...e ora parliamo di Kevin

Le dolorose mancate risposte della madre di uno stragista

Un film bello di cui si parla poco, ispirato al romanzo della scrittrice Lionel Shriver

di Michele  Cucuzza

Le dolorose mancate risposte della madre di uno stragista

Impegnato a non perdere, per ragioni di lavoro, neanche una puntata di Sanremo, per andare al cinema ho dovuto fare i conti con gli orari taccagni delle sale romane e sono riuscito, alla fine, a vedere un  film di cui si parla poco, ingiustamente dimenticato nella corsa agli Oscar,  terribile e  coinvolgente, “…e ora parliamo di Kevin”, pellicola anglo-americana, diretta dallo scozzese Lynne Ramsay, ispirata al romanzo della scrittrice e giornalista statunitense Lionel Shriver.

È la storia di un giovane disadattato e crudele, soprattutto nei confronti della madre, che a 16 anni compie una strage (entrambi bravissimi: lui è  Ezra Miller, un ragazzo dallo sguardo perennemente torvo e inquietante, lei è l’irlandese Tilda Swinton, un’inguaribile tensione che la scava e la ossessiona, nei suoi primi piani). A differenza che in altri film come “Elephant” di Gus Van Sant o “Bowling a Columbine” di Michael Moore, ispirati a storie vere, qui alla tragedia si allude quanto basta, non ci sono scene scabrose, non si riflette sul bullismo, sulla libera circolazione delle armi, sui soggetti eventualmente ispiratori della violenza ( dalle ideologie alla musica nichilista). “…e ora parliamo di Kevin” è tutta e solo introspezione magistrale, dubbi angosciosi, incertezze laceranti, domande senza risposta che divorano la madre del pluriassassino prima e dopo il massacro, sin dalla nascita del figlio, fino a due anni dopo la mattanza, nei tesissimi incontri settimanali in carcere.

A cosa si riduce la vita di una donna madre di uno stragista? Entro quale perimentro ossessivo si muoveranno i suoi pensieri e le sue azioni residue? Ecco il film, durissimo ma senza compiacimenti: ogni dettaglio del rapporto madre-figlio, prima e dopo la tragedia, viene rivisitato, analizzato, indagato, nella perfetta solitudine di una donna distrutta, la cui esistenza non può più  avere  scopo.  Dalla rinuncia alla sua carriera di scrittrice per concentrarsi sulla famiglia da costruire, alla scelta di vivere in periferia con il marito, all’attesa del primogenito, a tutti i segni inequivocabili di un rapporto che si fa subito estremamente conflittuale a causa dei capricci, i dispetti, le cattiverie, i sadismi del bambino estremamente sveglio, precoce  e  altrettanto crudele verso la madre (malgrado  le sue attenzioni) e non  il padre (figura volutamente marginale nel film e nella tragedia incombente).

La donna rivede tutto insieme a noi, fotogramma per fotogramma, muta e dolente, e si chiede nell’intimo dove avrà sbagliato, cosa avrebbe potuto fare di diverso, con chi avrebbe dovuto parlare di ciò che le stava capitando in casa, sola - vista la profonda sottovalutazione da parte del marito - di fronte alle sconcertanti angherie del figlio nei confronti della sorellina nata nel frattempo, i comportamenti disorientanti di questo ragazzo che cresce come un perfetto disadattato, chiuso, ostile, cinico eppure rarissimamente anche capace e desideroso di tenerezze materne.

La donna non ha risposte definitive, nemmeno quando – nei suoi flash-back addolorati – sembra cogliere nella durezza più cruda degli sguardi e dell’agire del figlio – i segnali premonitori della catastrofe imminente. E neanche noi, turbati e impensieriti, usciamo dalla sala con risposte rassicuranti: uomini che odiano le madri, eppure le risparmiano quando sterminano la famiglia e i coetanei, che non si pentono di nulla, non danno spiegazioni  della loro furia pluriomicida, arroganti e impietosi come sempre, che calcolano come – da minorenni – non staranno a lungo in carcere e poi gradiscono, per un attimo, come sollevati, l’abbraccio della madre alla fine del colloquio tra le sbarre. Il grumo  è certamente lì, ancora una volta, nel rapporto madre-figlio, quello che la natura umana fa sviluppare, sempre,  in modo diverso e imprevedibile.

È questo il tormento della madre di Kevin, scaraventata nella vita tra patologia e amore. Senza una risposta compiuta.

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