Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Eva Mei
“Direzione crepuscolare, quasi con accenti pucciniani”; così la bacchetta di Mehta avrebbe ridato vita – e morte – al fascino malinconico di Violetta Valery, la Traviata di Verdi che affoga tristemente in un mondo di lusso, di trine e di ipocrisia. Qualcuno, più malignamente, insinua anche nel grande direttore una nota di stanchezza.
Al contrario, l’impressione è che in questa Traviata Mehta abbia ritrovato una sicurezza che sembrava aver invece smarrito in Falstaff (almeno nelle prime recite), partitura certo molto più complessa e articolata. Sicurezza che non significa peraltro toni troppo accesi o impetuosi, che in quest’opera è decisamente meglio evitare; del resto, dove c’è – per forza di cose – da far ruggire la “grancassa” del musicista bussetano Mehta non si tira affatto indietro, come in certe scene d’insieme del primo e del secondo atto. Ma sono i toni lirici e intimisti ad essere privilegiati soprattutto nelle romanze o nei momenti più drammatici, come la stupenda esclamazione (uno forse dei momenti più alti di tutto Verdi) amami Alfredo!
Lo spettacolo in scena in questi giorni è decisamente di buon livello, anche se forse non proprio come l’edizione del 2012. La regia di Henning Brockhaus non era certo una novità, ma gli anni e le repliche non ne hanno scalfito il fascino e la presa sul pubblico. “Non è rimasto niente di quello che Dumas caratterizzava con l’espressione Demi – Monde, oppure parlando del salotto di Violetta “Ce cloaque splendide “ Quello che si vede di solito è una bomboniera di costumi e allestimenti in cui si svolge una storia d’amore quasi astratta. Invece è importantissimo capire che Violetta è ‘una puttana’, come diceva letteralmente e chiaramente Giuseppe Verdi”, dichiarava il regista.
Per la verità, non è precisamente questo che si vede nell’edizione fiorentina. Sarà per la lettura intimistica di Mehta o per l’interpretazione di Eva Mei, ma Violetta appare se mai una vittima: del cinismo e dell’ipocrisia del suo tempo e del non saper essere, al contrario a quanto pare della “originale” Marie Duplessis, abbastanza cinica. E la regia, con le scene di Josef Svoboda, coopera molto bene a questo effetto, soprattutto nelle scene più fastose e festose: l’abile gioco di specchi, oltre a dare l’illusione di moltiplicare le presenza in scena e di una visione “bidimensionale” accentua la solitudine disperata della protagonista, anche nei momenti di maggiore euforia: tutti sembrano immersi in un sfrenato e orgiastico (ma niente di scabroso in scena, per fortuna!) divertimento, mentre lei è sola con se stessa e con le sue illusioni. Forse non del tutto azzeccato il prato di fiorellini del secondo atto, ma è peccato veniale. Molto belli e “in tono” i costumi di Giancarlo Colis, che contribuiscono a ricreare un atmosfera veramente demi monde, anche se forse più belle epoque che non Luigi Filippo.
Sul piano vocale, una grande Eva Mei da dato vita a un personaggio straordinariamente sensibile e tormentato, grazie a una buona recitazione che ha perfettamente messo in sintonia vocalità e situazione scenica. La Mei è un soprano “di coloratura” e il ruolo di Violetta non sarebbe proprio tra i più congeniali, ma la cantante lo affronta con grande intelligenza e abilità, oltre che con una tecnica impeccabile. Notevoli soprattutto il suo fraseggio, in particolare nei momenti più drammatici ( come nell’Addio del Passato del terzo atto) e naturalmente le coloriture.
Ovazioni più che meritate alla grande soprano, mentre qualche contestazione per il tenore Ivan Magrì, caratterizzato da una voce robusta ma con un declamato e una intonazione non sempre corretti e poca “limpidezza”. Una voce discreta ma che deve maturare. Paolo Gavanelli è sicuramente un Giorgio Germont “di mestiere” (riesce tra l’altro a rendere perfettamente l’ipocrisia e l’odiosità del personaggio) anche se la sua voce ha destato a tratti qualche perplessità: molto “scura” e forse sin troppo potente, anche se il cantante ha cercato comunque di adeguarla al personaggio, con varietà di accenti e sfumature.
Eccellenti la prova del coro, giustamente applaudito con entusiasmo e di un’orchestra sempre all’altezza della sua reputazione; e nell’insieme comunque il pubblico ha decretato allo spettacolo un meritato successo, che ha tra l’altro registrato il tutto esaurito. Da vedere senz’altro le ultime due repliche, a condizione però di trovare posto!
Ultime recite: 7-8 aprile, ore 20,30.
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