Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Quel palazzo moderno incastonato tra colonne antiche, dallo stile un po’ composito, non sa di condominio. Da questo punto di vista, la scelta – oggi forse un po’ abusata – di una regia atemporale si è rivelata tutto sommato vincente. Il capolavoro di Purcell Dido and Aeneas, in scena in questi giorni all’Opera di Firenze insieme a un suggestivo balletto, vede una realizzazione scenica molto curata e ariosa, con una mescolanza di tradizione e attualità che non esce dalle righe, a parte forse i costumi di Leila Fteita, sicuramente molto curati ma con accostamenti talvolta un po’ sconcertanti: la mescolanza tra i classici peplie le divise della marina militare dei nostri giorni è forse un po’ troppo osè.
Ma è un dettaglio che si può facilmente perdonare: la regista Marina Bianchi ha saputo anzitutto armonizzare le varie componenti dell’opera – i solisti, il corso, il corpo di ballo – in modo da rendere la tradizionale “fastosità” di un ‘opera barocca (anche se molto sui generis,come quella di Purcell). Molto belli a questo proposito alcuni “squarci”, come il boschetto di delizie o la marina che il palazzo lascia vedere aprendosi. Solo non si capisce bene il bisogno di una “voce narrante” didascalica e non sempre opportuna che la regista ha ritenuto di dover introdurre: il suo allestimento e l’opera di Purcell si spiegano benissimo da soli.
Comunque sia, è stata una cornice scenica più che adeguata per far risaltare la bellezza straordinaria di un capolavoro forse non conosciuto come meriterebbe. Nato nell’ambitoun po’ ristretto di un educandato femminile diretto da un maestro di ballo, Dido and Aeneas vede la luce nel 1689, esattamente 47 anni dopo l’ultimo capolavoro monteverdiano, l’incoronazione di Poppea. Certo dal 1642 al 1689 molta acqua era passatanelle lagune veneziane e non solo e del divino Claudio – incredibile a dirsi – si era perduto sin quasi il ricordo. Eppure l’opera di Purcell ha un che di monteverdiano, ricordando per certi aspetti persino l’Orfeo : i cori, le danze, forme musicali soprattutto liriche non ancora irrigidite nei “pezzi chiusi” così come si assesteranno a partire dl 1700. Ricchezza melodica ma anche grande sobrietà sono senz’altro le cifre di quest’opera, basata su un testo che riprende il notissimo episodio del quarto libro dell’ Eneide con alcune vistose innovazioni, come l’elemento magico delle streghe malefiche al posto di quello divino e una particolare sottolineatura dell’incompatibilità tra amore e potere.
Se dunque la scelta dell’Opera di Firenze è stata eccellente, altrettanto lo è stata anche la sua realizzazione: non solo sotto l’aspetto scenico ma anche sotto quello musicale. A partire dal direttore d’orchestra: Stefano Montanari è uno specialista di musica antica e barocca e lo si sente benissimo.
Da un organico strumentale tutto sommato abbastanza ridotto Montanari riesce infatti a esaltare una tavolozza di grande ricchezza: dai momenti lirici e patetici, che sono forse il tono dominante, a quelli più vivaci e festosi che vedono impegnati soprattutto il corpo di ballo e il coro, perfettamente a suo agio anche in uno stile forse per lui meno abituale, ma affrontato con la maestria e la grande professionalità di sempre. La sua direzione valorizza anche i solisti, anch’essi di ottimo livello: la protagonista, Josè Maria lo Monaco, è un mezzosoprano dal timbro scuro che ha offerto un’ottima caratterizzazione del ruolo, dando vita a un personaggio dignitoso e dolente, con una voce morbida e ben modulata che ha emozionato sia nelle due arie che nelle altre pagine che la riguardano.
Se l’infelice regina è la vera protagonista dell’opera, bene hanno figurato anche gli altri ruoli: il tenore Leonardo Cortellazzi è stato un Enea elegante e caratterizzato da una buona dizione, Francesca Aspromonte una Belinda (sorella di Enea) dotata di un tono di voce chiaro (un gradevole “contrasto” con Didone) ed efficace. Convincente anche Adriana di Paola nel ruolo della perfida maga.
Il pubblico ha accolto l’opera con calore e interesse, e con meritatissimi applausi. Entusiasta poi l’accoglienza tributata a Le Jeune Homme e la mort, balletto di Roland Petit su soggetto di Jean Cocteau, ambientato prima in un interno “da Bohème” e poi sui tetti della Ville Lumiere, in un suggestivo l'allestimento con scene di Georges Wachévitch del teatro alla Scala. Sulle note della Passacaglia di Bach si sono esibiti uno straordinarioYonah Acosta, vera forza della natura, e una bravissima Alessandra Ferri nel ruolo inquietante della morte. Un abbinamento perfetto a Dido and Aeneas.
Ultime repliche domenica 8 marzo (ore 15,30) e martedì 10 marzo (20,30.) Decisamente da non perdere.
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