Margherita Sarfatti

La "vergine rossa" amante del Duce

Un sodalizio sentimentale e intellettuale tra socialismo e avanguardie

di Ivan Buttignon

La

Margherita Sarfatti

Del Duce, Margherita Sarfatti è amante ma anche il consigliere politico più fidato. Eppure viene ricordata semplicemente come la protagonista della più lunga storia d’amore con Mussolini. E dopo l’esposizione del cadavere di Claretta a Piazzale Loreto, per gli italiani è quest’ultima a diventare la prediletta mentre Margherita diventa “l’altra donna del Duce” [1].

Margherita contribuirà, e notevolmente, a edificare quell’ingranaggio politico che prenderà il nome di fascismo e che, inesorabilmente, la stritolerà[2].

Spazzata via dalla corrosiva esaltazione del protagonismo “al maschile”, Margherita, come donna, è appunto ricordata solo in quel ruolo di subordine sessuale in funzione di un uomo arcinoto. Tramontata l’epopea fascista, a differenza di Grazia Deledda, Sibilla Aleramo, Amalia Guglielminetti e Ada Negri, la Sarfatti non ha modo di rilanciare la sua figura e mietere qualche successo artistico e letterario negli anni a venire. E non ci prova neppure; l’ipoteca di “amante del Duce” che grava sul suo capo è uno stigma troppo scomodo.

Ma l’avvincente vita di questa straordinaria figura artistica e politica ha un retrogusto romanzesco e avvincente. Piacevole da raccontare e da ascoltare.

 

Margherita si avvicina al marxismo a quindici anni. La “colpa” è di un suo ammiratore, un quarantenne “con una fiammeggiante barba rossa, il profilo ascetico e la voce profonda” che la inonda di libri, opuscoli e giornali marxisti[3].

Sono gli anni, questi, che vedono Crispi ricorrere all’esercito, alla legge marziale, alla censura e agli arresti di massa.

Venuto a conoscenza di un complotto anarchico contro la sua vita, il primo ministro forza la costituzione italiana all’estremo limite per sradicare anarchici e socialisti dal Paese. E’ ovvio quindi che Amedeo Grassini vede con preoccupazione la passione socialista della figliola.

"Marta Grani". Questo lo pseudonimo con il quale Margherita firma il suo primo articolo su una rivista socialista. Pezzo che sarà il primo di una lunga seria e che sancisce ufficialmente il suo ingresso nel socialismo italiano. Il nome Marta è ricavato dall’accostamento della prima con l’ultima sillaba di Margherita.

L’articolo è oggetto di ammirazione per i compagni (tant’è che la nominano “la Vergine rossa” in onore a Louise Michel, femminista che nel 1871 aveva capeggiato la rivolta della Comune di Parigi, primo esperimento di attuazione delle idee socialiste) ma anche di contrasti familiari. Il papà, infatti, va su tutte le furie. E non solo lui. I tre maestri della giovane neosocialista rimangono sbigottiti di fronte a questa scelta, radicale e fermissima al tempo stesso.

Ma Margherita fa di più. Per esempio convince il marito Cesare Sarfatti ad abbandonare la causa repubblicana, strada imboccata dopo un trascorso conservatore e decisamente di destra, per abbracciare quella marxista[4].

Dal punto di vista culturale, l’avversione al positivismo e al razionalismo tipicamente ottocenteschi mette d'accordo già in epoca prefascista personaggi molto diversi sia per caratura culturale che politica come Prezzolini, Papini, Soffici e Corradini. I primi due fondano nel 1908 "La Voce"; il secondo e il terzo, in aperta polemica col primo, nel 1913 fondano “Lacerba”. Entrambe le riviste sono tutte tese al rinnovamento della cultura italiana a colpi di rivoluzioni emotive, poetiche e spirituali della vita. La foggia recisamente antipositivista ma al contempo antisocialista che caratterizza "La Voce" non lascia indifferente la Sarfatti che si complimenta con Prezzolini scrivendogli che la rivista è “viva e sincera…non posso dirle con quanto entusiasmo io segua la libera e magnifica strada che percorre la sua ‘Voce’ […] e voce veramente di tutti gli alti e forti ideali, […] la sola veramente italiana”. In quel progetto culturale Margherita riconosce un esperimento rinnovatore della società, cosa che anche i socialisti, con diverse sfumature, agognano.

