Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Zubin Mehta
Vergogna! L’urlo sale dal pubblico dirigendosi, come spesso in queste casi, alla persona sbagliata: un portavoce della direzione del teatro che, alla seconda rappresentazione del Fidelio, porta le scuse della stessa per la versione dell’opera in forma di concerto: grazie, come di consueto allo sciopero indetto dalla CGIL che, sola tra le sigle sindacali, si è assunta la responsabilità – e la vergogna, appunto – di sconciare la prima di una delle poche eccellenze internazionali che rimangono a Firenze.
Un climax discendente, quello del Fidelio: la prima era stata rappresentata in forma semiscenica, la seconda invece in forma di concerto. Il sovrintendente Francesco Bianchi in persona, in occasione della prima, era venuto sul palcoscenico definendo la CGIL irresponsabile “perché ha preteso e pretende tutto ciò che noi non possiamo dare: la Fondazione si muove all'interno del dettame di legge e altro non può fare".
Ma se la CGIL non si è smentita neppure in questa occasione, altrettanto hanno fatto il maestro Mehta, i cantanti, l’orchestra e il coro del Maggio: tutti compatti nel nome di Beethoven. E così, anche senza il pur interessante apparato scenografico e i costumi di Pier’ Alli (ma almeno alla prima qualcosa si è visto) lo spettacolo decolla, avvince e conquista il pubblico. “La musica, sopra ogni cosa”, come avrebbe detto Verlaine.
Grande prima di tutto Zubin Mehta, apparso in piena splendida forma dopo alcuni segnali di stanchezza in alcune recenti esecuzioni. La sua direzione ha perfettamente esaltato e sottolineato la grazia e la levitas mozartiana delle prime due scene, poi il pathos, le impennate romantiche, i momenti struggenti e drammatici come lo splendido “coro dei prigionieri: una interpretazione che supera la divisione in grandi pezzi chiusi del singspiel del maestro di Bonn dando loro una straordinaria unità e coerenza drammatica; e che raggiunge il culmina nell’esecuzione trascinante della ouverture Leonore tre, eseguita come intermezzo a metà del secondo atto. Perfetta la sintonia tra palcoscenico e golfo mistico, con una orchestra che sotto la bacchetta di Mehta anima prodigiosamente tutti i colori della partitura.
Buono anche il livello della compagnia di canto, in un’opera che tra l’altro è celebre per presentare una tessitura vocale ardua e ingrata. Ausrine Stundyte è stata un aLeonore/Fidelio calda ed appassionata, con un buon fraseggio e una discreta potenza vocale; il marito – prigioniero Florestan (la cui parte inizia solo nel secondo atto!) è stato un più che discreto Burkhard Fritz, con una voce robusta all’altezza della non facile situazione, anche se con qualche problema sulle note alte. Anna Virovlansky è stata unaMarzelline aggraziata e deliziosamente mozartiana, ben supportata dal Jaquino di Karl Michael Ebner. Buoni anche il Rocco del basso Manfred Hemm e il Pizzarro di EvgenyNikitin, dotato di un buon timbro baritonale e di una discreta gravitas, sin troppo nobile per la parte di aguzzino che ricopre. Eccellente anche la prova del coro, soprattutto nel bellissimo e drammatico “coro dei prigionieri” O welche lust.
Uno spettacolo, o se si vuole una esecuzione, di altissimo livello. Si spera che le due ultime repliche possano essere complete ed eseguite in forma scenica, ma quello che è certo è cheanche semplicemente in forma di concerto è uno spettacolo decisamente memorabile, da non perdere assolutamente: la prova che Firenze può sempre e comunque essere fiera del suo teatro, della sua orchestra e del suo coro, in grado di dare il meglio anche – e forse soprattutto – in circostanze difficili.
Ultime repliche: domenica 3 maggio (ore 15,30); martedì 5 maggio (ore20,30).
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