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Poemetti giapponesi

L’Haiku come il parallelo poetico ai disegni su album a schizzi

L’immagine di poesia è disegnata con un tratto di rapidità assoluta data dal vedere con la mente i lunghi steli delle zampe delle gru che si sono accorciati perché le piogge della stagione calda hanno elevato il livello d’acqua dello stagno

di Piccolo da Chioggia

L’Haiku come il parallelo poetico ai disegni su album a schizzi

Haiku

Si è intravista nel capitolo precedente la notevole qualità scenografica di certi bozzetti e schizzi di maestri giapponesi, capaci di adombrare con massima economia di tratti a pennello interi paesaggi a partire da un soggetto ritratto altrettanto all’osso e posto in primo piano  Conviene ora dilatare il panorama e se ciò vale a inoltrarci ulteriormente nella comprensione estetica del disegno nipponico che vogliamo definire minimo, pure facciamo questo per istituire quello che sembra essere quasi un suo parallelo nella scrittura, ovvero l’Haiku. Questi poemetti giapponesi, si compongono su tre soli versi con un totale di cinque sillabe il primo, sette sillabe quello di mezzo e di nuovo cinque l’ultimo. Essi palesano un’arte del condensare, ridurre al minimo possibile i mezzi espressivi, ovvero le parole, nel ritrarre una visione di poesia, che non può non richiamare alla mente i bozzetti e gli schizzi calligrafici dei quali si è detto. Addentrarsi nella casuistica e nella tecnica di tale arte poetica onorata dal tempo qui non serve e vale piuttosto una lettura attenta di alcuni dei più belli di questi Haiku, in modo da intuire ove possibile l’esatto artificio d’immagine usato dal poeta per delineare o il soggetto attraverso il suo ambiente circostante, o nel ritrarre il soggetto, scorgere quei minimi tratti che ne adombrano il paesaggio di scena.  


Eccone uno di un grande maestro, Basho, di un secolo e mezzo anteriore ai pittori del primo ottocento Hokusai e Hiroshige:


Piogge di prima estate,

si accorciano le zampe 

delle gru.


L’immagine di poesia è disegnata con un tratto di rapidità assoluta data dal vedere con la mente i lunghi steli delle zampe delle gru che si sono accorciati perché le piogge della stagione calda hanno elevato il livello d’acqua dello stagno.

Non è necessario a questo punto al poeta alcuna allusione ulteriore all’esterno dell’immagine centrale delle gru, il quadro di una stagione con il suo mondo in rigogliosa fioritura, in grazia del ristoro vivifico dell’acqua che cade dal cielo, è condensato, ed è fissato nella sua bellezza dalla scrittura che trasfonde l’impressione del poeta e nella memoria del lettore che può “rivedere” tutta la scena originariamente balenata a colui che ha composto i tre scarni versi. Nessuna necessità di ambientazione o di premesse o artifici retorici per concludere: lo Haiku, come il disegno nipponico, riduce al massimo l’uso del mezzo espressivo, condensa il nucleo della visione lirica e lo tramanda. 


Quando i fiori cadono per far luogo ai frutti si è ancora nella primavera, qualche corolla però si attarda e cade nell’aria dove già volteggiano le prime farfalle estive: 


Un fiore caduto

che risale al suo ramo?

Ah, è una farfalla.


Lo sguardo d’un poeta era posato sull’erba e credeva di aver riconosciuto dei petali. Ma il suo passo mette in allarme la farfalla che si leva in volo. È abbozzato un piccolo orto, forse quello della sua casa. E nell’orto un albero si apre irradiando i suoi rami; lo si vede pure se non è nominato.


Il Giappone ha un paesaggio ondulato e mosso, le sue coste sono frastagliate. È quasi un luogo con l’ufficio di antemurale per l’Asia di fronte all’illimitato che si disperde nell’Oceano Pacifico. La sua estate è piovosa con lunghi acquazzoni: 

 

Oh queste lucciole

confuse con l’acquazzone d’estate.

Che pioggia di fuoco!


Dopo l’estate arriva l’autunno e con esso i colori del paesaggio nipponico, che ammiriamo nei paesaggi di Hiroshige, si trasformano. L’occhio pittorico del maestro degli Haiku vede un’immagine che condensa in tre versi che sorprendono per l’intensa semplicità: 


Inizio d’autunno:

nel mare e nei campi

un verde solo.


E ancora per questa stagione uno splendente notturno: 


Plenilunio d’autunno:

tutta la notte passata

a misurare il lago.