E’ proprio grazie agli stimoli vociani che, come appunto molti suoi compagni, Margherita si smarca dal socialismo per volgere il suo sguardo politico all’eresia fascista. La goccia che fa traboccare il vaso è il suo sostegno alla guerra, che la pone in chiave antagonista nei confronti del suo partito. A quel punto, sconfessa sia il socialismo che il femminismo, ma anche l’internazionalismo. D’altra parte, acquisisce definitivamente il sentimento nazionalista.  Il “salto della quaglia” avviene nel triennio ’12 – ’15 e sarà più tardi condiviso da molti compagni. Sempre più socialisti si convincono del ruolo demiurgico degli intellettuali che soli possono ricostruire la nazione. Fanno propria cioè la concezione mazziniana, mistica e spirituale, che vede nell’élite cerebrale il ruolo guida della missione nazionale.

Lo spartiacque che divide l’esperienza socialista da quella nazionalista è probabilmente il secondo articolo di Margherita su “La Voce”, scritto nell’agosto del 1913 e dedicato al problema della malaria nell’Agro Romano. Spiega il dramma dei lavoratori costretti a rischiare la pelle per meno di una lira al giorno. Sei settimane dopo, sempre su “La Voce”, la Sarfatti pubblica un contributo sul suo impegno per la conquista del voto alle donne.

Tre anni prima, nel 1910, al congresso milanese del partito socialista la Sarfatti infatti è tra i promotori del suffragio universale per entrambi i sessi, punto che fa approvare da quel consesso[5].

Nella stessa colonna fa un annuncio destinato a lasciare tracce indelebili nella sua formazione politica: annuncia la sua conversione alla violenza politica. Mussolini, esaltato da queste sue parole e appena “sollevato” dall’assistenza di Angelica Balabanoff alla direzione dell’”Avanti!”, propone a Margherita un percorso insieme. Prendere o lasciare. Margherita, attratta sempre più da Mussolini e orfana di una giuda riformista ormai esautorata (proprio dal suo amante!) due anni prima, decide di prendere[6].

La carica critica e biasimatrice delle riviste antiliberali e antigiolittiane, come appunto “La Voce” (alla quale la Sarfatti collabora) e “Lacerba”, si riverbera sempre più nella società intellettuale soprattutto grazie alle parole d’ordine interventiste. E’ l’eco guerresca che innesta negli animi dei letterati (perlopiù) nuova verve, più dissacrante e sprezzante che mai. Sono gli anni, questi, in cui Margherita occupa il posto mantenuto dalla Kuliscioff sino al ’14, anno del suo declino: quello di “regina dei salotti”.

E sono gli anni in cui conosce un giovane passionale dal nome Benito Mussolini, direttore dell’”Avanti!” dal 12 dicembre 1912. In tutta probabilità, Margherita incontra il futuro Duce durante una delle sue apparizioni nel leggendario salotto della Kuliscioff, subito dopo il congresso di Reggio Emilia.

Margherita resta affascinata dal tentativo mussoliniano di trasformare il partito socialista da organizzazione politica ad aristocrazia dell’intelligenza e di volontà.

Tentativo effettuato al Congresso di Reggio Emilia del ’12 e parzialmente riuscito. Bissolati, Bonomi e Cabrini, leader della “destra riformista”, sono infatti espulsi grazie a Mussolini. Di più: Treves viene sostituito da Mussolini nella direzione dell’”Avanti!” (e deve rinunciare alla sua liquidazione) mentre l’altro leader riformista, Turati, non viene eletto [7].

A quel punto, Cesare e Margherita si rendono conto che la loro componente, quella riformatrice appunto, è ora subordinata a quella rivoluzionaria, di Mussolini. Prendono quindi atto della sconfitta e ripongono il loro destino politico nelle mani dell’amico Benito, assurto ormai a demiurgo socialista.

La lunga collaborazione s’inaugura ufficialmente il 22 novembre 1913, giorno in cui compare “Utopia”, “Rivista quindicinale del socialismo rivoluzionario italiano”. Benito è direttore e Margherita sua collaboratrice principale[8].

Nel 1913 Margherita e Benito iniziano una infuocata ma schizofrenica relazione. Il rapporto passa dall’attrazione morbosa al litigio più aspro. D’altronde, è noto che Mussolini ama sedurre le donne e garantirsi un certo turn over. Ed è proprio in questo forsennato viavai di amanti che si inserisce il rimpiazzo di Angelica Balabanoff con Margherita, contemporaneamente alla frequentazione con Leda Ravanelli.

I due giovani amanti iniziano la loro congiunta battaglia politica nelle file dell’interventismo, per poi interrompersi molti anni dopo, presumibilmente nel ‘32.

