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f + v = s + 2

Un teorema di geometria del MitraVaruna di Ajaccio e digressione intorno ad una celebre formula

di Piccolo da Chioggia

Un teorema di geometria del MitraVaruna di Ajaccio e digressione intorno ad una celebre formula

Sui lati di un qualsiasi triangolo si costruiscano i relativi triangoli equilateri. Di questi si individuino i centri, ovvero i punti d’incrocio delle bisettrici agli angoli, e li si uniscano. La figura risultante è un triangolo equilatero il cui centro cade sopra il baricentro, ovvero il punto d’incontro delle tre mediane, del triangolo dal quale si è partiti.

Tale è un teorema della geometria piana dovuto al genio di Napoleone. Esso offre anche dei casi singolari cui si arriva servendosi di riga e compasso se si ha la costanza di effettuare una teoria variata delle costruzioni suddette. Nelle quali alle misure dei lati del triangolo iniziale si siano date alcune terne come: 3,4,5 e 5, 7, 9 o ancora 11, 7, 5 e altre. Si osserva allora che il triangolo equilatero finale, quale risulta dalla costruzione, ha il lato eguale al lato mediano fra i tre del triangolo iniziale. Questo fatto non è più verificato se si applica la costruzione ad un triangolo iniziale che sia isoscele. E se quest’ultimo diviene equilatero a sua volta è immediato  l’accorgersi di aver generato con la costruzione proposta un triangolo finale eguale a quello di avvio.  

Se la proprietà verificata nei casi sperimentati sia un corollario del teorema napoleonico non mi è dato di affermare. È solo un geometra uso a ragionare con il dovuto rigore a poterne dare una risposta certa. E, in fondo, non è solo l’aspetto teorico ad incuriosire nel teorema e nell’ulteriore proprietà dedotta, quanto il fatto che il condottiero di Austerlitz e Wagram, del quale già si sapeva essere un vigoroso scrittore, si era pure cimentato con la matematica e ciò fino al punto da imprimere il suo nome anche in un remoto angolo di essa.

La figura complessa che risulta dal teorema dà luogo, se si vuole divagare con l’inventiva, ad una costruzione solida del tutto inutile perché priva delle peculiarità dei cinque poliedri regolari, ma a suo modo gradevole per le sue forme e inoltre suscettibile di essere modellata senza troppa difficoltà in carta in una versione semplificata. Questa versione ho immaginato di poterla ergere a modello per un monumento rudimentale, da campo e ornato da uno di quei pali con in cima una siluetta d’aquila, in onore del MitraVaruna che fu lo sconquassatore di regni e repubbliche. 

Avendo nominato i cinque poliedri regolari, di necessità fa capolino l’elegante formula, dovuta ad Eulero, la quale lega fra loro in estrema semplicità e in numero facce, spigoli e vertici della figura solida. Questa formula si conferma anche per tutti gli altri poliedri, siano essi irregolari, concavi, o stellati e si presenta come di seguito

NUMERO DELLE FACCE + NUMERO DEI VERTICI = NUMERO DEGLI SPIGOLI + 2

Essa viene condensata nell’usuale scrittura che s’incontra nei testi sulla materia a questa guisa:

f + v = s + 2

Desidero ora far rilevare al lettore un aspetto della formula euleriana che si può indicare senza pretese di troppa precisione in descrittivo. L’associare in una somma le facce di un poliedro, che sono enti a due dimensioni, con i vertici, ed ogni vertice è un semplice punto nello spazio e quindi un ente adimensionale ed esterno alla faccia opposta, potrebbe equivalere, in una trasfusione plastica del ragionamento, a costruire idealmente per ogni faccia e per ogni vertice ad essa esterno un volume il quale sappiamo essere ente a tre dimensioni. All’opposto, enti come gli spigoli che hanno una sola dimensione, quella lineare, costituiscono un volume solo se li associamo tutti al numero due, che qui è da intendere come il numero delle dimensioni che mancano e sono necessarie per arrivare a definire da un segmento un volume. Qui la trasfusione plastica del ragionamento si porge con un maggior grado di astrazione: ad uno dei due estremi dello spigolo associamo due direzioni distinte nello spazio, ovvero ognuna di esse, formato un piano con lo spigolo dato, non deve contenere l’altra.   

I due termini, destro e sinistro, della formula appaiono così passibili di confronto in senso descrittivo per il fatto di essere omogenei. A destra la composizione di facce e vertici esterni designa dei volumi, a sinistra degli spigoli, idealmente indicativi della prima dimensione spaziale, si associano al numero due che dovrebbe ricapitolare in certo qual senso la coppia di altre dimensioni che sono d’obbligo per poter dare nuovamente un volume.  

Dare una precisa e chiara visione dell’aspetto che esula dal rigore classico della celebre formula è in ogni caso un tentativo che mette a dura prova autore e lettore dato che si tratta d’una intuizione, forse avvolta ancora nella caligine del vago e dell’indistinto, la quale deve essere trasfusa in una scrittura compiuta. E non è per nulla sicuro che questo proposito trovi un esito ben riuscito. 

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