Avviene qui come se i versi lacerassero non solo il foglio che li riporta con i segni armoniosi degli ideogrammi, ma anche le tenere pareti della casetta di legno giapponese e apparisse in tutta la sua maestà lo spazio sovrano d’intorno, il cosmos ellenico vestito ora d’un abito di recita orientale: è il lago teso a specchio a riverberare la candida luce lunare.


Con l’arrivo dell’inverno la luce adamantina dell’astro notturno pare quasi che si fosse condensata e avesse trasfuso il suo potere illuminante nell’aria degli strati più alti del cielo per accendere di sé tutto il vapore dell’atmosfera precipitandolo nel ghiaccio delle cime montane e nella neve che cade. Matsuo Basho ritrae il paesaggio invernale con una allusione ellittica, in cui né candore né neve sono nominati eppure tutto appare di color bianco:


Languore d’inverno:

nel mondo di un solo colore

il suono del vento.


E così lo Haiku della stagione più raccolta in sé stessa di un altro poeta antico:


Non c’è nulla:

i campi e le montagne 

rubati dalla neve.


Come si può trasporre il panorama geografico ed interiore di questa immagine invernale in uno schizzo pieno di grazia come quelli che costellano i cartigli di un obliato disegnatore nipponico?

Plausibilmente deve essere frutto dell’esercitare una disciplina completa, nella quale la sensibilità figurativa di un pittore e quella poetica di uno scrittore di Haiku albergano, non fosse che per un istante, unite nella mente e chiarissime, prima di dileguare l’una dall’altra nell’alveo ciascuna della propria espressione d’arte. Per entrambe le sensibilità, il foglio bianco è un microcosmo per rappresentare una parte del cosmos sul quale i pochi aggraziati ideogrammi articolano i versi o i pochi rapidi tratti a pennello di un’immagine aprono la vista interiore a paesaggi che hanno in sé il quieto respiro del perenne e la muta contiguità con l’immenso. 


Se Matsuo Basho ha compiuto la sua vita negli anni in cui Sebastiano Bach era ancora allievo della scuola musicale germanica e nella poesia e nelle arti dell’Europa centrale ancora doveva nascere lo stile leggero del Rococò, a riprova che i tempi non scorrono del tutto paralleli sulle nazioni, è solo nel tardo ottocento che più vaste conoscenze sull’arte nipponica si affacciano all’Europa solcata da ferrovie e dal cielo intrecciato di fili telegrafici. Con l’avvio dell’epoca dell’imperatore Meji, dal 1868 l’impero del Sol Levante si apre sempre di più all’ingresso degli stranieri e si precipita in un vortice di imitazione europea e americana con il singolare e interessante procedere in parallelo tanto della propria Tradizione con i riti, le varie dottrine, le arti, quanto di una assimilazione che ha quasi del miracoloso di tutto ciò che è industria, tecnica, elettricità e macchine.

Il paesaggio nipponico, ondulato da dolci colline e reso pieno di grazia dai meravigliosi giardini costellati dai ciliegi in fiore e dai tetti delle armoniche pagode, comincia ad essere solcato dalle vie ferrate sulle quali corrono le locomotive. E la poesia dall’Olimpo innevato del Fuji si leva come una gru o una cicogna che cerchi il suo nido e sorvola anche il nuovo tempo; ecco la primavera in uno Haiku dell’inquieto Shiki, semplicemente bellissimo


Giorno di primavera:

si perde lo sguardo in un giardino

largo tre piedi.


Dal fazzoletto di suolo verde d’erba, si è schiusa in una notte e senza avviso una miriade di colori che il dì seguente illumina. I fiori che ovunque porta la primavera nipponica. Con insetti, farfalle, uccelli. 


Oltre la staccionata che racchiude, come uno fa scrigno il suo tesoro, il piccolo giardino di primavera, oltre le poche case del villaggio non lontane scorrono le rotaie che trasformano rapidamente il Giappone:


Passa la locomotiva

nel fumo un turbine

di giovani foglie.


Anche qui allusioni ad un paesaggio ed una stagione circostanti con una sola coppia di parole: era forse marzo, quando sui rami più bassi degli alberi c’erano le prime foglie? 


È bella e triste

la barca che pesca 

coi cormorani.


Un lago con dei canneti intorno? Sola, una barca si staglia sulle acque e i suoi pescatori da così lontano sono indistinti. Sulla riva dei cormorani affondano il becco. 


Un nuovo notturno: 


Notte di luna: basse

sulla ferrovia volano

le oche selvatiche.


L’astro d’argento irradia la sua luce. Rivelata qua e là dai lampi dei raggi riflessi: il riverbero metallico delle rotaie, il lieve biancore delle piume di cresta delle oche in volo sulla linea ferrata. 

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