Critiche negative, ma

Puritani con riserva alla prima, ma vincenti alla replica

Applausi vivi e convinti, che hanno raggiunto l’ovazione per il soprano australiano Jessica Pratt

di Domenico Del Nero

Puritani con riserva alla prima, ma vincenti alla replica

Puritani di Bellini

A leggere le critiche della prima rappresentazione de i Puritani di Bellini (avvenuta mercoledì scorso)  si ha l’impressione di un quadro almeno parzialmente negativo: gli strali sono diretti soprattutto contro la regia del giovane Fabio Ceresa, la prestazione del tenore Antonino Siragusa e l’interpretazione del maestro Matteo Beltrami. Ora, se è sicuramente positivo che anche nel settore musicale e segnatamente lirico si riscopra il gusto di far critica e non solo mera descrizione o peggio … apologetica, c’è da dire però che molte delle perplessità espresse alla prima rappresentazione – e recepite a quanto sembra  anche dal pubblico – non hanno trovato riscontro alla replica di venerdì 30 gennaio, dove il cast era peraltro quasi  lo stesso.  Applausi vivi e convinti, che hanno raggiunto l’ovazione per il soprano australiano Jessica Pratt, la grande stella del belcanto  che era uscita del resto promossa a pieni voti anche dalla prima. Qualche perplessità se mai per il tenore, ma niente di più.

Non sarebbe certo la prima volta che una prima poco centrata viene poi “corretta” nelle repliche successive, ma dato che i rilievi riguardavano soprattutto sia l’impostazione registica che quella direttoriale, la cosa appare sinceramente un po’ sconcertante, soprattutto se si considera che spettacoli ben peggiori di questo (che non era tra l’altro  affatto di qualità scadente, anzi) hanno avuto recensioni e accoglienza  decisamente più indulgenti; fermo restando comunque, per amor di precisione, che chi scrive non è né un esperto né un particolare estimatore di Bellini.

Cominciando dalla regia, sicuramente non tutto era condivisibile: il terzo atto soprattutto appariva un po’ troppo statico (ma del resto anche quest’opera lo è abbastanza di suo) e sin troppo … sepolcrale , con quel monumento funebre al centro della scena e quelle pietre tombali da cui a un certo punto escono pure i soldati: elementi peraltro presenti per tutto lo spettacolo ma che nell’ultima parte assumono un rilievo particolare. Ma bisogna dare atto a Ceresa di una lettura che se non altro aveva qualche relazione con l’epoca storica in cui è stata composta l’opera, ovvero il Romanticismo:  il castello, con quel suo tocco gotico e angoscioso, era finalmente uno sfondo del tutto  intonato, senza stramberie o astrusità come quelle che hanno caratterizzato il recente Falstaff che però, essendo di Ronconi, a molti andava bene lo stesso.  Invece qui  sia le scene di Tiziano Santi che i costumi di Giuseppe Palella, ben lungi dall’apparire fuori tema o fastidiosi, contribuivano a creare un tocco gotico che s intona benissimo anche alla fonte che è sir Walter Scott. Del resto il libretto di Pepoli è nel complesso abbastanza strampalato, come già lo stesso compositore aveva più volte messo in rilievo, per cui la regia di Ceresa ha cercato di dargli comunque un senso e una logica, compreso quel suo lavorare sullo scorrere del tempo reso sicuramente in modo molto più felice dello scorrere dei chicchi di riso (roba, quella, davvero da sarabanda di fischi) impiegato lo scorso anno nella regia del Tristano e Isotta. Molto ben calibrato tra l’altro anche il gioco delle luci di Marco Filibeck.

E’ noto come Bellini non sia stato un grande strumentatore, tanto che qualcuno pensò persino di riorchestrare la Norma.  E’ anche vero però che nei Puritani, programmati per Parigi, il lavoro di strumentazione fu più attento e più accurato del solito.

Curioso che alla direzione di Beltrami siano stati mossi due rilievi di segno opposto: di cedere troppo all’atmosfera cupa e greve del palcoscenico e di non riuscire dunque a rendere anche le sfumature liriche e intimistiche della partitura, o viceversa di essersi abbandonato a tempi e intonazioni sin troppo frivole, da opera comica.

Agli esperti del musicista catanese l’eventuale sentenza. L’impressione che ha dato ieri è stata invece di un piglio sicuramente dai colori vividi e a tratti vivaci, soprattutto nelle splendide scene corali e nei passi “patriottici”; ma senza per questo ignorare i toni languidi e dolenti con le melodie lunghe che sono tipici di Bellini. Una lettura che certo non si è limitata a “sostenere” il canto ma ha perlomeno cercato di scavare a fondo in una partitura belliniana più ricca e articolata del consueto.

Nessun rilievo – o quasi  - per l’Elvira di Jessica Pratt, i cui virtuosismi pirotecnici hanno conquistato la platea; la Pratt è stata comunque anche abile nella caratterizzazione psicologica del personaggio, una fanciulla fragile e ingenua. Un’interprete che possiede le doti adatte per un ruolo vocale sicuramente molto impegnativo e complesso,  abile nelle filature e con una dizione chiara e ben modulata.

L’Arturo Talbo di Antonino Siragusa è stato forse il più criticato. Effettivamente qualcosa  che non convinceva del tutto c’era, soprattutto per quanto riguarda la coloratura vocale, ma nell’insieme è sembrato all’altezza del ruolo, sicuro negli acuti e sopracuti e dotato di un fraseggio chiaro.  Buone la prove di Riccardo Zanellato nel ruolo di sir Giorgio e  di Massimo Cavalletti, un Riccardo Forth ora aggressivo ora dolente. E una menzione speciale per il coro che in quest’opera ha una parte di grande rilievo e che è stato giustamente applaudito con particolare calore insieme al suo maestro Lorenzo Fratini.

Decisamente da vedere .  Altre repliche:

Dom 1 febbraio, ore 15:30
Mer 4 febbraio, ore 20:30
Gio 5 febbraio, ore 20:30
Mar 10 febbraio, ore 20:30



 

 

 

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