E’ con la partecipazione attiva di Margherita che il futuro Duce fonda il suo nuovo giornale socialista. Il “Popolo d'Italia”, questo il celeberrimo nome del foglio, rappresenta la principale piattaforma dell’interventismo di sinistra.

La “Vergine rossa” non è l’unica icona femminile della sinistra a convertirsi all’interventismo. Nello stesso anno, il ’14, l’ex sindacalista rivoluzionaria e ora anarchica Maria Rygier aderisce alle tesi guerresche di Alceste De Ambris. Tesi esposte nella conferenza milanese che in quell’anno il celebre sindacalista nonché futuro fiumano propone[9]. Non paga di ciò, la Rygier sarà anche ispiratrice del “Manifesto degli anarchici interventisti”, compilato da Oberdan Gigli su invito di Maria[10].

Gli intellettuali di sinistra o di estrema sinistra che passano alla causa interventista solitamente si considerano, come in questo caso, ortodossi. Non revisionisti né ancor meno eretici. Anzi, ritengono di pensare e agire nel solco della migliore tradizione libertaria perché in (estremo) contrasto con i neoassolutisti Imperi centrali[11].

Durante il suo cambio di pelle in senso interventista Margherita ha 34 anni e si distingue per la sua stimatissima attività di critica d’arte. Il suo salotto in Corso Venezia diventa un passaggio obbligato per tutti quegli intellettuali che covano velleità politiche, ma anche per le giovani promesse dell’arte modernista e per gli esponenti della letteratura internazionale quali Shaw, Joséphine Baker e Cocteau.

Avida di successo e di fama, la “Venere rossa” punta sempre più in alto. Non paga del suo prestigiosissimo salotto, ambisce alla creazione di uno stile nazionale in arte e letteratura. Creare una nuova Nazione a colpi di opere artistiche e lettere, ecco il tormentone che infiamma Margherita. Questa ambizione piace al futuro Duce. Ed è il motivo che li lega in modo ancora più fitto. Mussolini capisce sin da subito che i suoi obiettivi di grandezza e quelli della sua amante si assomigliano. E che la sua partner è molto intelligente. In altre parole, che la sua collaborazione è quantomai conveniente. E’ questa consapevolezza che instillerà nei due amanti una formidabile complicità.

Margherita e Benito s’innamorano fra l’estate e l’autunno del ’18 quando sono certi della vittoria dell’Italia. L’affetto, l’infatuazione, insomma il legame sessuale e intellettuale che dura ormai da sei anni, si trasforma in amore. Gli ultimi quattro anni di battaglie politiche combattute fianco a fianco hanno creato un’affinità spirituale. Ma è il Primo conflitto mondiale a fare da anticamera del loro sentimento[12]. Mussolini rischia la vita già dal primo giorno di trincea; la Sarfatti perde il figlio Roberto mentre è impegnato in un’azione guerresca.

Ma dopo le tenebre dei massacri, la luce dell’amore.

Alla fine del gennaio ’22 gli innamorati Margherita e Benito fondano una nuova rivista che sostituisce “Ardita”, nome ormai fuori luogo viste le rotture tra Mussolini e il fronte D’Annunzio - Associazione degli Arditi. E’ Margherita a battezzare il nuovo foglio, che chiama “Gerarchia: Rivista Politica” e che diventa subito un’arena di critica culturale “al di fuori di ogni angusta pregiudiziale di parte”[13].

Durante l’ascesa al potere del fascismo il compito principale di Margherita è quello di legittimare l’astro nascente. Grazie al suo salotto e alle sue frequentazioni in generale Margherita esercita un ascendente sull’alta società. E’ così che smussa gli angoli rozzi del futuro Duce per introdurlo nella Milano “bene”, formidabile trampolino di lancio per il suo successo. I borghesi liberali si illudono che Mussolini sia “l’uomo giusto al momento giusto” proprio come la Sarfatti lo dipingeva. Convinti che le “parentesi squadriste” siano una degenerazione effimera della “politica dell’ordine” mussoliniana, iniziano a vedere nell’ex socialista la necessaria soluzione allo scompiglio nazionale.

La Sarfatti diventa strategica alla creazione dei nuovi miti, che al movimento fascista sono indispensabili al suo consolidamento al potere.

Ecco l’invenzione della classicità mediterranea e romana, tutta tesa a una rivisitazione di Roma. Dopo quella dei Re e dei Papi, c’è la Roma fascista. Il mito per eccellenza che lancia la cosmologia simbolica del fascismo e lo consolida.

