Editoriale

Il vero dramma del malaffare romano non è la mafia ma il sistema politico

Bisogna azzerare tutto e tornare a votare perché le responsabilità politiche sono più gravi di quelle criminali

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

onostante il gran parlare (il troppo parlare?), un paio di cose sulla cosiddetta operazione “Terra di mezzo” - la scoperta dei fatti delinquenziali che hanno gettato un’ombra inquietante su buona parte della politica e dell’imprenditoria della città eterna - vanno a mio giudizio ancora chiarite. Innanzi tutto: si tratta di mafia come continua sostenere la Procura di Roma? La politica, le istituzioni dello Stato e gli inquirenti si debbono mettere d’accordo. Se si tratta di mafia, se dunque si riconosce al sodalizio Buzzi-Carminati e Co. lo status di mafiosi e alla loro organizzazione lo “stampo mafioso”, l’intero Consiglio comunale romano deve immediatamente essere sciolto per infiltrazioni. Stop. Poche chiacchiere: la questione non è un problema semantico, né una disputa sociologica.

Nonostante Giuliano Ferrara sembra aver inquadrato, anzi pesato quel sistema delittuoso per ciò che davvero è: “ma quale mafia, quelli sono cravattari - ha detto - Roma pullula come tutte le grandi città di associazioni per delinquere, e le risorse pubbliche, scarsine, sono appetite da piccoli medi e grandi interessi (questi ultimi in genere sono al riparo dalle inchieste): ladri, ladruncoli, millantatori, politicanti, funzionari corrotti e cialtroni vari sono un po’ dappertutto (…), ma trasformarli in una ‘mafia’, precisando che è ‘originale’, ‘senza affiliazione’, e farne un ‘sistema criminale’ simile alla piovra, in un horror movie che si ricollega alla banda della Magliana, andata in pensione parecchi anni fa, è appunto una colossale bufala”. Gli inquirenti - esattamente come successe con la famigerata mala del Brenta, divenuta mafia del Brenta (che di mafioso in senso stretto aveva poco, quanto meno a sentire Felice Maniero) - hanno la necessità di considerare il sistema romano un sistema mafioso tout court.  Se non fosse altro per applicare l’Art. 416-bis del codice penale, ovvero per poter utilizzare tutti quegli strumenti eccezionali nati proprio per contrastare le associazioni di tipo mafioso: applicazioni di pena della reclusione raddoppiate rispetto a reati di delinquenza comune, confisca immediata dei beni dei partecipanti ai reati eccetera, eccetera…

Però, come al solito, c’è la politica di mezzo. E al momento il traballante sindaco di Roma Ignazio Marino ha trovato grazie all’emergenza criminale una ciambella di salvataggio inaspettata, nonostante la sua giunta fosse in piena continuità nei rapporti con quel sodalizio scellerato rispetto alla precedente (e quella precedente ancora) e i finanziamenti alle Cooperative di Buzzi durante il suo mandato non abbiano mai ricevuto alcun rallentamento, anzi. Lo stesso, del resto, alla Regione Lazio, nonostante il Governatore abbia negato qualsiasi rapporto con quell’odioso personaggio che è Buzzi.

Già, perché sia chiaro: un essere così abietto merita probabilmente di finire i suoi giorni in galera, qui mica si sta parlando di ridimensionamento dello spessore criminale di questa gente, ma del risvolto, politico che sembra conseguirne giudicando questo sodalizio mafioso o meno. E non solo questo, ovviamente, è il discrimine. Bisogna  analizzare le cause ovviamente, e così pure le conseguenze, quindi, che tale grave storia di malavita stanno creando ad un Partito Democratico collassato e senza più un briciolo di supposta virtù morale da esibire e a una destra sputtanata forse per sempre a causa di un sindaco, Gianni Alemanno, che - al di la delle sue implicazioni dirette, di cui personalmente ancora dubito - ha delle responsabilità politiche (che non è meno per uno che da sempre di professione fa il politico) enormi e assolutamente prive di giustificazioni.

E poi, su tutti come sempre quando c’è da lucrare sul consenso, ecco il presidente del Consiglio Renzi che, in calo vertiginoso di credibilità e con i maggiorenti del suo partito sempre più vicino alla resa dei conti, sull’onda dell’ennesimo scandalo di corruzione (questo romano ha un coefficiente di spettacolarità superiore che non può sfuggire, rispetto a Mose e l’Expo) rilancia con un “pacchetto” di misure repressive anti corruzione di stampo propagandistico. Del resto già criticate da personaggi tanto diversi come Don Ciotti e il giudice Nordio.

La politica dicevo. Eppure la politica, in senso stretto, non c’entra proprio niente. Carminati, per esempio, nelle sue intercettazioni lo spiega anche piuttosto bene ad un giovane interlocutore. Acqua passata: certa eversione politica - tanto di estrema destra che di sinistra - già trent’anni fa smise di avere tanto logica di appartenenza che fini ideologici e divenne criminalità allo stato puro. Anche qui, dunque, mettiamoci uno stop bello grosso, perché di fesserie sulla continuità politica se ne sono dette troppe. E oggi rivangare quei tempi serve solo ai soliti rancorosi e agli imbecilli. 

C’è un paradosso, tra i tanti, dunque, in questa vicenda che in crescendo di grottesco e drammatico unisce il marciapiede, il benzinaio, le chiacchiere anche un po' mitomani da bar, il malaffare senza precedenti, la corruzione, l’imprenditoria guasta e la politica sordida: che tutto si è mosso per vie politiche ma senza fini politici. Sarà mafia, allora? Miseria fino allo schifo, sicuro, ma la faccenda romana - diciamo la verità - non sembra mafia per quel che di mafia c’è dato conoscere. Altro paio di maniche è volerla trattare giudiziariamente come tale, ovvero ampliare ad hoc gli strumenti della sua repressione. Allora perché non dirlo? Gli strumenti normativi e di indagine ordinari non sono adeguati al fenomeno.

Comunque sia, al momento la questione rimane tema per rianimare i morenti talk show, per dar fiato alla retorica dei Cinque stelle, per farne uso strumentale delle varie fazioni politiche e per ingigantire l’ego di giornalisti in cerca di scoop trovati nell’immondizia dell’archeologia criminale.

Giuliano Ferrara dixit: è “un ordinario caso di associazione per delinquere a scopi corruttivi, tre colonne in cronaca”. Forse il direttore de Il Foglio prende la faccenda un po’ troppo sotto gamba, forse ne fa una questione di principio e vola alto. Ma che sia mafia o semplice (si fa per dire) associazione a delinquere, alla Procura di Roma, alla Prefettura e al ministero degli Interni spero giunga un accorato appello che non è istanza dei partiti politici, ma esigenza dei cittadini: fate presto a debellare ogni sistema criminale nella città e ridate la città ai romani. Permetterci di tornare a votare.

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