Cultura »

Lo stadio fisico dei numi

Interpretazione fisica, eroica ed infine metafisica dei miti

Sotto il segno dell’oscura sovranità di Varuna è da collocarsi la terza fase d’interpretazione del mito. Il cantore non si rivolge più solo ad una assemblea di nobili delle armi e di “regoli”, o re

di Piccolo da Chioggia

Interpretazione fisica, eroica ed infine metafisica dei miti

VARUNA, una delle più antiche e importanti divinità vediche

Rileggo l’appunto scritto su di uno dei cartigli sciolti trovati fra le pagine d’un quaderno. Le due linee mi rammentano l’avvenuta lettura d’un capitolo del volume di Angelo De Gubernatis sopra la mitologia vedica e riassumono in pochi termini un ragionamento dell’Autore che esplicava in qual guisa siano da interpretarsi le favole del mito. Nelle figure dei miti devono vedersi prima le apparizioni di fenomeni fisici, principalmente atmosferici; in una fase successiva le individualità dei numi mostrano i caratteri più rilevati, fioriscono leggende e favole intorno ad essi, e vengono cinti dell’aura eroica. Di poi, in un ulteriore stadio di evoluzione i numi divengono figurazioni di entità metafisiche. Dal Rg-Veda, nel quale gli dèi sovrintendono alle cose più immediate e visibili, come il sole, la notte, le stelle, le acque, si transita all’epica del Mahabharata ove le figure divine del Pantheon si sono trasposte nei loro discendenti eroici per recitare da attori in un grande dramma. Si arriva infine all’alta filosofia successiva quando gli dèi pur conservando le loro individualità queste assumono dei tratti volti a figurare enti metafisici che divengono gli aspetti parziali d’un unicum divino che resta immanifesto. In questi tre stadi è un grazioso giuoco vedere la triade indoeuropea di prosperità, guerra e infine sovranità distillarsi non più nella sua forma esplicita e però rendersi assai più tenuamente manifesta con il divenire la qualità astratta del triplice possibile punto di vista proposto dal De Gubernatis. Questa triade è divenuta quindi una specie di ordinamento che tenta di scandire in forma razionale e visibile le aride classificazioni nominate di fisico, eroico e metafisico. In ogni caso anche questo regolato procedere nasce dal fascino indubbio esercitato dalla tripartizione indoeuropea. Se è solo una fantasia arbitraria quella che, appunto, avvia tale giuoco, pure essa è di genitura poetica. 

Lo stadio fisico dei numi lo possiamo associare ad un’istanza di salutare e prospera barbarie del senso dell’antica “religio”. Non è affatto detto che a tale barbarie intesa come assenza di carattere rilevato o di profonda astrazione debba per necessità corrispondere povertà di senno. Se si legge il testo di Nietzsche sui primordi della filosofia greca, nell’epoca dei suoi poeti tragici, il grande di Röcken palesa in una pagina delle prime il fatto incontestabile che all’inizio “tutto è barbarie”; in un altro punto egli si burla come giusto di quei tedeschi suoi contemporanei che risalgono ai poveri “indogermani” per avocare a sé o al nascente “nordismo”, in assenza d’altro, un’aura di magnifica nobiltà. La salutare prospera barbarie cui si è accennato è tale per la direzione che le è stata di poi impressa e che le era connaturale. E ciò che si è palesato come il seguito dal Rg-Veda ha avuto un carattere di vero stile. Possiamo collocare questo istante iniziale come si faceva in altri tempi per i poemi con le Muse e immaginarlo sotto l’ala indulgente e protettrice dei bravi gemelli Asvini o del buon Pushan loro figlio: un senso di stupore e di mirabile sorpresa e di timore si era svegliato nei pastori di armenti in perpetuo viaggio per le contrade del meridione russo nell’identificare quelle stelle, quel cielo, quelle apparizioni di nubi e tempeste in Numi ai quali la viva fantasia dei cantori dà solo dei tratti esterni ora rozzi ora delicatamente ingenui, e dei quali vengono disegnate solo le sommarie fattezze senza indagarne troppo il carattere. È una barbarie di tempi nei quali la vita fisica dipende dalla fecondità delle greggi, dalla loro ricchezza nel dare il latte e le carni. L’agricoltura non si è ancora così evoluta da far balenare l’idea che ad essa è possibile definitivamente confidare la ricchezza d’una regione e d’una moltitudine. Gli dei sono invocati per assicurare ai devoti la vita fisica e la salute, perché concedano vittoria contro i nemici e prosperità alle greggi, e perché alle stirpi siano date forti discendenze in figli. E queste invocazioni prendono forma di inni poetici in virtù della forza che stupore, paura scampata dai pericoli, ammirazione di fronte all’immane spettacolo dei paesaggi e della volta celeste che li sovrasta, destano in chi compone e usa della lingua in modi che la evolvono, con l’invenzione di nuovi termini atti a render sempre migliore esattezza di ciò che si è visto e ciò che si è sentito, verso forme espressive sempre più duttili, più precise, più suggestive nel trasmettere immagine e memoria.

