo punto di cavalcare la tigre, e non essendoci nelle righe presenti il guinzaglio d’una dissertazione per l’università che esige rigore assoluto, è più bello lasciarsi fasciare da un laccio varuniano e accettare di legarsi alla bellezza della costruzione scoperta dal professore del College de France. Il quale forse fu mosso fin dalla sua età puerile dalle suggestioni che nascono in chiunque alla vista delle ordinate, sublimi architetture delle cattedrali gotiche d’Oltralpe.

Le tre lettere disegnate dal grande di Norimberga I, O, S rappresentano in sigla le linee che stanno a fondamento del disegno: nella I è figurata la linea retta, la prima, il primordiale dei segni tracciati ab antiquo sulle cortecce, sulle pietre e le pergamene. Il più elementare, quello virile, e al medesimo tempo l’indefinibile, l’inafferrabile. L’universale colonna che sorregge il mondo. Quella linea che poi divenne l’arma della sfida pittorica e dottrinale tra Apelle e Protogene e si nobilitò in “linea summae tenuitatis”: un labile e stabile termine di confine tra il visibile e l’invisibile. La O figura il circolo, che nel disegno elementare rappresenta la prima variazione attuata con una norma, ovvero seguendo un ordine. Punto sul foglio la penna, e questa possiamo immaginare quale una vetusta e bella piuma d’oca del passato; con un solo tratto, come volendo ideare un occhio o un sole, scorro in un verso con l’azione più immediata e intuitiva ed ho il primo segno circolare. La S è infine il segno che nasce dai precedenti con un tocco di invenzione, e quindi di fantasia. Se pensiamo di tracciare una S partendo dal capo superiore, segniamo la nostra traccia con penna o lapis secondo un primo cerchio percorso in verso antiorario per poi seguitare per un tratto obliquo in linea retta fino a che invertiamo il verso di rotazione coll’idea di tracciare un circolo di raggio maggiore: ecco che la S serpentina, allusiva e femminile si può dire è segnata. 

Nella I, universalis columna, ho la più rude figurazione della funzione regale, nella O, il segno tutelato dalla norma, ho la figurazione della funzione che fa capo a Indra, esso rappresenta la variazione prima, quella attuata con un ordine, il primo cambiamento in effetto dell’atto composto di volontà e vigore. Il circolo dà la prima figurazione d‘un campo trincerato eretto a difesa, e in questo vi si vede palese la seconda funzione della triade. Quanto alla traccia data con norma si rammenti che nel cerchio, la O, abbiamo la linea più corta che racchiuda una superficie massima. Nella S si disvela la duplice voluta che porta con sé l’armonia delle variazioni associate e in segno vi appare il primo rudimento della composizione estetica e di qui è figurata la terza funzione. 

   Sono mille e mille le possibilità di celare nell’enigmatica sigla un acrostico. Ed ogni lingua che usi l’alfabeto romano ha i propri. Imperium, Ordo, Salus è l’acrostico latino che qui scelgo. Imperium, quale nome della sovranità, del reggere dando un’impronta, indicando una direzione. Verso l’alto, rammentando quel cielo stellato che era pure riuscito a commuovere il pensatore di Konisberga.

Ordo, l’ordine, la norma, la forma data e divenuta interiore, o se vogliamo, l’atto che ovunque dà la forma, il tramite pel quale si tiene la direzione e che dunque agisce, mentre la sovranità, che è semplice e compiuta in se stessa, non necessita di agire o non è questa la sua funzione precipua.

Salus: agendo, movendo verso una direzione nobile, e secondati da un ordine vi è salute, non può albergare il caos. E dove è salute è pure bellezza. 

Allegate alla nuda figurazione pittorica delle tre lettere le tre funzioni del pantheon indoeuropeo, ora i termini dell’acrostico adombrati da questi tre segni sono associati senza soverchia fatica ai loro possibili numi. Tralasciando qui di immergerci nel labirinto del dualismo complementare antagonista Varuna Mithra sappiamo che essi sono i re, e rappresentano nel pantheon vedico la sovranità universale, dunque l’Imperium. Indra, nume della guerra è in realtà il nume preminente dell’azione divina, ovvero dell’atto che dà forma, che ordina. Ordo dell’agire suddetto può esserne il motto. I gemelli Asvini, danno la “salute”, sono i medici del pantheon, accompagnati dalla sorella Ushas, rosea, tremante e bellissima come l’Aurora che costituisce l’elemento femminile, serpentino nel fascino che esercita di entusiasmo, voluttà e bellezza, classico del terzo stadio dell’architettura tripartita indeuropea. Salus pare adeguato come rude riassunto.



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