Lo stesso mito che, affatto per caso, diffonderà il suo gruppo di artisti, Novecento, che fonda a Milano nel ’22 e che è costituito da Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi, Mario Sironi. I sette pittori, tutte scoperte della “Venere rossa” che animata da una continua tensione esplorativa e conoscitiva li aveva poi raccolti all'interno di questo gruppo appunto chiamato Novecento e fondato a Milano nel '22.

Inizia così la fortuna di Novecento, che ingrossa le sue fila, accogliendo al artisti come Martini, Carrà, Casorati, Rosai e Campigli, provenienti perlopiù dal futurismo ma anche dalla metafisica di De Chirico (è il caso di Carr), protendono al recupero della tradizione italiana, sai essa giottesca piuttosto che etrusca.

Nel 1926 si tiene la prima mostra ufficiale, seguita da numerose esposizioni in Italia e all’estero. Ma oltre a questo ruolo di punto nell’organizzazione culturale nazionale, la Sarfatti è arcinota per diffusione del culto del Duce, che trova in Dux, la sua biografia autorizzata da Mussolini, un primo, decisivo collaudo.

Il saggio esce nel maggio del 1926 pubblicato da Mondadori, primo di quella che diventerà la celebre collana “Le scie”[14]. Dux esce un anno dopo l’edizione inglese (The life of Benito Mussolini), stampata a Londra e recensita da oltre centocinquanta tra giornali e riviste. Questo testo sacro del mito ducesco, ispirerà gli studi del massimo esperto del fascismo Emilio Gentile[15]. Tale anticipazione è spiegata con l’ascendente del genere biografico sviluppato proprio in Gran Bretagna, implicito partner dell’Italia sino almeno alla vigilia dell’aggressione etiopica.

Ma Margherita è molto di più di una coordinatrice culturale e di una biografa. Sa essere un’eccellente funzionaria diplomatica. E lo dimostra gestendo in qualità di responsabile l’ufficio stampa che fornisce informazioni sulla politica interna alla stampa estera, soprattutto statunitense.

Nel ’29 iniziano le prime incrinature tra Margherita e il Duce, che scrive una lettera al vetriolo contro la sponsorizzazione di “900”[16].

Tuttavia, la rottura completa tra i due amanti risale al 1932, anno della svolta sentimentale del Duce, che ha occhi solo (si fa per dire) per Claretta Petacci. Allontana così Margherita prima dalla sua vita privata e poi da quella pubblica. È la morte culturale ma soprattutto politica di uno dei più straordinari personaggi del Novecento italiano.



[1]P.V. Cannistraro, B.R. Sullivan, Margherita Sarfatti. L’altra donna del Duce, Mondadori, Milano, 1993, pp. 3-4.

[2]Ibidem, p. 6.

[3]ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale Universitario, 2° versamento, fascicolo “Tanzi, Eugenio”.

[4]S. Urso, Margherita Sarfatti, Dal mito del Dux al mito americano, Venezia, 2003, p. 29.

[5]M. Sarfatti, Il suffragio amministrativo femminile: prima e adesso, in “Gerarchia”, maggio 1925, pp. 291-292.

[6]M. Sarfatti, “Corrispondenze da Como”, “La Difesa delle Lavoratrici”, 2 novembre 1913. M. Sarfatti, “Perché le donne han bisogno del voto”, “La Difesa delle Lavoratrici”, 16 novembre 1913.

[7]R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920, Einaudi, Torino, 1965, pp. 110-125.

[8]P.V. Cannistraro, B.R. Sullivan, Margherita Sarfatti. L’altra donna del Duce, Mondadori, Milano, 1993, p. 114.

[9]“L’Internazionale”, Edizione Nazionale, 12 settembre 1914.

[10]ACS, Casellario Politico Centrale, Busta 2407 [Gigli Oberdan].

[11]M. Poledrelli, Revisione?, in “La Guerra Sociale”, 20 febbraio 1915.

[12]P.V. Cannistraro, B.R. Sullivan, Margherita Sarfatti. L’altra donna del Duce, Mondadori, Milano, 1993, pp. 189-193.

[13]S. Urso, La formazione di Margherita Sarfatti e l'adesione al fascismo, in “Studi storici”, N. 1-6, anno 1994.

[14]M. Sarfatti, Dux, Verona, 1926.

[15]E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma - Bari, 1993; ID., Fascismo. Storia e interpretazione, Roma - Bari, 2002, pp. 113 – 171 e pp. 206 - 234.

[16]E. Mannucci, Italo Balbo alla Sarfatti: perderemo la guerra, in “Corriere della Sera”, 7 aprile 2006, p. 55.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da NewBalance547 il 15/11/2014 10:47:04

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