È da immaginare sotto l’ala ispiratrice di Indra la fase storica del mito interpretato sotto la specie eroica. I popoli indogermani sono sortiti dalla barbarie ora violenta e innocente ora timorosa degli inesplicabili accadimenti atmosferici. Si sono instaurate le evidenze di molti rapporti di causa ed effetto, anche perché l’agricoltura sta prendendo luogo e con essa la centuriazione dello spazio e la conseguente traccia dei confini. Prende forma l’architettura come tecnica codificata e con uso di materiale duraturo in luogo della povera capanna di legno e paglia esposta all’arbitrio violento dei fulmini. Le contese fra famiglia e famiglia, tribù e tribù, regi e regi senza diminuire in durezza anzi forse aumentando, assumono ora il carattere più rilevato dei conflitti fra individualità differenti. Sugli dei e le loro favole, i miti, l’attenzione dei cantori si volge non più troppo all’aspetto celeste e atmosferico. Invocare Vayu perché protegga dai venti o li arresti fa sorridere gli astanti delle vetuste assemblee che ormai possono contare su di una casa solida. Né Parjanya incute più l’esagerato timore di un tempo se rovescia dal suo carro otri di pioggia, il vin di nuvole, su campi e villaggi. I tetti sono saldi e solo la irritata folgore di Indra può ancora vincere la sagacia degli artigiani protetti dal loro dio Tvastar che costruiscono i ripari per pastori ed armenti. I numi dunque per essere venerati o almeno tramandarsi in ricordo assumono il tratto di spicco d’un’individualità eroica. È forse in questa fase che si assiste anche all’impallidire del sovrano celeste e della sua sposa, la coppia di Dyaus padre e della madre Pŗthivi al cui nome il nostro poetico Autore sanscritista dà la celeste interpretazione di “grande estendentesi” e da intendere come una provvida distesa di nubi pronte a far scender la pioggia che nutre fonti e suolo. Impallidendo la coppia divina genitrice di tutti i Numi ecco che si avanza l’oscuro Varuna dal carattere innato di sovrano e dall’individualità marcata e insondabile, il patrono della regalità, il grande maestro dello rta ovvero del rito, il protettore ispiratore dell’aristocrazia di armi e intelligenza che viene a formarsi entro il seno delle tribù indoarie. E a Varuna, cui si affianca in funzione di custode, più o meno ascoltato, del diritto Mithra, è naturale avvicinare il nume guerriero per eccellenza, il sovrano Indra che, alla lunga, insidierà la preminenza nel culto all’oscuro reggitore celeste e tessitore, con i suoi lacci, di inganni magici. Dei numi sono riconosciuti ormai pregi e difetti e le loro individualità non rifuggono da predilezioni arbitrarie, ovvero incomprensibili, che fanno da corona al loro apparire eroico. Le favole che li vedono protagonisti divengono i poemi del tempo successivo, esempio per i reggitori, l’aristocrazia delle armi, e per le donne dal carattere orgoglioso e fiero. Si può forse aggiungere procedendo a larghe spanne che è in questa fase del mito inteso in senso eroico che nasce la rappresentazione drammatica, ciò che in Ellade è in un tempo successivo la tragedia. I rapporti di causa ed effetto non bastano più all’attenzione del cantore dall’intelletto vigile ad esplicare in dramma del vivere, i perenni agguati che l’imprevedibilità del “volere cosmico” tende al fluire delle vite, a quello che chiamiamo storia. Devono per forza introdursi gli inesplicabili arbitrî divini cui si oppongono le altrettanto divine ostinazioni di eroi ed eroine che rendono ragione dei conflitti, delle insanie che agitano il vivere delle tribù e delle moltitudini. E la vita deve dunque conformarsi ad un esempio che doni vigore e susciti coraggio, esempio che da sempre si demanda al mito. Di qui la necessità dell’interpretazione eroica.

Sotto il segno dell’oscura sovranità di Varuna è da collocarsi la terza fase d’interpretazione del mito. Il cantore non si rivolge più solo ad una assemblea di nobili delle armi e di “regoli”, o re. Vi è tra gli uditori anche chi ha già intravisto un distacco dalle vicende storiche del grande dramma. Ne ha intuito la scenografia ben più ampia, immensa e cosmica. Numi ed eroi ora rappresentano dei volti per figurare gli enti metafisici entro il moto del continuo divenire. Tutta la storia non è che una frase di fronte all’eterno, ed essa non è che un istante impregnato di carpenterie maldestre a volte appena stabili, spesso traballanti. Dei numi si cerca, ora vagamente, ora con chiarezza d’intravederne la radice ulteriore, la sostanza che li permea e li anima. Il divino in quanto tale diviene lo studio, e invero il tentativo di rammentarlo, di rinnovarlo di ritrovarlo nel proprio Sé. I numi dunque impallidiscono tutti e le loro individualità si stagliano sempre più sul fondo della scena. Questo fondo è in senso figurato una sorta di telo di lana candida, allegoria della sostanza e della tessitura del Divino. I numi sono qui simili agli attori d’una recita. Ma come nel teatro che evolve entro il naturale divenire delle cose, al cedere delle grandi individualità che furono protagoniste, il genio dei grandi innovatori ha dovuto intravedere la necessità d’un più largo predominio della musica, e questa è, di nuovo, la tessitura e sostanza del Divino, così i numi cedono lentamente i loro tratti individuali agli enti metafisici che rappresentano e che son parti d’una tessitura dell’Infinito. Si osservi che ciò costituisce una sorta di parallelo figurato o di allegoria a ciò che argomenta Schopenhauer nell’ultima parte del suo “Mondo come Volontà e Rappresentazione”, quando intende il senso più profondo della grande musica.     

Può apparire singolare che sia posto sotto il segno di Varuna, l’oscuro e notturno reggitore cosmico del Rg-Veda, la fase d’interpretazione metafisica dei miti e dei numi che pure sono apparizioni sul telo di lana candida di cui sopra. Ma non vi è contrasto se non apparente. L’oscurità della notte è, ma gli occhi di essa sono le mille stelle luminose e questi sono i mille occhi di Varuna. È oscuro per noi nel suo divino arbitrio ma non oscuro in sé dato che vede tutto e persino ha contato i battiti di ciglia di ognuno. E, come figura con mirabile senso poetico un passo del Rg-Veda, conosce la traccia degli uccelli che volano nell’aria. Pare fin troppo abbagliante questa sua splendente onniveggenza.  E il fatto che questo divenire, lo studio di numi e miti, un fatto di metafisiche sia sotto la protezione di Varuna, il sovrano, lo si spiega per la ristretta destinazione del messaggio. Esso non è più rivolto allo jana, ovvero alla massa che tutti comprende in senso ultimo, da nobili e re a miseri, bensì allo ari, ossia ai pochi in grado d’intendere. Nel senno d’occidente e con Schopenhauer si può dire: ai quei pochi che possono esser filosofi e ne hanno l’animo anche se vestissero di soli cenci. In completo smacco a titoli e gradi e classi e via di seguito. Si vede qui come si delinei in forma indiretta, quasi come disegnandola per tratteggio e per ambiente circostante o di atmosfera la figura forse non ancora esplicita del Santo, del Mistico, del Filosofo, solitario pur in mezzo agli altri, e interiormente sovrano pur essendo sottomesso a classi e condizioni esterne. Di colui che già ha compreso essere i sacrifici della pratica religiosa, pur compiuti in buona fede, solo delle fragili piroghe che navigando nel vasto mare possono affondare in ogni momento.

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.